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Droga, gioco d’azzardo e sanità: così le mafie prosperano, sfruttando anche l’emergenza Coronavirus

Droga, gioco d’azzardo e sanità: così le mafie prosperano, sfruttando anche l’emergenza Coronavirus

dia”Nel ‘paniere’ degli investimenti criminali, il gioco rappresenta uno strumento formidabile, prestandosi agevolmente al riciclaggio e garantendo alta redditivita’: dopo i traffici di stupefacenti e’ probabilmente il settore che assicura il piu’ elevato ritorno dell’investimento iniziale, a fronte di una minore esposizione al rischio”. Cosi’ la Direzione investigativa antimafia nell’ultima Relazione semestrale. Camorra, ‘ndrangheta, mafia, criminalita’ pugliese: la ‘torta’ dei giochi (106 miliardi di euro nel 2018 le sole giocate legali) fa gola a tutte le organizzazioni e le inchieste registrano rapporti di “alleanza funzionale” tra differenti clan. “Sono, infatti, sempre più frequenti i casi in cui le organizzazioni, anche al di fuori dalle regioni di origine, per massimizzare i profitti gestiscono gli affari connessi al gioco stringendo veri e propri patti criminali. Se da un lato la Camorra è quella con un interesse storicamente più risalente, la ‘ndrangheta ha certamente ‘recuperato terreno’ negli ultimi anni”, afferma la relazione, aggiungendo che “il gioco crea un reticolo di controllo del territorio, senza destare allarme sociale”, consentendo un “parallelismo con gli stupefacenti”. Inoltre, “se l’infiltrazione nel gaming on line appartiene trasversalmente a tutte le organizzazioni – che non a caso si sono ‘consorziate’ in più occasioni per fare affari – quella nel settore delle corse ippiche sembra appannaggio prevalentemente di Cosa nostra”.

Un’organizzazione “silente, ma molto attiva sul fronte affaristico imprenditoriale, sempre piu’ leader dei grandi traffici internazionali di droga, quindi in costante ascesa per ricchezza e ‘prestigio'”. E’ l’immagine della ‘ndrangheta disegnata dalla ultima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia, secondo cui “l’affermazione criminale dei clan calabresi e’ da ricondurre, in prima battuta, ai vincoli tradizionalistici e familiari, che la rendono ben salda gia’ dalla base, ossia dai legami di sangue, preservandosi in tal modo, quasi del tutto, dall’esposizione al rischio del pentitismo”. Proprio questo risulta tuttora “l’aspetto principale che pone la ‘ndrangheta quale interlocutore privilegiato per i piu’ importanti gruppi criminali stranieri, in quanto partner affidabile per qualsivoglia affare transnazionale. I narcos sudamericani, in particolare, paiono apprezzare ormai da diversi decenni l’impermeabilita’ delle consorterie calabresi a forme di collaborazione con le istituzioni, che potrebbero compromettere l’immissione nei mercati delle ingenti produzioni di droga”. Tale capacita’ adattativa “ha permesso ai clan di acquisire sempre piu’ segmenti di infiltrazione anche nel panorama politico ed istituzionale, conseguendo appalti e commesse pubbliche”. E sono proprio i rapporti con il mondo politico-imprenditoriale che consentono alla ‘ndrangheta di “replicare i propri modelli di azione nelle altre regioni d’Italia e all’estero. Contesti, quest’ultimi, dove si sono, nel tempo, stabilmente insediati numerosi affiliati, incardinati in locali che, seppur dotati di una certa autonomia, continuano a dar conto al comando strategico” calabrese. Cosa nostra si conferma “un’organizzazione da sempre solidamente strutturata secondo articolazioni gerarchiche, ma al contempo in continua evoluzione e rispondente di volta in volta alle occasioni offerte dai mutamenti della societa’”. Un sistema criminale che ha “caratteristiche diverse anche all’interno della stessa regione: se in Sicilia occidentale, ad esempio, si conferma una strutturazione cristallizzata in mandamenti e famiglie, nella provincia di Agrigento continua a registrarsi una ‘zona’ permeabile anche all’influenza di un’altra organizzazione, la cosiddetta ‘stidda’, di piu’ recente costituzione, che da clan dei pastori e’ riuscita ad elevare la propria statura criminale, fino a stabilire con le famiglie patti di reciproca convenienza e a penetrare il mondo della finanza”. In ogni caso, Cosa nostra si presenta ancora come “un’organizzazione unitaria e verticistica legata fortemente alle proprie radici territoriali, ma anche proiettata ben oltre i confini nazionali. La microcriminalita’ locale viene spesso impiegata come forma di manovalanza, garantendo in questo modo alle potenti famiglie sia il controllo del territorio, sia la ‘fidelizzazione’ dei piccoli sodalizi criminali, anche stranieri”. Le estorsioni, il “pizzo” e i traffici di droga continuano a rappresentare il core business ma “negli ultimi anni si e’ registrata la volonta’ e la capacita’ di infiltrare il settore, altamente remunerativo, dei giochi e delle scommesse legali, anche online”. In Campania, “la criminalita’ organizzata di tipo mafioso si conferma un fenomeno in continua trasformazione, anche in ragione di un tessuto sociale molto complesso. Ci si trova di fronte non tanto, come potrebbe apparire, a una caotica e piu’ o meno violenta miriade di gruppi in continua contrapposizione, quanto piuttosto a una sovrapposizione controllata e organizzata di livelli criminali: in quello superiore, trovano posto le storiche famiglie con una radicata incidenza nel tessuto sociale, pubblico ed economico; in quello inferiore si collocano gruppi meno strutturati a livello organizzativo e strategico, deputati al controllo delle attivita’ illegali su piccole porzioni di territorio”. Storiche organizzazioni camorristiche hanno creato, nel tempo, “veri e propri apparati imprenditoriali, capaci di influenzare ampi settori dell’economia, locale e nazionale: giochi, ristorazione, compartoturistico-alberghiero, edilizia e rifiuti”. A Napoli e nell’hinterland, “i sodalizi piu’ strutturati continuano ad operare tenendosi prudentemente lontani dai riflettori, traendo beneficio dall’azione criminale dei gruppi minori, cui viene relegato lo spaccio di droga, il racket sui piccoli esercizi commerciali e l’usura”. Mentre nel Casertano vanno assumendo un ruolo sempre piu’ centrale “figure di imprenditori-camorristi riusciti ad inserirsi in appalti per la realizzazione di opere pubbliche, con la spinta di organizzazioni camorristiche e la complicita’ di amministratori pubblici, ma anche a monopolizzare la gestione di interi comparti produttivi” In Puglia, infine, si e’ consolidato “uno scenario mafioso eterogeneo, connotato dall’azione di diverse organizzazioni (mafia foggiana, criminalita’ barese e sacra corona unita), ciascuna delle quali espressione di una particolare strategia criminale ed evolutiva”. A fronte di situazioni, tutto sommato di stallo, registrate nelle province di Bari, Lecce, Brindisi e Taranto, “la provincia di Foggia e’ risultata quella in cui, ancora una volta, il fenomeno mafioso ha manifestato le forme piu’ acute di violenza e aggressivita’”: il che probabilmente nasce “dall’esigenza di ristabilire gli equilibri di forza da parte di quei gruppi maggiormente destabilizzati, sia sul piano operativo che decisionale, dai numerosi arresti e dalle violente faide interne che ne hanno decimato gli organici, i cui vuoti, peraltro, sono stati costantemente risanati dalle giovani leve”. E’ la sanità il settore più appetibile e a maggior rischio di infiltrazione mafiosa in seguito all’emergenza Covid. E’ quanto si legge nella relazione semestrale della Dia inviata al Parlamento. ”La semplificazione delle procedure di affidamento, in molti casi legate a situazioni di necessità ed urgenza, potrebbe favorire l’infiltrazione delle organizzazioni criminali negli apparati amministrativi, specie di quelli connessi al settore sanitario. In proposito, la massiccia immissione sul mercato di dispositivi sanitari e di protezione individuale, in molti casi considerati ”infetti” dopo l’utilizzo in ambienti a rischio, pone un problema di smaltimento di rifiuti speciali, settore notoriamente d’interesse della criminalità organizzata”. ”Sono prevedibili, pertanto, importanti investimenti criminali nelle società operanti nel ”ciclo della sanità”, siano esse coinvolte nella produzione di dispositivi medici (mascherine, respiratori, ecc) nella distribuzione (a partire dalle farmacie, in più occasioni cadute nelle mire delle cosche), nella sanificazione ambientale e nello smaltimento dei rifiuti speciali, prodotti in maniera più consistente a seguito dell’emergenza. Non va, infine, trascurato il fenomeno della contraffazione dei prodotti sanitari e dei farmaci. Un polo di interessi, quello sanitario, appetibile sia per le consistenti risorse di cui è destinatario, sia per l’assistenzialismo e il controllo sociale che può garantire, come dimostrano i commissariamenti per infiltrazioni mafiose, nel 2019, delle Aziende Sanitarie di Reggio Calabria e Catanzaro”, si sottolinea. La ”paralisi economica” determinata dall’emergenza Covid ”può aprire alle mafie prospettive di espansione e arricchimento paragonabili ai ritmi di crescita che può offrire solo un contesto post-bellico”. E’ quanto si legge nella relazione semestrale della Dia inviata al parlamento, riferita al 2° Semestre 2019 ma con un capitolo dedicato all’emergenza Covid. Si profila così un ”doppio scenario”. ”Un primo di breve periodo, in cui le organizzazioni mafiose tenderanno a consolidare sul territorio, specie nelle aree del Sud, il proprio consenso sociale, attraverso forme di assistenzialismo da capitalizzare nelle future competizioni elettorali”. E ”un secondo scenario, questa volta di medio-lungo periodo, in cui le mafie – specie la ‘ndrangheta – vorranno ancor più stressare il loro ruolo di player, affidabili ed efficaci anche su scala globale. L’economia internazionale avrà bisogno di liquidità ed in questo le cosche andranno a confrontarsi con i mercati, bisognosi di consistenti iniezioni finanziarie”. ”Non è improbabile perciò che aziende anche di medie-grandi dimensioni possano essere indotte a sfruttare la generale situazione di difficoltà, per estromettere altri antagonisti al momento meno competitivi, facendo leva proprio sui capitali mafiosi. Potrà anche verificarsi che altre aziende in difficoltà ricorreranno ai finanziamenti delle cosche, finendo, in ogni caso, per alterare il principio della libera concorrenza”, si legge. Nel 2019 gli enti in gestione commissariale per infiltrazioni mafiose sono stati in totale 51 (di cui 25 in Calabria, 12 in Sicilia, 8 in Puglia, 5 in Campania e uno in Basilicata): “si tratta del numero, in assoluto, piu’ rilevante dal 1991, anno di introduzione della norma sullo scioglimento per mafia degli enti locali”. E’ uno dei dati contenuti nell’ultima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia, presentata dal ministro dell’Interno al Parlamento, che ricorda come a questi 51, nell’anno in corso, durante la stesura della relazione, se ne siano aggiunti altri 6, “con uno che merita una menzione particolare, quello di Saint Pierre in Valle d’Aosta (sciolto nel febbraio 2020 per ‘ndrangheta, ndr), il primo in assoluto per questa regione”.

17 luglio 2020

fonte:t/http://www.ildispaccio.it/