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Dopo 18 anni di latitanza, preso il boss mafioso Arena. Prima o poi la fine di questi criminali è segnata: la galera o la tomba. Il problema sono i “colletti bianchi”, i figli di questi criminali che risultano “puliti” quanto a fedina penale e tutta la corte di professionisti, avvocati, notati, ingegneri e tanti esponenti politici e delle stesse istituzioni che tengono ad essi bordone


Catania, preso il boss Arena, era latitante da diciotto anni
In manette insieme con lui tutta la famiglia, accusata di spaccio di stupefacenti. È stato catturato durante un blitz a Librino. Condannato all’ergastolo per un omicidio commesso nel 1989, era ricercato anche per associazione mafiosa, detenzione di armi e traffico di droga

CATANIA – Il latitante Giovanni Arena, 56 anni, ritenuto esponente di Cosa nostra e a capo dell’omonima famiglia mafiosa, è stato arrestato da agenti della squadra mobile di Catania. Inserito nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi d’Italia, era latitante dal 1993 quando sfuggì all’operazione Orsa maggiore contro la cosca Santapaola. In contumacia è stato condannato all’ergastolo per un omicidio commesso nel 1989. Era ricercato anche per associazione mafiosa, detenzione di armi e traffico di droga.

Arena è stato catturato durante un blitz compiuto da agenti della squadra mobile della Questura di Catania nel popoloso rione Librino del capoluogo etneo, che era il suo mandamento di riferimento, confermando la tesi che i boss non si allontanano molto dalla zona che controllano. Era nascosto dietro un letto a ponte che i poliziotti hanno forzato. Un identico nascondiglio era stato ricavato nell’appartamento del figlio del boss, all’ottavo piano dello stesso palazzo. ”Questa volta siete stati bravi… da vent’anni sono in questa casa…”, ha detto Arena ai poliziotti che lo hanno ammanettato.

Con Arena operava nello spaccio della droga tutta la sua famiglia. Innanzi tutto la moglie, Loredana Agata Avitabile, 55 anni, definita la ”zarina del palazzo di cemento” del quartiere di Librino, ritenuto uno dei centri dello spaccio di droga. E poi i loro figli: Maurizio, arrestato con l’accusa di omicidio il 15 novembre 1999; Agatino Assunto, finito in manette il 28 febbraio 1999, e il 27 febbraio 2010 condannato a 10 anni di reclusione per associazione mafiosa; Antonino, arrestato il 26 luglio 2011 dopo due anni di latitanza e destinatario di quattro ordinanze di custodia cautelare; e Massimiliano, che venne arrestato il 31 ottobre 2007, e poi rinviato a giudizio, per tentativo di omicidio: con due complici, il 20 dicembre 2006, avrebbero ferito con un colpo di pistola un metronotte di 52 anni nel tentativo di rubargli l’arma mentre l’uomo era in servizio davanti la guardia medica di Librino. La famiglia Arena e’ stata sempre molto unita: quando la polizia durante un blitz per arrestare il ricercato Antonino Arena, latitante da due anni, una sua sorella si mise in auto e insegui’ la pattuglia che lo portava in Questura gridando agli agenti: ”fatelo scendere, fatelo scendere…”.

Giovanni Arena era irreperibile dal dicembre 1993 quando sfuggi al blitz Orsa Maggiore, un’operazione ritenuta uno spartiacque nella lotta alla mafia nella provincia etnea coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia della locale Procura.

Ritenuto esponente di spicco dalla cosca Santapaola, e legatissimo alla ”famiglia”, è stato accusato di avere avuto un ruolo nell’attentato incendiario che il 18 gennaio 1990 distrusse la sede della Standa, allora di proprietà del gruppo Berlusconi, nella centrale via Etnea, lo stesso giorno dell’arrivo della commissione antimafia in città. Da quell’accusa Arena è stato prosciolto. Il latitante è stato condannato all’ergastolo il 28 maggio 2003 nel processo Orione 5, per l’uccisione di Maurizio Romeo, esponente della cosca rivale dei Ferrera, noti come ‘Cavaduzzu’, avvenuto ad Aci Castello il 31 ottobre 1989. A delinearne la pericolosità, secondo gli investigatori, sarebbe la sua lunga latitanza: 18 anni trascorsi ben protetto dalla ‘famiglia’, segno, sostengono, del suo inserimento a alti livelli nell’organizzazione. La sua famiglia, secondo l’accusa, avrebbe adesso una gestione ‘autonoma’, con il controllo del mercato dello spaccio di stupefacenti nel rione Librino, e in particolare del famigerato Palazzo di cemento dello stesso quartiere.

(Tratto da Repubblica – Palermo)