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Di Maio:«Inutile andare a Corleone se si difende Siri»

Il Manifesto, Venerdì 26 Aprile 2019

L’AFFONDO DEL LEADER 5S. IL PREMIER PRONTO A METTERE AI VOTI LA REVOCA DEL SOTTOSEGRETARIO

«Inutile andare a Corleone se si difende Siri»

ANDREA COLOMBO

La scelta sulla sorte del sottosegretario Armando Siri non è più nelle mani del premier Conte. Di fatto, pur senza dirlo, Luigi Di Maio la ha avocata a se stesso, o meglio alla delegazione pentastellata nel governo: «Si deve dimettere e se non lo fa chiederemo con ancora più forza di farlo nel governo. Lo dico a tutti, anche al presidente del consiglio». Il copione è già scritto. Conte incontrerà Siri, insisterà perché tolga la maggioranza d’imbarazzo dimettendosi. Se le sue arti di mediatore basteranno la vicenda sarà chiusa con grande onore del premier, avvocato e diplomatico. Se Siri, e soprattutto Matteo Salvini, non sentiranno ragioni il premier proporrà al governo la revoca, la metterà ai voti e la preponderanza della delegazione a cinque stelle garantirà la cacciata del sottosegretario indagato. Inutile perdere tempo con formalismi giuridici: «Questa inchiesta non contempla il concetto di garantismo», taglia cortissimo Di Maio e c’è da chiedersi se si rende conto di quel che sta dicendo. «Rimuovere Siri è un dovere morale».

MA PROPRIO PERCHÉ il garantismo «non è contemplato» perde ogni rilevo anche quello che sarebbe altrimenti elemento decisivo: l’esistenza o meno dell’intercettazione che incastrerebbe Siri, quella in cui l’industriale dell’eolico Arata direbbe al figlio che Siri «ci è costato 30mila euro». Secondo il quotidiano La Verità quell’intercettazione non è agli atti, come dire che non esiste o che giuridicamente non esiste. IlCorriere della Sera, che per primo la aveva citata, replica pubblicando online la foto del documento della procura in cui si parla esplicitamente di quella cifra: il decreto di perquisizione nei confronti di Arata. Effettivamente è messo nero su bianco che la procura contesta «la dazione di 30mila euro da parte di Paolo Franco Arata», con l’aggiunta, da parte del quotidiano, che i magistrati sono arrivati alla contestazione sulla base di intercettazioni tra le quali quella sul costo di Siri. Ma in questo caso non si capisce bene perché, sempre che La Verità abbia ragione, proprio l’intercettazione chiave non sia agli atti. Data l’importanza del passaggio fare chiarezza sul particolare sarebbe essenziale. In questo caso, invece, non lo è affatto. Per i 5 Stelle gli atti contano zero. Il solo fatto di essere indagati per un reato che lambisce la mafia basta e avanza per il benservito. Né si può aspettare l’eventuale rinvio a giudizio, come da codice etico concordato: non arriverebbe in tempo per le elezioni europee. Salvini sembra voler tenere duro: «Siri resta dov’è, ci mancherebbe altro. I magistrati devono sentirlo al più presto». Ma lui stesso sa che, a fronte di un atto di forza dei soci a cinque stelle, si troverà in un vicolo cieco. Nel suo stato maggiore sono moltissimi gli alti ufficiali leghisti che vorrebbero staccare la spina, tanto più che Di Maio insiste con l’attacco vissuto come più insopportabile, l’accusa di mollezza o peggio con la mafia. Lo ha fatto ieri, nelle solenni celebrazioni del 25 aprile: «La mafia si combatte con l’esempio. Non andando a Corleone». Giusto il noto paese siciliano dove appunto si trovava l’altro vicepremier. «Andare lì è inutile se si difende Siri. Siri deve dimettersi o è inutile dire che vuoi liberare il paese dalla mafia, per farlo devi evitare che la politica abbia anche solo un’ombra legata a inchieste su corruzione e mafia», rincara il capo dei 5S scatenato.

DUNQUE LA PRESSIONE interna su Salvini perché stacchi la spina è forte. Però non succederà. Il leader della Lega ha già fatto capire che provocare la crisi su un caso come quello del sottosegretario alle Infrastrutture indagato sarebbe controproducente e inoltre ha deciso sin dall’inizio dell’esperienza di governo che non sarebbe stato lui ad accollarsi la responsabilità del fallimento. Non significa però che la Lega sia rassegnata alla sconfitta. Se Siri sarà costretto alle dimissioni, spiegano dallo stato maggiore del Carroccio, la guerriglia dopo le europee, a maggior ragione se i risultati rafforzeranno ulteriormente le posizioni leghiste, sarà senza tregua e su tutto. Con un obiettivo preciso: rendere ai pentastellati la vita tanto impossibile da costringerli a provocare loro la crisi, probabilmente dopo il varo della legge di bilancio. Questo almeno l’intento di Salvini. Ma con questioni come la Tav e le autonomie in campo e con il grosso della Lega vicino al punto di esplosione nessuno può essere certo che alla fine non siano proprio i nervi del Carroccio a saltare per primi.