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ECCO COME SONO TRATTATI I MAGISTRATI ESPOSTI SUL FRONTE DELLA LOTTA ALLA MAFIA. RENZI ED ALFANO VERGOGNATEVI!!!!!!!!!!!!

 

«Scendo da casa e vado in metropolitana da solo, il mio lavoro viene prima di tutto, anche senza sicurezza. Non ne faccio un segreto, lo sanno tutti che sono senza scorta». Il magistrato Raffaello Falcone, per dieci anni in servizio alla direzione distrettuale Antimafia di Napoli, da un mese è senza tutela. Riservato e puntiglioso nel suo mestiere, spiega che il problema delle scorte è generale, non particolare.  Si è occupato del clan dei Casalesi, è stato il pm che ha richiesto l’inasprimento del 41bis (carcere duro) per il boss Francesco Schiavone Sandokan, il capo dei capi del clan dei Casalesi. Negli ultimi tempi ha «attaccato» il ferocissimo clan Belforte di Marcianise. Ha coordinato, insieme ai colleghi Maresca e Del Gaudio, le indagini che hanno portato alla clamorosa cattura del boss Zagaria nel 2011 e, ancora oggi, sostiene l’accusa in processi a carico di esponenti di spicco dei Belforte, nei cui confronti ha svolto indagini per 10 anni. Le sue inchieste hanno prodotto numerose sentenze di condanna oggi irrevocabili. Tutt’ora è codelegato per la trattazione di procedimenti a carico di esponenti di associazioni camorristiche e narcotrafficanti operanti nel territorio di Napoli. Il perché della revoca del servizio di scorta è scritto nero su bianco dalla prefettura di Napoli in un provvedimento recapitato a una decina di pubblici ministeri: non si occupano più di camorra e, dunque, possono viaggiare senza scorta. Quella lettera è arrivata anche a casa di Falcone.

Come ha reagito a questa decisione?
«Non me l’aspettavo e, per quanto riguarda me, non voglio farne un caso, molti colleghi si trovano nella mia stessa situazione, come si può pensare di togliere la tutela da un giorno all’altro? È assurdo. Mercoledì ho sottoscritto il documento di protesta della Procura di Napoli inviato al Ministero. Sono convinto che le autorità competenti sapranno farsi carico della situazione segnalata superando le barriere burocratiche in relazione al tema della sicurezza dei magistrati, consapevoli del fatto che colpire un magistrato significa colpire lo Stato. La sicurezza non può dipendere dalla disponibilità o meno di fondi».

Ma qual è il metro utilizzato per togliere la tutela ai magistrati?
«L’argomento è l’uscita dalla Dda del pubblico ministero e il rientro in procura ordinaria, dove ci si occupa di reati non mafiosi. Se questo è il metro, allora è criticabile e attaccabile perché la scorta serve per prevenire i casi di possibili ritorsioni sui magistrati.

In sostanza, il provvedimento notificato dalla prefettura di Napoli contiene seccamente la revoca della misura di protezione.
«Evidentemente gli organi competenti pensano non sia necessario. I provvedimenti intrapresi da noi poi finiscono nei processi. Ripeto, non entro nel merito dei casi singoli, dico solo che è inutile dare la scorta solo se c’è sentore di minacce, è come mettere le sbarre a una casa dopo che il ladro ha fatto visita e ha rubato tutto. Prevenire azioni di rivalsa nei confronti dei magistrati: è questo il senso dell’applicazione di una scorta. È sorprendente che l’adozione dei provvedimenti di tutela segua la scoperta di una programmazione di attentati e non tenga conto, a differenza di quanto accade in altre procure, della eccezionale peculiarità criminale di questo distretto. Quotidianamente i magistrati della procura svolgono indagini e partecipano a processi da cui derivano situazioni di potenziale pericolo desumibili dalla rilevanza economica e personale degli interessi criminali sui quali incidono».