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Detto-fatto, i 41-bis tornano a casa

Detto-fatto, i 41-bis tornano a casa

Di Matteo: “L’impressione è di uno Stato che si piega alle logiche del ricatto”

Ai domiciliari Francesco Bonura, colonnello di Provenzano

di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari

Neanche il tempo di lanciare l’allarme sul rischio che i boss detenuti al 41-bis, approfittando dell’emergenza Coronavirus, possano uscire dal carcere ed ecco il primo provvedimento.
Il boss dell’Uditore Francesco Bonura, condannato in via definitiva nel 2012 per associazione mafiosa ed estorsione a 18 anni e 8 mesi di carcere, detenuto al “carcere duro” presso il carcere Opera di Milano, potrà tornare a casa, a Palermo. A dare notizia dell’avvenuta scarcerazione di Bonura è il sito dell’Espresso.
La decisione del Tribunale di Sorveglianza di Milano parte dal solito presupposto: i motivi di salute a cui si aggiunge il rischio infezione Covid-19.
Il giudice, in un provvedimento di 3 pagine firmato il 20 aprile, sottolinea come “siffatta situazione facoltizzail magistrato “a provvedere con urgenza al differimento dell’esecuzione pena. Al contempo, escludendo il pericolo di fuga, lo ha inviato presso la propria abitazione nel capoluogo siciliano. Qui “non potrà incontrare, senza alcuna ragione, pregiudicati” ma resta comunque “autorizzato” ad uscire da casa, ogni volta che occorrerà “per motivi di salute“, anche dei familiari, o per “significative esigenze familiari. Quali esse siano non è dato sapere.
Quello delle scarcerazioni dei boss è un leitmotiv che si sta ripetendo dai primi di aprile. Fino ad oggi aveva riguardato mafiosi come il calabrese Rocco Santo Filippone, imputato con Giuseppe Graviano nel processo ‘Ndrangheta Stragista, il boss di Lamezia Terme Vincenzino Iannazzo, ma fino ad oggi non aveva mai visto applicazione per i 41-bis.
Bonura, vale la pena ricordarlo, non è affatto un boss mafioso di secondo livello. Già vicino a Bernardo Provenzano, assieme a Nino Rotolo e al medico Antonino Cinà, fu uno dei punti di riferimento della mafia palermitana dopo la cattura del padrino corleonese. Ritenuto dagli inquirenti con un ruolo di rilievo nella gestione del racket e del controllo dei lavori pubblici, venne arrestato nel 2006, nell’operazione Gotha che fermò una possibile guerra di mafia tra il gruppo di Rotolo e quello di Salvatore Lo Piccolo.
Nei giorni scorsi negli ambienti giudiziari era stato lanciato un grido d’allarme per l’esistenza di un documento, datato 21 marzo e trasmesso per conto del Direttore generale del Dap Giulio Romano a tutti i penitenziari italiani, in cui si invitava a comunicare “con solerzia alla Autorità giudiziaria, per le eventuali determinazioni di competenza“, il nominativo di quei detenuti che hanno più di 70 anni e sono affetti da determinate patologie. L’allarme riguardava la mancanza di riferimenti alla situazione giudiziaria dei detenuti.
Ed oggi, proprio il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, in una nota afferma di non aver “diramato alcuna disposizione a proposito dei detenuti appartenenti al circuito di alta sicurezza o, addirittura, sottoposti al regime previsto dall’art. 41-bis dell’Ordinamento Penitenziario“. Poi ancora sostiene che il documento del 21 marzo si tratta di “un semplice monitoraggio, quindi, con informazioni per i magistrati sul numero di detenuti in determinate condizioni di salute e di età, comprensive delle eventuali relazioni inerenti la pericolosità dei soggetti, che non ha, né mai potrebbe avere, alcun automatismo in termini di scarcerazioni“.
Quindi conclude affermando “pilatescamente” che “le valutazioni della magistratura sullo stato di salute di quei detenuti e la loro compatibilità con la detenzione avviene ovviamente in totale autonomia e indipendenza rispetto al lavoro dell’amministrazione penitenziaria“.
Al di là delle giustificazioni, tanto misere quanto meschine, resta il dato di fatto incontrovertibile che da quella circolare, a cui si aggiungeva l’indicazione trasmessa i primi di aprile dal procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi a tutte le Procure generali d’Italia con cui si suggeriva “l’opportunità di valutare le diverse opzioni che la legislazione vigente mette a disposizione per ridurre la popolazione penitenziaria“, i boss hanno visto aprirsi le porte delle carceri.
Valutazioni che superano persino il decreto “Cura Italia” che interveniva sull’affollamento delle carceri, mettendo comunque qualche paletto.
E’ evidente, però, che qualcosa non sta funzionando se anche i boss stragisti stanno ottenendo certe concessioni.
E il tutto avviene mentre il Garante nazionale per i diritti dei detenuti rende noto che “il quadro di ieri sera sulle positività in carcere, sia per quanto riguarda la popolazione detenuta (con una lieve diminuzione), sia per quanto riguarda il personale, è stazionario“.
Ieri avevamo scritto che qualora fossero state aperte le porte del carcere per gli autori delle stragi di Capaci e via d’Amelio, sarebbe stata la dimostrazione che la trattativa Stato-Mafia sarebbe andata in porto. Oggi i dubbi sembrano svanire.
Come ai tempi della trattativa e delle stragi questi mesi all’interno delle carceri sono stati caratterizzati da un certo fermento e disagio. Ieri anche il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, al processo ‘Ndrangheta stragista ha manifestato il proprio disagio.
Le medesime motivazioni che i primi di marzo avevano guidato gli scontri negli istituti di pena.
Raggiunto da ilfattoquotidiano.it il consigliere togato del Csm Nino Di Matteo ha affermato senza mezzi termini che con queste scarcerazioni “lo Stato sta dando l’impressione di essersi piegato alle logiche di ricatto che avevano ispirato le rivolte. Sembra aver dimenticato e archiviato per sempre la stagione delle stragi e della Trattativa Stato-Mafia”.
Quest’ultima scarcerazione potrebbe far da apripista a nuovi casi.
L’elenco dei boss che torna a sognare “le ali della libertà” per “incompatibilità carceraria” è di primissimo piano: da Leoluca Bagarella a Benedetto “Nitto” Santapaola, passando per gli ‘ndranghetisti Umberto Bellocco e Pasquale Condello o il camorrista Raffaele Cutolo.
Che ne possano dire i rappresentanti del Dap, del Governo o di qualsiasi altra istituzione il dato di fatto è uno solo: i boss al 41-bis tornano a casa.
Si tradiscono così i martiri caduti come il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, i magistrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tutte le vittime della mafia. Uno schiaffo in pieno volto al loro sacrificio. Mentre i boss torneranno a “brindare”.

21 Aprile 2020

fonte:http://www.antimafiaduemila.com/