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Fondi: ‘ndrangheta. Nomi degli inquisiti, ruoli e responsabilità.

‘Ndrangheta a Fondi, nel sud del Lazio. Una cosca attiva nel mercato ortofrutticolo di Fondi capace di imporre i prezzi nelle rivendite, farsi affidare gli appalti del comune nel settore delle pulizie, dei servizi e anche delle pompe funebri. È questo il quadro d’assieme dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale di Roma su richiesta della Direzione distrettuale antimafia e che ha disposto la detenzione in carcere per 12 persone e gli arresti domiciliari per altri cinque.

Al vertice della banda, secondo gli inquirenti, c’era Carmelo Giovanni Tripodo e il fratello Venanzio, figli di Domenico, ucciso nel ’76 nel carcere di Poggioreale, al termine di una guerra di mafia che l’aveva visto contrapposto con il clan di Giovanni De Stefano. I reati contestati vanno dall’associazione per delinquere di stampo mafioso alla corruzione, all’abuso d’ufficio, al falso. Nel voluminoso atto d’accusa, formulato dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, sono distribuiti ruoli e responsabilità. Insieme ai Tripodo, nel «primo anello di comando» – secondo gli investigatori dei carabinieri del comando provinciale di Latina – c’erano una serie di imprenditori «usati come teste di legno» e che collaboravano alla gestione dell’organizzazione.

Dietro le sbarre sono andati gli operatori commerciali del mercato di Fondi, Franco e Pasquale Peppe, i pregiudicati Alessio Ferri e Igor Catalano (autista di Tripodo) e l’ex assessore di Forza Italia al comune di Fondi, Riccardo Izzi.  Gli arresti domiciliari sono stati disposti per il comandante della polizia municipale Dario Leone e il suo vice Piero Munno, i due dirigenti comunali dei settori lavori pubblici e attività produttive Gianfranco Mariorenzi e Tommasina Biondino, oltre che per l’immobiliarista Massimo Di Fazio. Nell’ambito dell’operazione della Dda, sono stati anche sequestrati beni e proprietà per oltre nove milioni di euro. In carcere sono finiti anche Aldo Trani, Giuseppe Bracciale, Antonio Schiappa, Giuseppe Bianchò e Antonio D’Errigo. I domiciliari sono stati disposti per Dario Leone, capo della polizia municipale ed il suo vice Pietro Munno. «I due avrebbero acconsentito ad una serie di operazioni illecite», è stato spiegato nel corso di un incontro con la stampa svoltosi nella cittadella giudiziaria di piazzale Clodio, a Roma.

L’inchiesta del pm Diana De Martino e Francesco Curcio, coordinata dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, è iniziata oltre due anni fa. Ma se non ci fossero state le stesse dichiarazioni dell’ex assessore comunale Izzi gli investigatori non avrebbero forse potuto completare il quadro indiziario che si era andato formando raccogliendo tutta una serie di denunce e segnalazioni di operatori che nel tempo sono stati di fatto eliminati dal mercato ortofrutticolo di Fondi. Proprio la gestione del Mof, che è uno dei più grandi d’Europa – secondo chi indaga – è stato il centro degli interessi della banda organizzata dai Tripodo. In pratica nell’area Pontina si «lavavano» i soldi frutto dello spaccio di droga e dell’usura. I fratelli Tripodo, nei mesi passati, dopo alcune notizie e inchieste giornalistiche, che li tiravano in ballo, avevano smentito e denunciato.

Dopo però una relazione del prefetto di Latina Bruno Frattasi e inviata al ministero dell’interno, i dubbi si sono diradati. Domenico Tripodo, il capostipite, conosciuto anche come Don Mico, fu al centro tra il 1974 e il 1976 della prima guerra di ‘Ndrangheta. Dallo scontro con i suoi sottoposti, i fratelli De Stefano, però ne uscì sconfitto. Questi raggiunsero il monopolio per le opere edili a nord di Reggio Calabria, estromettendo la ‘ndrina dei Tripodo dagli appalti delle opere pubbliche. Tripodo che fu compare d’anello di Totò Riina, allora, raccontano le cronache, reagì tentando di uccidere Giovanni De Stefano. Poi arrivò l’arresto del febbraio 1975 e la prigione di Poggioreale, dove fu ucciso il 26 agosto 1976 in cella su richiesta di Paolo De Stefano della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo.

E così i De Stefano divennero la ‘ndrina predominante a Reggio Calabria. Il figlio, Carmelo Giovanni Tripodo, dopo la sconfitta del padre si trasferì nel nord Italia e successivamente a Caserta ed infine a Fondi. A suo carico risulta anche un arresto nell’ottobre del ’96, a Roma, con l’accusa di estorsione e usura. Tutta questa storia è tratteggiata anche nell’ordinanza del gip Cecilia Demma, e si colloca in una serie di estorsioni, avvertimenti, piccoli attentati, di cui fu interessato lo stesso ex assessore Izzi. Era la fine di dicembre del 2007 quando venne bruciata la sua auto. Il sindaco di Fondi Luigi Parisella e l’amministrazione comunale condannarono il gesto ed espressero solidarietà. Gli investigatori, di fatto, registrarono anche le dichiarazioni dell’esponente di Forza Italia.

Tripodo non è solo. Uno dei suoi sodali è Aldo Trani, il sorvegliato speciale che secondo gli atti di una commissione d’inchiesta locale è in grado di intercedere presso il comune di Fondi perché vengano pagate le parcelle ad un avvocato che ha lavorato, appunto, per conto dell’ente. Trani ha un cugino al comune di Fondi. Le indagini toccano nel profondo la gestione della cittadina laziale. Gli inquirenti smentiscono che ci sia un secondo livello politico. Bastavano, alla cosca, il gruppo di dirigenti e i vertici dei vigili urbani.

La confessione di Izzi, che spaventato nei primi giorni del 2008, corse dai carabinieri di Latina chiedendo di parlare con i magistrati della Dda di Roma, non sono servite per evitargli il carcere. Le società Lazio Net Service, Tripos Multiservizi e Parravano Trani, che avevano appalti nelle pulizie, nei traslochi e nelle pompe funebri, sono state favorite. Chi l’ha fatto non solo ha ricevuto finanziamenti per la campagna elettorale dell’ex assessore, ma anche soldi.

(Tratto da GolfoNews)