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Fondi: il Governo rinvia ancora. Che vergogna!

La risposta del Consiglio dei Ministri sulla richiesta di scioglimento del Comune di Fondi per infiltrazioni mafiose non è arrivata neppure giovedì, durante la discussione alla Camera. Il sottosegretario per l’economia e le finanze Casero ha detto che il Governo resta “in attesa che gli organi giudiziari concludano le indagini in corso

sul contestato fenomeno di inquinamento da parte della criminalità organizzata”, assicurando che nella prossima riunione del Consiglio dei Ministri verrà presa una decisione.

L’ennesimo rinvio da quando, nel settembre del 2008, il prefetto di Latina Frattasi presentò la propria relazione al ministro Maroni: sosteneva la necessità di intervenire secondo l’articolo 143, proponendo lo scioglimento per collusione mafiosa.

Da allora Maroni, che pure si è sempre detto favorevole al provvedimento, ha nominato una seconda commissione d’accesso che ha indagato sul caso e che ha confermato, a febbraio, la tesi del prefetto, senza però mai prendere una decisione definitiva. Nel frattempo gli atti sono passati alla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma portando ai 17 arresti del 6 luglio e al sequestro di immobili e terreni per un valore di 10 milioni.

La vicenda giudiziaria, come ti sbagli, è intricata, ma su Fondi quello che emerge è la responsabilità imbarazzante della politica, che non è stata in grado di porre un argine alle infiltrazioni e ora tarda a spezzare la catena di favori e consensi poggiata, a quanto pare, proprio sull’intesa con clan della ‘ndrangheta e della camorra.

Sono state le resistenze da parte di alcuni membri del governo a impedire un pronunciamento chiaro da parte del consiglio dei ministri, come del resto ammesso dallo stesso Maroni che ha dichiarato che alcuni di loro hanno voluto vedere personalmente tutta la documentazione.

Del resto, fra i 17 arresti portati a termine fino a ora, oltre a dirigenti apicali del comune, spicca il nome di Riccardo Izzi (Pdl), ex assessore ai lavori pubblici e primo eletto della lista di maggioranza. Al sindaco Luigi Parisella non bastò togliere la delega a Izzi, dopo la sua confessione nel 2008, per dimostrare l’estraneità dell’amministrazione comunale: l’assessore svelò infatti una fitta rete di rapporti fra amministratori, imprenditori ed esponenti della famiglia Tripodo. Nome noto della ‘ndrangheta reggina i Tripodo sono “in esilio” nel basso Lazio da quando, in Calabria, furono soppiantati dai De Stefano (il padre di Carmelo e Venanzio Tripodo, “don Mico”, compare d’anello di Totò Riina, fu ucciso nel carcere di Poggioreale nel ’76 per mano della nuova camorra di Cutolo)

Cosa succede a Fondi

Al centro delle indagini si trova il Mof, il mercato ortofrutticolo all’ingrosso. I Tripodo, con la complicità di amministratori e politici locali, secondo l’accusa avrebbero imposto i prezzi del mercato ortofrutticolo e deciso quali società potevano operare all’interno”. “Il loro nome – inoltre – era sufficiente per sgombrare il campo da qualsiasi opposizione da parte di commercianti e imprenditori.” Il controllo delle attività legate all’agricoltura si inserisce in un contesto nel quale “convivono pacificamente” famiglie della ‘ndrangheta, come detto, e quelle della camorra (in particolare i casalesi). L’influenza delle famiglie, secondo la relazione del 2007 del consigliere della Direzione nazionale antimafia (Dna) Francesco Paolo Giordano, toccherebbe anche l’attività di trasporto su gomma e quella dell’intermediazione. A questo si aggiungono le tradizionali attività di usura ed estorsione.

Tuttavia l’impressione generale è che la mafia stia usando il basso Lazio e Fondi nello specifico per riciclare il denaro e se stessa in attività economiche tradizionalmente “pulite”, ponendosi come soggetto che contratta direttamente con la pubblica amministrazione per appalti e servizi.

L’operazione “Damasco”

Il caso di Fondi è descritto dalle 161 pagine firmate dal gip di Roma, Cecilia Demma, in cui convergono le indagini della Dia sul Mof e dell’arma dei carabinieri su appalti e interessi che coinvolgono imprenditori fondani e pubblici amministratori.

In totale gli indagati risultano 33 e le ipotesi di reato che spuntano dall’ordinanza, oltre all’associazione per delinquere di stampo mafioso nei confronti dei principali accusati, sono numerose: violazioni alle disposizioni contro la mafia, abuso d’ufficio, rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio, tentata estorsione, concussione, corruzione e favoreggiamento.

Le indagini hanno origine nel 2005 e coinvolgono in un primo momento i Tripodo. Successivamente si estendono ai loro contatti con Riccardo Izzi e a tutte le irregolarità commesse all’interno del Comune di Fondi. I reati più gravi contestati riguardano il riciclaggio di denaro proveniente da attività mafiose nelle ditte direttamente e indirettamente collegate ai fratelli Tripodo, il tutto con l’appoggio dell’assessore.

La politica e la rete del consenso

Secondo le accuse Riccardo Izzi sarebbe stato sostenuto durante la sua campagna elettorale proprio dai clan mafiosi. La sua confessione nel 2008 ha indotto il sindaco e i politici locali a prendere le distanze da lui, sostenendo che “si trattava di una mela marcia” e che “il Comune è pulito”.

“Un politico, un consiglio comunale, possono anche non aver commesso reati specifici ed essere comunque, nelle loro attività, profondamente condizionati”. Questa l’opinione di Enzo Ciconte, presidente dell’ Osservatorio sulla sicurezza e la legalità della Regione Lazio, che aggiunge: “Su Fondi sento strani discorsi, difese maldestre da parte dei politici che richiamano quel ‘la mafia non esiste’ pronunciato tanti anni fa da Vito Ciancimino”. “Peraltro Carmelo Tripodo era già stato sottoposto a sorveglianza e la Questura aveva indicato al Comune di Fondi di non avvalersi delle attività dei fratelli Tripodo”, conclude Ciconte..

Una tal rete di favori non avrebbe insomma potuto reggersi tutta su un’unica persona, l’assessore Izzi.

Fra gli indagati compaiono anche il capo dei Vigili urbani e alti funzionari del Comune: “I dirigenti comunali sono nominati dal sindaco, il che ci avrebbe fatto sperare in una maggiore prudenza sulla sua scelta dei collaboratori e in un controllo diverso sul loro operato”, dichiara Umberto Barbato, collaboratore del periodico Cantiere Sociale.

A tutto ciò si aggiunga che, a Fondi “non si muove una foglia che Fazzone non voglia”, come ironizzano amaramente alcuni fondani. Claudio Fazzone, senatore del Pdl considerato il vero “signorotto” del feudo fondano, astro in ascesa Delle Libertà, che potrebbe essere quell’anello di congiunzione con la politica nazionale che le ha impedito fino a questo momento di esprimersi con nettezza.

Un ritardo, quello del governo, tutto in contraddizione con quanto stabilito all’interno del pacchetto sicurezza recentemente approvato nel quale si dispone che non debbano trascorrere più di 90 giorni dalla richiesta del prefetto allo scioglimento di un comune in sospetto di collusione mafiosa.

Elena Ritondale
(Tratto da L’altronline)