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De Jesu: «Scippi e rapine, lotta prioritaria al microcrimine»

IL QUESTORE DE JESU,UNO DEI MIGLIORI INVESTIGATORI ITALIANI.COMPLIMENTI DR . DE JESU E BUON LAVORO
ASSOCIAZIONE CAPONNETTO

Il Mattino, Sabato 18 Febbraio 2017

De Jesu: «Scippi e rapine, lotta prioritaria al microcrimine»

di Giuseppe Crimaldi

Il tempo per lui non si è mai fermato. E nella sua inarrestabile corsa ha riservato un gran finale. Quando di un uomo si dice «servitore dello Stato» si rischia di cadere negli infingimenti della retorica: ma non è così per Antonio De Jesu, nuovo questore di Napoli dal primo marzo. Un ritorno in via Medina: e, mai come in questo caso, il tempo è stato galantuomo. Chi lo conosce bene, chi con lui ha lavorato – a cominciare dal prefetto Franco Malvano, che lo definisce «un grande professionista esperto nel controllo del territorio» – sa che la città ha fatto un grande acquisto. Napoletano, 62 anni (44 dei quali trascorsi nella Polizia di Stato) De Jesu è un investigatore di razza. «Per me – dice al «Mattino» da Milano, dove per un anno ha retto la Questura – tornare a casa è un motivo di grande orgoglio». E non poteva che essere così.

Cominciamo da Milano. Che esperienza è stata?

«Non esagero se dico eccezionale. Milano è una città meravigliosa. Qui ho toccato con mano l’orgoglio della gente, e ciascuno fa la propria parte. Naturalmente anche il capoluogo lombardo ha i suoi problemi: dalla microcriminalità alle infiltrazioni mafiose. Abbiamo fatto la nostra parte, ci sono stati anche momenti delicati, come quando abbiamo dovuto fronteggiare l’aggressività delle bande di delinquenti stranieri, a cominciare dalle “gang pandillas”».

A Napoli però è diverso. 

«Naturalmente mi rimetterò a studiare, anche se una base ce l’ho. Pur avendo lasciato via Medina dieci anni fa, ho continuato a vivere qui e conosco la realtà cittadina».

Che cosa è cambiato da quando lei era in prima linea sia sul fronte della microcriminalità che nell’azione di contrasto alla camorra? 

«Se parliamo di criminalità organizzata, la situazione – soprattutto in città – ha subito un cambiamento profondo. Negli anni ‘80, quando feci parte della squadra speciale anticamorra ci trovavamo di fronte a clan forti, dominanti sul territorio e profondamente strutturati. Oggi questo modello resiste solo in alcune aree della provincia. La città è nelle mani di bande di giovani e giovanissimi pronti a tutto. Poi c’è la criminalità predatoria, con i cosiddetti «reati di strada», che per me rappresentano la priorità. È il primo impegno che assumo, da questore di Napoli: non dar tregua a chi fa scippi e rapine».

Ha già in mente la strategia?

«Subito dopo l’Accademia sono entrato a far parte di quella che allora si chiamava “Squadra Volante”. Poi, dal 1995 al 2005, ho retto l’Ufficio prevenzione generale, che in una città come Napoli è una vera e propria trincea. Credo, insomma, di conoscere il fenomeno della microcriminalità. Tornando alla sua domanda le rispondo: valorizzerò il capitale umano che c’è a via Medina. Ogni pattuglia in servizio, quando esce, può dare dieci e può fare cento. Io pretenderò il massimo. Lo farò, ovviamente, stando al fianco del personale. Conosco bene la realtà napoletana come so di poter contare sulla professionalità di colleghi che danno sempre il massimo».

Questore, se si guarda alle spalle che cosa vede? 

«Una carriera dedicata alla Polizia di Stato. 1973: Accademia di Polizia; subito dopo Napoli, alla “Squadra Volante”, e subito alla sezione speciale anticamorra: anni terribili. Nell’82 venni ferito durante un conflitto a fuoco con un gruppo di cutoliani, a Caivano. Dirigente in commissariati di frontiera – Mercato, Giugliano, San Giorgio a Cremano – ho lavorato nel 1986 alla Squadra mobile e poi per dieci anni all’Upg, fino al 2005. Infine, sempre a Napoli, vicario fino al 2007. A Milano ho sviluppato un piano di controllo del territorio, lo stesso che nel dicembre portò ad intercettare il terrorista Anis Amri a Sesto San Giovanni».

Poi sono arrivati gli incarichi di vertice. 

«Sono stato questore ad Avellino, due anni, i tre anni successivi a Salerno e infine a Bari, prima di arrivare a Milano».

Un’ultima domanda, proprio su Milano. Qual è il livello di pervasività delle mafie nel capoluogo lombardo?

«La ‘ndrangheta, in particolare, resta una piaga. Le ‘ndrine calabresi sono attive e devastanti. Anche perché utilizzano la strategia del diavolo, il quale fa di tutto per dimostrare di non esistere. Invece c’è, e fa male. Oggi il pericolo più grosso è proprio questo: la tentazione di non vedere il livello d’infiltrazione delle mafie nel territorio, anche in quello spesso apparentemente sano di una società».