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E’ morto il carissimo amico Professore Tom Behan. Avrebbe dovuto in autunno scrivere un saggio sull’assassinio di Don Cesare Boschin

La prima volta che ci siamo incontrati sedeva dietro una cattedra all’Università di Salerno per raccontare alcuni aspetti sociali e psicologici della camorra che lo avevano colpito durante la sua lunga permanenza a Napoli. Alternava un perfetto italiano, con marcato accento inglese, a parole dialettali. Nonostante fosse docente di una importante università britannica (University of Kent) sottolineava alcuni concetti salienti con espressioni idiomatiche napoletane apprese negli ambienti popolari in cui aveva svolto le sue ricerche storico sociali. Forse erano le sue origini gallesi che lo spingevano a mettere da parte la cultura accademica per entrare in collegamento con il magmatico mondo dei vicoli napoletani. A differenza di altri studiosi stranieri, che pure avevano indagato la particolare socialità comunitaria del capoluogo campano, non si lasciava trascinare dal demone della razionalità ed evitava accuratamente di incasellare suoni, parole, odori e contatti fisici in schematici stereotipi releganti l’infinita gamma di sentimenti umani nel panorama folkloristico.

L’ultima volta che l’ho incontrato è stato nell’autunno 2009 per presentare insieme la traduzione italiana dei suoi studi sulla camorra See Naples and die. Il titolo dell’opera tradotta, ahimè, come egli stesso rilevava, era, ed è, totalmente fuori luogo; una specie di slogan pubblicitario che avrebbe potuto coniare il “Ministro della Paura” di Antonio Albanese: Il libro che la camorra non ti farebbe mai leggere. Niente a che vedere con il suo Vedi Napoli e poi muori, duplicemente geniale: uno per la sonorità del titolo in lingua inglese, due per l’utilizzo di un vecchio refrain identitario (questo la dice lunga sulla sua capacità di sintonizzarsi con la città) mutato in una possibile minaccia.

Tra questi due estremi ci sono state molte mail e tre magnifici giorni di discussioni appassionate, tra me, lui ed Isaia Sales nel 2005, quando venne a Pagani (SA) per ritirare il Premio Nazionale per l’Impegno Civile intitolato alla memoria della vittima di camorra Marcello Torre, sindaco di quella città, assassinato l’11 dicembre 1980.

Il suo intervento fu memorabile. La platea si aspettava un docente di storia venuto dall’Inghilterra che avrebbe tromboneggiato sulla camorra, invece sbalordì tutti: lasciò la postazione dietro il banco dei relatori e senza microfono cominciò a parlare ai presenti arringandoli e sfidandoli. Ricordo lo sguardo allibito delle signore in pelliccia che osservavano “l’ufo spaziale” atterrato nel bel mezzo di un paese della provincia meridionale. Immagino che, mentre esteriormente manteneva un perfetto english style, dentro di sé ridesse a crepa pelle guardando le facce delle signore impellicciate.

Ad un certo punto, però, cominciò un ragionamento “duro” anche per i molti militanti anticamorra seduti ad assistere. Si fermò per un istante e poi lanciò la bomba: «Voi che dite di lottare la camorra sappiate che non siete immuni da pregiudizi!». Avendo la possibilità di osservare il movimento anticamorra con occhio vigile e senza preconcetti si era accorto come i circuiti frequentati da «santoni e santini» fossero eternamente uguali, determinando un paradosso: la perenne mobilitazione contro la camorra nascondeva in fondo la stagnazione della conoscenza. Si parlava, si manifestava, si sfilava, ma nessuno si accorgeva che era necessario aggiornare le analisi sull’organizzazione criminale napoletana e modernizzare i metodi di osservazione del fenomeno. Simbolicamente si serviva della storia di Nunzio Giuliano per dimostrare il pregiudizio dell’anticamorra: nessuno, da quando si era dissociato dal clan familiare (1982) dopo la morte del figlio per una overdose di eroina fornita dagli spacciatori al servizio dei Giuliano, lo aveva avvicinato per sostenere il suo nuovo cammino, la sua volontà di dimostrare che è possibile uscire dalla camorra per vivere onestamente. Il suo cognome era sempre fonte di inguaribile sospetto. Nessuno gli aveva offerto l’occasione per raccontare, e quindi comprendere, i meccanismi che avevano, ed hanno, consolidato una criminalità organizzata dotata di un forte consenso popolare. Eppure Nunzio era il primogenito di una famiglia che da tre generazioni dominava il quartiere-Stato di Forcella. Un volta morto (è stato assassinato il 21 marzo 2005 per ritorsione al pentimento del fratello Luigi) non era più possibile attingere al suo patrimonio di conoscenza. Le autorità civili, politiche e religiose presenti lo guardavano sbigottiti e non nascondo l’imbarazzo che si leggeva sul volto di alcuni di noi.

Solo più tardi, quando ho approfondito gli aspetti “immateriali” della camorra, incrociando l’universo dei neomelodici, ho compreso appieno il senso delle sue parole. Non si può pensare di entrare nei meandri più bui della complessità criminale campana fermandosi sulla soglia degli affari economici e delle connivenze politiche. Bisogna tirar su le maniche e affondare le mani in quel magma psico-sociale, che chiamiamo mentalità collettiva, per scoprire come certi atteggiamenti sono il frutto di una sedimentazione storica in cui la violenza si mescola, confondendosi antropologicamente, con temi afferenti all’identità locale, alle tradizioni popolari e allo stile di vita comunitario.

A dicembre 2009 avevo chiesto a Tom di partecipare con un suo saggio all’antologia sulle mafie Strozzateci Tutti. Aveva aderito in maniera entusiasta. Poi in una mail “asciutta” mi scriveva di essere ammalato e di non poter contribuire al progetto. Nient’altro. Nessun accenno alla gravità della malattia. Ci siamo sentiti ad aprile, è in Lunigiana (solo ora ho saputo che era lì per una terapia). Mi chiedeva alcuni documenti in mio possesso sul caso Antonio Esposito Ferraioli, vittima innocente di camorra senza giustizia (i mandanti dell’attentato circolano ancora a piede libero). Dall’ansia con cui mi formulava la richiesta compresi che aveva poco tempo per terminare il lavoro, ma mi sviò dicendo che doveva rispettare delle scadenze. Poi il silenzio. Tre giorni fa mi chiama Isaia Sales: «Marcello, Tom se ne è andato. Aveva un tumore».

Avevamo ancora tante cosa da fare insieme, ma il tempo ci ha ingannati…
ciao Tom

Marcello Ravveduto