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Economia illegale, cresce la melma, intervista a Giancarlo Caselli

In economia l’illegalità è un sistema che assume due volti, quello della mafia e della corruzione, spesso intrecciate fra loro o addirittura, per vari profili, sovrapposte.

La drammatica realtà delle mafie, oggi, è che esse hanno costruito una vera e propria “economia parallela” che pian piano risucchia nel suo vortice commerci, imprese e forze economiche sane. Legalità e osservanza delle regole faticano sempre di più a resistere a fronte della forza criminale di chi impiega – sistematicamente – forme di persuasione, condizionamento o minaccia (invisibili o violente, con modulazione a seconda dei casi).

Così l’economia illegale inesorabilmente avanza e si espande, come una melma che si insinua dovunque e cerca di impadronirsi di tutto. Libero mercato e concorrenza rischiano di ridursi a simulacri, scatole vuote, meccanismi arrugginiti che facilitano il massiccio inquinamento dell’economia pulita ad opera di quella illegale. Analoga e non meno drammatica è la realtà della corruzione. Una piaga che nel nostro paese arriva a costare tra i 50 e 60 milioni di euro all’anno, spalmati su tutti i cittadini, ciascuno dei quali (neonati compresi) paga una tassa annuale di 1.000 euro (sono dati ufficiali, elaborati qualche tempo fa dal Servizio anticorruzione e trasparenza che opera presso il dipartimento della Funzione pubblica, e ribaditi in questi giorni dalla Corte dei Conti, che ha parlato di un “tumore maligno”).

Ma quel che ancor più preoccupa – di questa situazione immonda – è l’impatto sul piano dell’immagine e della fiducia. Un costo non monetizzabile ma pesantissimo, che ostacola gli investimenti, uccide la fiducia nelle istituzioni, ruba la speranza nel futuro alle imprese che vogliano rimanere oneste.

Un costo che diviene iperbolico ed esiziale quando, all’ombra delle emergenze dilatate oltre ogni logica e reale necessità, si annullano di fatto regole e controlli, creando uno “stato di eccezione” che si sottrae a ogni disposizione vigente e perciò produce spazi entro cui la corruzione (basta leggere le inquietanti cronache di questi giorni per convincersene) può insinuarsi comodamente: con alterazioni genetiche – proprio come accade con la mafia che si fa impresa economica – del mercato e della concorrenza.

Altro profilo che la corruzione ha in comune con la mafia è il carattere sistemico: evidentissimo per la mafia (che imperversa da almeno un paio di secoli), ma altrettanto evidente per la corruzione, che in Italia ha raggiunto livelli (evidenziati una ventina d’anni fa da Tangentopoli, ma rimasti inalterati – si direbbe – anche in seguito) che sono incompatibili con la tesi rassicurante del bubbone che si manifesta su di un tessuto sostanzialmente sano: mentre in verità si tratta di una metastasi cronica che impesta, appunto, l’intiero sistema. Il riduzionismo (che spesso diventa negazionismo) è un altro tratto che accomuna mafia e corruzione. La mafia, al più, viene presentata come un problema di mero ordine pubblico, meritevole di attenzione soltanto quando sono messe in atto strategie sanguinarie: con irresistibile tendenza a dimenticarne la straordinaria capacità di condizionamento che ha trasformato un’associazione criminale in un vero e proprio sistema di potere criminale.

Come potere economico, si vuol far credere che la mafia non sia poi un gran problema, perché “pecunia non olet”, “l’economia non si governa coi pater noster” e via salmodiando al ribasso.

Non diversamente, la corruzione è opera di mariuoli, mele marce, cani sciolti: miopi sottovalutazioni o peggio letture strumentali, poste in essere nel tentativo (che la logica dovrebbe vanificare, ma che la disponibilità di certi Maître à penser alimenta) di ridurre il fenomeno sistemico ad una serie di episodi scollegati, dovuti più che altro alla protervia di singoli individui. Infine, l’economia illegale (sia nella versione mafia sia nella variante corruzione) si presenta spesso – purtroppo – come vincente, a fronte di uno Stato che di frequente dà l’impressione di rinunziare a combattere (o di non combattere con sufficiente energia) una battaglia che si potrebbe invece sostenere e vincere. La mancanza di azioni positive e convincenti da parte di chi dovrebbe offrire il buon esempio finisce pure per determinare un affievolimento dell’impegno civile e morale.

Fatti che dovrebbero scatenare reazioni indignate scivolano via senza conseguenze, come se fossero “normali”. L’assuefazione sostituisce la giusta tensione, sia rispetto all’illegalità in generale sia rispetto a mafia e corruzione in particolare. Così i portafogli dei mafiosi, dei corrotti, dei corruttori e dei loro complici si gonfiano sempre di più, con effetti devastanti sullo sviluppo economico del paese e ingenti danni sugli inermi cittadini.

(Tratto da Il Fatto Quotidiano del 19 febbraio 2010)