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Daphne Caruana Galizia, ecco la «pista italiana» per la reporter uccisa a Malta

Il Corriere della Sera, 25 Ottobre 2017

Daphne Caruana Galizia, ecco la «pista italiana» per la reporter uccisa a Malta

La giornalista d’inchiesta aveva denunciato più volte un boss maltese, arrestato dalla procura di Catania per il suo ruolo in un traffico illegale di petrolio dalla Libia all’Europa

di Francesco Battistini; Felice Cavallaro; Luigi Ippolito, corrispondente da Londra

La «pista italiana» per l’omicidio di Daphne

(Luigi Ippolito) Il Guardian ha rilanciato la pista «italiana» per l’omicidio della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, avvenuto il 16 ottobre. In particolare, il quotidiano britannico ha sentito il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, che ha detto di «non poter escludere» che le persone coinvolte in una sua inchiesta siano dietro l’assassinio di Daphne. Si tratta di una indagine sul contrabbando di petrolio fra Libia, Malta e l’Italia e le persone coinvolte erano state più volte nominate negli articoli della giornalista.

L’indagine sul petrolio

(Felice Cavallaro) Zuccaro, con gli ufficiali della Guardia di Finanza, ha sgominato un traffico di petrolio rubato in Libia, rivenduto dai terroristi dell’Isis e approdato anche nei porti italiani: 30 carichi per un totale di circa 80 milioni di chili di carburante, pari a 30 milioni di euro con Iva evasa per 11 milioni. Zuccaro non si occupa direttamente dell’omicidio. Ma le informazioni che rimbalzano su Catania confermano una sua convinzione: «Sappiamo che Malta è da tempo crocevia di molte attività illecite che riguardano l’Italia e, in particolare, la Sicilia. Ecco perché la nostra indagine aveva suscitato l’interesse della cronista», che «la seguiva e si interessava dei protagonisti di questo torbido affare internazionale». Interesse concentrato soprattutto su alcuni nomi che spiccano nell’inchiesta sfociata in sei arresti, tre ai domiciliari, 50 indagati.

Come funzionava il passaggio di petrolio?

«Nel triangolo di mare tra il caos della Libia, l’isola di Malta e la Sicilia ogni giorno navigano cargo che vogliono mantenere segreta l’identità e il carico trasportato. Negli anni hanno cambiato nome e armatore, hanno issato vessilli diversi ma sempre «di convenienza», concessi da Paesi dove le capitanerie fanno poche domande», scrivevano il 91 novembre 2016 Felice Cavallaro e Davide Frattini sul Corriere, rivelando la «rotta delle navi fantasma». Quelle navi, mascherate da pescherecci, spegnevano i trasponder per non farsi «tracciare», caricavano petrolio contrabbandato «in porti libici» e una volta ripartite dalla Libia, «incrociano i complici al largo di Malta e il petrolio (o i suoi derivati) viene trasbordato dall’uno all’altro, spesso con un ulteriore passaggio per nascondere le tracce»: un modo per confondere l’origine del petrolio, parte dei proventi del quale «non è escluso abbiano foraggiato l’Isis».

Il «capo» libico e i legami con la mafia

(Felice Cavallaro) Su tutte quelle citate nell’inchiesta sul traffico di petrolio spicca quella di un capo della milizia libica, Fahmi Mousa Saleem Ben Khalifa, soprannominato «il Malem», il capo, fuggito dal carcere nel 2011 con la caduta di Gheddafi, adesso sospettato di sostenere l’Isis, ma anche un uomo che alcuni collaboratori di giustizia indicano in collegamento con il clan mafioso Santapaola-Ercolano. In carcere è finito d’altronde anche il catanese Nicola Orazio Romeo, 45 anni, personaggio double face visto che diversi pentiti lo considerano vicino allo stesso clan, per questo già denunciato nel 2008, ma con un marchio di mafiosità ritenuto non provato dal Gip nell’inchiesta che tanto accese l’attenzione di Daphne Galizia.

La sponda genovese

Oltre al «Malem», una figura centrale in questo traffico — secondo quanto riportato dal «Secolo XIX» — è quella di Marco Porta, 48 anni. La sua società, la Maxcom Bunker (con base operativa a Genova), secondo gli inquirenti aiutava a immettere nel mercato il petrolio illegalmente giunto dalle coste libiche.

L’ex calciatore maltese

(Luigi Ippolito) La scorsa settimana è stato poi arrestato a Lampedusa, nell’ambito dell’inchiesta di Zuccaro, un cittadino maltese, Darren Debono, accusato di essere l’uomo che collegava Romeo, Porta e i trafficanti. Debono, ex calciatore della nazionale maltese, è titolare di diverse società anonime di Malta e del ristorante «Scoglitti», a La Valletta, frequentato dal jet set e da personaggi di spicco della politica locale. Anche un parente di Debono, Gordon Debono, è stato arrestato a Catania. I maltesi non sono stati ufficialmente accusati di un coinvolgimento nella morte di Daphne. Tuttavia la giornalista aveva menzionato Debono sul suo blog, dicendo che «faceva molti affari con la Libia». Non solo: aveva scritto dei legami tra Debono e il partito laburista maltese. E aveva aggiunto di aver ricevuto minacce dalla famiglia di lui.

I 42 dossier e l’attendibilità della pista catanese

(Francesco Battistini) Troppe piste, nessuna pista. Come spesso accade per gli omicidi di giornalisti investigativi, il caso Caruana Galizia rischia d’essere un tormentone senza soluzione. I 42 dossier aperti nel pc della blogger, che solo il figlio Matthew conosce a fondo, vanno dal traffico illegale di petrolio a quello dei migranti, dal riciclaggio di denaro mafioso ai tesori dei libici in esilio, dalle misteriose società off-shore (60mila!) registrate a Malta ai mille segreti dei politici locali, che siano il premier Muscat o il capo dell’opposizione, Dalia. Il tutto, in un’isola che mal sopportava Daphne e la sua ostinata voglia di rompere l’omertà sull’illegalità. Ciò che rende al momento più attendibile la pista «catanese» è ciò che collega l’autobomba alle altre cinque esplosioni (mai risolte) che negli ultimi due anni han fatto di Malta il paese Ue col più alto numero d’attentati del genere, in rapporto alla popolazione. Per i maltesi, dietro questa catena di tritolo stile libanese c’è proprio Debono. Ma finora Debono, se questa è roba sua, se l’era presa solo con criminali comuni o gente implicata in traffici non sempre chiari. Perché alzare il tiro con un’azione così clamorosa? E soprattutto, per conto di chi?