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Emilia, lo sbarco dei “galantuomini“

Emilia, lo sbarco dei “galantuomini“

di Gaetano “Gato” Alessi

Mercoledì 31 Maggio 2017

La ‘ndrangheta si è infiltrata in Emilia Romagna senza colpo ferire, ricorrendo alla forza solo quando la corruzione non funzionava, ma purtroppo funzionava quasi sempre”. Basterebbero queste parole del procuratore nazionale antimafia Roberti per spiegare la presenza di decine di cosche di mafia nella terra delle cooperative. Ad un occhio distratto potrebbe sembrare che si tratti di un fenomeno recente. Tutt’altro: se fosse una fiaba, l’incipit sarebbe “C’era una volta”.

C’era una volta” la legge sui soggiorni obbligati, ereditata dal confino di epoca fascista. Fu seguendo questa legge che, dal 1958 fin quasi ai giorni nostri, l’Emilia Romagna è stata terra di migrazioni, non di disperati arrivati sui barconi, ma di mafiosi patentati e potenti, inviati dallo Stato nella “Rossa Emilia” per “ravvedersi”. In provincia di Bologna, a Castel Guelfo arriva, alla fine degli anni Cinquanta, Procopio Di Maggio, capo mandamento di Cinisi (Pa).

Seguirà negli anni successivi uno tsunami mafioso che ha visto approdare in regione migliaia di uomini e donne appartenenti alle cosche. Non proprio perfetti sconosciuti: Tano Badalamenti, uomo di Cosa nostra inviato a Sassuolo, si inserì nell’economia del distretto ceramico; Antonio Dragone, in compagnia del quale mosse i suoi primi passi la cosca Grande Aracri, si insediò Quarto Casella provincia di Reggio Emilia; a Modena sbarcò Francesco “Sandokan” Schiavone del clan dei casalesi, a Cesena Alfredo Ionetti imparentato con Pasquale Condello, il supremo boss della ‘ndrangheta; anche Totò Riina, il capo dei capi, fu inizialmente inviato a San Giovanni in Persiceto (Bo).

Nella lunga lista compare anche il nome di Giacomo Riina, zio del suddetto Totò. Arriva in soggiorno obbligato a Budrio nel 1967: da lì, diventa il rappresentante di Cosa nostra al nord. I suoi interessi spaziano sull’edilizia, sull’autotrasporto, sul traffico d’armi: grazie a lui migliaia di mitra ed esplosivi arrivano dal Belgio alla Sicilia, passando per Lombardia, Toscana ed Emilia Romagna. E al buon Riina piace stare comodo, tanto che fa anche il consulente per la Centroflex (ora Eminflex).

Edilizia, movimento terra, bische illegali prima, gioco d’azzardo “legale” dopo, traffico di armi, uomini, strozzo e usura, riciclaggio di denaro sporco, droga: nulla è sfuggito al controllo delle cosche da dieci lustri a questa parte. E quando il gioco diventa pericoloso, le mafie italiane subappaltano a quelle straniere, albanese, nigeriana e ucraina su tutte, il lavoro sporco: spaccio di stupefacenti, prostituzione e riciclaggio di denaro in cambio di operazioni nel traffico d’armi internazionale e smaltimento di rifiuti tossici nel Mediterraneo o in Africa.

Se ci sono i soldi, ci deve essere anche una cassaforte, e l’Emilia Romagna ce l’ha a due passi: le banche di San Marino per anni hanno dato ricetto a tutti, fedeli al motto “pecunia non olet”. Una simbiosi mutualistica perfetta, che ha funzionato come un orologio svizzero, prima di essere incrinata dalle inchieste della magistratura, che negli ultimi anni hanno assestato colpi poderosi alle cosche: solo nel 2016 sono più di 520 gli anni di carcere comminati in processi di mafia in regione. Senza dimenticare, poi, lo scioglimento per mafia del comune di Brescello (Re), e la richiesta dei commissari di sciogliere Finale Emilia (Mo), richiesta tuttavia respinta dall’allora Ministro dell’Interno Alfano.

Il recente pentimento di Nicola Femia, inteso Rocco,”re” del gioco d’azzardo, promette sviluppi insperati fino a poche settimane fa, oltre a mandare nel panico economia deviata e mafiosi. Il silenzio è stato incrinato, ma l’antimafia deve continuare a martellare con testardaggine e speranza.

Perché nel processo “simbolo” Aemilia stanno ora alla sbarra imprenditori e professionisti, accusati di aver venduto l’anima alla criminalità organizzata: ma nessun tribunale penale potrà mai condannare quella parte della società civile e della politica che per decenni ha preferito dire che la mafia era un problema degli altri.

fonte:http://mafie.blogautore.repubblica.it/