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False attestazioni alle imprese, 83 indagati.

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È una vero è proprio modus operandi , bisogna intervenire alla base.

False attestazioni alle imprese, 83 indagati

Ivan cimmarusti Un vero e proprio business illecito dietro le Soa, attestazioni che consentono alle società di partecipare agli appalti pubblici. Questa l’ipotesi della Procura della Repubblica di…

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Un vero e proprio business illecito dietro le Soa, attestazioni che consentono alle società di partecipare agli appalti pubblici. Questa l’ipotesi della Procura della Repubblica di Roma, che è pronta a chiedere il rinvio a giudizio per 83 indagati, tra i quali Giuseppe Brienza, ex presidente dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, Luigi Giampaolino, ex presidente della Corte dei conti e Angelo D’Agostino, parlamentare di Scelta Civica.

L’inchiesta è stata svolta dal Nucleo speciale spesa pubblica della Guardia di finanza, coordinata in questa indagine dal procuratore aggiunto Nello Rossi.

Ciò che emerge dall’incartamento giudiziario può essere così ricostruito: controllori che fanno di tutto pur di non controllare e controllati che, di fatto, erano in grado di piegare ai propri interessi l’intero sistema di verifica relativo alle Soa.

Per questo nel fascicolo risultano indagati anche gli imprenditori Mario Calcagni e Alfredro Gherardi, amministratori della società Axsoa spa che, di fatto, avrebbe gestito il presunto business illecito, il direttore generale della Vigilanza, Maurizio Ivagnes, e il funzionario dell’Ufficio Qualificazione Maria Grassini.

Nei confronti di tutti sono ipotizzati, a vario titolo e secondo le singole posizioni, i reati di associazione per delinquere, alla corruzione, falso ed abuso d’ufficio. Secondo quanto emerge dalle carte contenute nel procedimento penale, «è di assoluta evidenza – è annotato – che l’attività di controllo è venuta decisamente meno per le Soa, divenute, alla luce delle prassi instauratesi, soggetti commerciali tendenti al vaglio positivo, più che a quello negativo, nei confronti delle società da attestare».

Una degenerazione del sistema quella scovata dagli inquirenti che sottolineano come «il pacchetto di clienti favorevolmente attestati costituisce il patrimonio della Soa»: fattore che rende altissimo il rischio di «agevolazione» verso l’azienda amica. Rischio che, in teoria avrebbe dovuto essere arginato dall’Authority ma che, nel caso scoperto dagli inquirenti, ha visto i controllori spendersi oltre misura nei confronti dei loro stessi controllati. E così, tra pratiche di sospensione della licenza «ad operare» che spariscono per poi ricomparire a giochi ormai fatti, informative della Guardua di Finanza che invece di essere allegate agli atti da portare nelle adunanze dell’Authority vengono «dimenticate» in cassetti polverosi, e fusioni impossibili passate in cavalleria, il ruolo dell’organismo di controllo aveva perso ogni valore.

Valore che invece, mettono nero su bianco i giudici capitolini che hanno lavorato ad un’inchiesta che coinvolge quasi tutte le Soa sparse sul territorio nazionale. C’è poi il ruolo di Brienza, che da queste pratiche addomesticate fino ad essere completamente stravolte era riuscito a guadagnare montagne di benefit. Negli atti dell’inchiesta, infatti, spunta un attico a viale Nizza che Mario Calcagni aveva messo a disposizione, a titolo completamente gratuito, per la figlia di Brienza; e ancora un posto di lavoro per la sua compagna, fino ad una consulenza – pagata 5000 euro al mese – di cui lo stesso Brienza avrebbe beneficiato nella stessa Soa che avrebbe dovuto controllare.

Per non farsi mancare proprio nulla infine, il costruttore avrebbe anche provveduto a pagare il canone del box auto dell’ex consigliere dell’Authority. C’è da dire che con la notifica degli avvisi di chiusura delle indagini preliminari, gli indagati avranno la facoltà di comparire dinanzi ai pubblici ministeri per chiarire la loro posizione. Intanto, però, la Procura è pronta a mandare tutti a processo.

Ivan cimmarusti

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