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Dietro le stragi di Capaci e via d’Amelio

Dietro le stragi di Capaci e via d’Amelio

I diari di Falcone e Gladio

17 Ottobre 2017

di Giorgio Bongiovanni

L’Italia, si sa, è il Paese dei misteri. Portella della Ginestra, Piazza della Loggia, Piazza Fontana, Italicus, Bologna, via dei Georgofili, San Giovanni in Laterano, San Giorgio al Velabro, Capaci, via d’Amelio. Sono solo alcune delle stragi su cui, a distanza di anni, si può asserire che non vi sia una verità completa. Spesso si conosce il nome degli esecutori materiali (a volte neanche quello) ma resta una fitta cortina che non permette di individuare i volti dei mandanti, di quelle entità tutt’altro che astratte che hanno voluto, chiesto o ordinato quegli efferati delitti. Mandanti esterni le cui tracce appaiono nelle inchieste fin qui condotte aprendo inquietanti interrogativi.
Alcune di queste piste vengono ricordate nel libro La Repubblica delle stragi impunite” (Newton Compton editori) scritto dal giudice Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Corte di Cassazione ed ex giudice istruttore di importantissimi casi di terrorismo tra cui il rapimento di Aldo Moro, in cui si contestualizzano stragi come quelle che hanno portato alla morte Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in un disegno che va oltre Cosa nostra e che si inserisce in un quadro internazionale.
In quella pubblicazione Imposimato individua delle complicità di pezzi dello Stato con la mafia, la massoneria, il terrorismo nero, organizzazioni poi fuse nella organizzazione Gladio, cioé in quella organizzazione paramilitare che si scoprirà essere stata manovrata dalla CIA.
A rivelare l’esistenza di questa struttura, nell’agosto 1990, era stato il Presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti alla Camera dei Deputati. Lo stesso Andreotti che qualche anno dopo non fu assolto ma prescritto dai giudici della Corte di Cassazione i quali decretarono che commise il reato di associazione a delinquere (in quegli anni non c’era ancora il reato di associazione mafiosa, 416 bis) commesso fino alla primavera del 1980.
La funzione ufficiale di Gladio era stata, secondo Andreotti, la difesa dell’Italia da una possibile invasione da parte della Unione Sovietica.
Fu poi la Commissione parlamentare Stragi ad accertare la verità sulla vera natura di quella misteriosa associazione, illegittima, a guida CIA (Central Intelligence Agency) e che controllava i servizi segreti italiani e altri servizi segreti del mondo occidentale. Si scoprì anche che tutti i membri di Gladio avevano il Nulla Osta sicurezza NATO. Secondo Imposimato, dunque, quell’organizzazione, ancora oggi esistente, serviva ad impedire la dinamica politica nel senso di spostare gli equilibri da destra verso il centro sinistra per rafforzare il potere, destabilizzare l’ordine pubblico e quindi stabilizzare il potere politico. 
Ma cosa c’entra Gladio con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?
 La risposta si può ricavare da quegli spunti che loro stessi avevano lasciato quando ancora erano in vita. Si pensi ad esempio ai diari di Falcone pubblicati post mortem su Il Sole 24 Ore” dalla giornalista Liliana Milella. In quegli appunti, dove si evince chiaramente tutta l’amarezza del giudice per quelle continue difficoltà incontrate nel quotidiano svolgimento del proprio lavoro di procuratore aggiunto con delega di tutte le inchieste su Cosa nostra, compare proprio il riferimento a Gladio.
In un appunto, datato 18 dicembre del 1990, Falcone parla del procuratore Giammanco: “Dopo che, ieri pomeriggio, si è deciso di riunire i processi Reina, Mattarella e La Torre, stamattina gli ho ricordato che vi è l’istanza della parte civile nel processo La Torre (Pci) di svolgere indagini sulla Gladio. Ho suggerito, quindi, di richiedere al G.I. di compiere noi le indagini in questione, incompatibile col vecchio rito, acquisendo copia dell’istanza in questione. Invece sia egli sia Pignatone (attuale procuratore capo di Roma, ndr) insistono per richiedere al G.I. soltanto la riunione riservandosi di adottare una decisione soltanto in sede di requisitoria finale. Un modo come un altro per prendere tempo”. E il giorno successivo Falcone scrive: “Non ha più telefonato a Giudiceandrea (il procuratore capo di Roma del tempo, ndr) e così viene meno la possibilità di incontrare i colleghi romani che si occupano della Gladio”.
La possibilità che Giovanni Falcone stesse indagando su Gladio ancor prima del 1990 oggi è emersa nell’ambito dell’inchiesta che la Procura di Palermo ha svolto sulla scomparsa dell’agente Antonino Agostino, ucciso assieme alla moglie Ida Castelluccio il 5 agosto del 1989. A quanto pare infatti, l’agente del commissariato San Lorenzo sarebbe stato impegnato in un delicatissimo servizio di scorta nei confronti dell’ex estremista di destra, Alberto Volo, che tra il 28 marzo ed il 18 maggio, veniva interrogato in gran segreto in Procura proprio da Falcone. Interrogatori che finirono all’interno degli atti processuali per i delitti Mattarella, Reina e La Torre in cui si parla della pista dei killer neofascisti per l’omicidio del presidente della Regione. Volo rivelò anche di aver fatto parte, dal ’67 all’80, di una organizzazione segreta che si chiamava Universal Legion ma che coincideva perfettamente con la struttura paramilitare Gladio-Stay Behind. Tutto questo è avvenuto ben prima che l’esistenza di Gladio venisse svelata al mondo e si inserisce temporalmente al tempo del fallito attentato all’Addaura. E proprio Falcone aveva parlato di menti raffinatissime” dietro a quel mancato delitto. Possibile che Falcone, le cui intuizioni sul fenomeno mafioso sono pionieristiche e più che mai attuali, avesse già allora intuito l’esistenza di un’associazione occulta e segreta pilotata da “manine” straniere, operante nel nostro Paese in maniera illegale? Possibile che proprio quell’indagine segreta potesse essere uno dei motivi che hanno portato alla condanna a morte del magistrato?

La sentenza di Capaci
Certo è che nelle sentenze sull’attentato del 23 maggio, come anche nelle motivazioni del recentissimo processo Capaci bis, si parla di ambienti esterni a Cosa nostra” che si possano essere trovati, in un determinato periodo storico, in una situazione di convergenza di interessi con l’organizzazione mafiosa, condividendone i progetti ed incoraggiandone le azioni”. Ulteriori tracce si sarebbero potute trovare proprio negli appunti di Giovanni Falcone se non fosse che qualcuno (certo non uomini di Cosa nostra) riuscì a manomettere i supporti informatici di Falcone (un personal computer Olivetti che si trovava presso il suo ufficio del Ministero di Grazia e Giustizia e l’agenda elettronica Casio SF 9000). Un dato emerso grazie alle testimonianze dei consulenti Gioacchino Genchi e Luciano Petrini che analizzarono i supporti informatici. Davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta, durante il processo nel 1996, parlarono di memorie cancellate, di file modificati e rieditati nel periodo successivo al 23 maggio. E coincidenza vuole che tra i documenti “rieditati” vi fossero anche le sintesi delle schede di Gladio.

Le parole di Borsellino

Ma la questione non si esaurisce qui. Ci fu chi mise in dubbio la veridicità degli scritti di Falcone pubblicati dalla Milella. A fugare ogni dubbio fu Paolo Borsellino nel suo ultimo discorso pubblico, il 25 giugno 1992. Un intervento particolarmente intenso ed emozionante in cui veniva ricostruito il lento e costante isolamento di Falcone, fino al tradimento di “qualche Giuda”. Ma Borsellino disse anche altro, confermando l’autenticità del diario di Falcone (questi appunti che sono stati pubblicati dalla stampa, sul “Sole 24 Ore” dalla giornalista – in questo momento non mi ricordo come si chiama… – Milella, li avevo letti in vita di Giovanni Falcone. Sono proprio appunti di Giovanni Falcone, perché non vorrei che su questo un giorno potessero essere avanzati dei dubbi”) ed esponendosi come testimone per cui voleva essere sentito dai magistrati di Caltanissetta.
Sono testimone – disse – perché, avendo vissuto a lungo la mia esperienza di lavoro accanto a Giovanni Falcone, avendo raccolto, non voglio dire più di ogni altro, perché non voglio imbarcarmi in questa gara che purtroppo vedo fare in questi giorni per ristabilire chi era più amico di Giovanni Falcone, ma avendo raccolto comunque più o meno di altri, come amico di Giovanni Falcone, tante sue confidenze, prima di parlare in pubblico anche delle opinioni, anche delle convinzioni che io mi sono fatte raccogliendo tali confidenze, questi elementi che io porto dentro di me, debbo per prima cosa assemblarli e riferirli all’autorità giudiziaria, che è l’unica in grado di valutare quanto queste cose che io so possono essere utili alla ricostruzione dell’evento che ha posto fine alla vita di Giovanni Falcone, e che soprattutto, nell’immediatezza di questa tragedia, ha fatto pensare a me, e non soltanto a me, che era finita una parte della mia e della nostra vita”. Di quali confidenze parla Borsellino? Possibile che Giovanni Falcone abbia parlato con lui anche delle indagini su Gladio e sullementi raffinatissime”? L’ipotesi non è da scartare così come è probabile che, qualora fosse vero, di questo Borsellino avrebbe scritto sull’agenda rossa che sempre aveva con sé e che è sparita dalla sua borsa il 19 luglio 1992. Un’ipotesi che nulla toglie al fatto che Borsellino in quei 57 giorni che separarono i due attentati venne a sapere dell’esistenza di una trattativa tra Stato e mafia o che stesse indagando proprio sui mandanti esterni de l’Attentatuni” di Capaci. Convergenze di interessi, appunto, che portarono all’accelerazione per la realizzazione di una seconda strage. Totò Cancemi, collaboratore di giustizia, ex boss di Porta Nuova, nonché fedelissimo di Riina, mi disse in un’intervista che Riina è stato preso per la manina per fare le stragi”. Un’affermazione che mi ha sempre fatto riflettere, ancor di più quando proprio il Capo dei Capi, intercettato mentre dialogava in carcere assieme al boss Alberto Lorusso, ha affermato: Totò Cancemi dice che dobbiamo inventare che la morte di Falcone …. che ci devi inventare, gli ho detto? Lui ha detto … inc … gli ho detto: se lo sanno la cosa è finita”. A cosa si riferiva? Forse all’interno di Cosa nostra era stata fornita una versione “camuffata” del perché si doveva compiere l’eccidio di Capaci? Chi si doveva coprire? 
Tra i tanti interrogativi non possiamo dimenticare che sul luogo della strage, nel punto in cui venne premuto il telecomando, venne ritrovato, mai spiegato, il bigliettino con il numero di un alto funzionario del servizio civile. Oppure che un pentito riconosciuto “attendibile” da svariate Corti, Gaspare Spatuzza, ci ha parlato della presenza di un soggetto “non appartenente a Cosa nostra” all’interno dei locali di Villasevaglios nel giorno in cui la Fiat 126 da lui stesso rubata veniva imbottita di esplosivo.

CIA-Gladio-Falange armata
Leggendo il libro e le interviste di Imposimato si apprende l’esistenza di altri elementi che certificano l’operato di certe strutture segrete, con il coordinamento della CIA, all’interno di quella strategia ormai nota come strategia della tensione”.  Tra questi alcuni documenti, allegati alla requisitoria del Pubblico Ministero Emilio Alessandrini sulla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, in possesso del terrorista di Ordine Nuovo Giovani Ventura. In questi si parla dell’esistenza di un governo mondiale invisibile, che aveva come struttura portante Gladio SB, in cui si parla della “guerra occulta”, cioé della strategia della tensione, alimentata dal world deep state da anni, in varie parti del mondo e di “gruppi di pressione internazionali”, tra cui Bilderberg che si valeva della CIA come braccio armato. Inoltre si fa riferimento alla necessità di compiere attentati con il sostegno di alcuni Paesi tra cui gli Stati Uniti. In un primo tempo – spiega Imposimato – queste forze (Bilderberg, CIA) appoggiavano i movimenti cattolici a tendenza liberal progressista che si andavano manifestando in tutto il mondo. Ma a partire dalla Amministrazione Kennedy con la quale la CIA conseguiva la maggiore età” – la loro posizione si orienta verso posizioni sempre più estremiste, fino a divenire un autentico governo invisibile che orienta a suo capriccio la politica governativa, con una potenza ed una abbondanza di mezzi che non hanno precedenti nella storia americana”. Poi fa riferimento al rapporto RSD/Zeta n.230 del 5 giugno 1967 per cui la CIA, in origine progettata come organismo informativo per la elaborazione della politica estera del Capo della Casa Bianca, si è trasformata in una forza di sovversione che si insinua negli affari interni degli altri paesi”. E’ andata così anche per le stragi del 1992 e quelle successive del 1993? 
Ipotesi che non sono solo suggestive. Basti pensare alle dichiarazioni dell’ex capo del Cesis Francesco Paolo Fulci al processo trattativa Stato-mafia quando, nel giugno 2015, ha raccontato delle indagini svolte sulle telefonate targate Falange Armata”, una strana sigla utilizzata ad intermittenza per rivendicare stragi e omicidi eccellenti. Interrogato dai pm aveva messo a verbale di essersi convinto chetutta questa storia della Falange Armata faceva parte di quelle operazioni psicologiche previste dai manuali di ‘Stay Behind’ (Gladio, ndr): facevano esercitazioni, come si può creare il panico in mezzo alla gente, creare le condizioni per destabilizzare il Paese, questa è sempre l’idea”. Ed al pm Roberto Tartaglia che in aula, facendo notare che quando erano cominciate le rivendicazioni della Falange Armata, l’operazione “Gladio” non esisteva più (per lo meno ufficialmente) ha domandato a chi si riferisse, l’ex ambasciatore ha risposto: vuole che gliela dica tutta? Qualche nostalgico”. Uno schema che torna, dunque, che va ben oltre le trattative tra Stato ed organizzazioni criminali. Del resto Giovanni Falcone già nell’aprile 1986 parlava dell’esistenza di realtà estremamente inquietanti e particolarmente complesse, fatte di ibridi connubi fra criminalità organizzata, centri di poteri extraistituzionali e settori devianti dello Stato, che hanno la responsabilità di avere tentato ad un certo punto perfino di condizionare il libero svolgimento della democrazia e di avere ispirato crimini efferati”.L’intuizione di un “gioco grande” che è costato la vita tanto a lui quanto a Paolo Borsellino.

 

Fonte:http://www.antimafiaduemila.com