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Dall’Emilia alla Sicilia, la mafia sommersa. Il prefetto: “Bisogna tenere alta l’attenzione”

La Repubblica, 28 ottobre 2019

Dall’Emilia alla Sicilia, la mafia sommersa. Il prefetto: “Bisogna tenere alta l’attenzione”

La presentazione del libro sul processo “Aemilia”. Antonella De Miro: “Tentativi di delegittimazione contro l’azione di prevenzione. Le interdittive sono state avversate”

di redazione

Anche a Palermo ho avvertito qualche tentativo di delegittimazione, proprio come a Reggio Emilia”. Antonella De Miro, oggi prefetto del capoluogo siciliano, denuncia un clima pesante attorno ai suoi provvedimenti, soprattutto le interdittive. “Ho dovuto querelare Enrico Colajanni – ha spiegato oggi in un convegno allo Steri – per le falsità dette nei miei confronti”. Colajanni è uno dei leader del movimento antiracket, l’animatore di “Libero futuro” che l’anno scorso il prefetto De Miro ha cancellato dall’albo delle associazioni antiracket perché ritenuto non più “affidabile”, per la presenza di persone vicine ad ambienti mafiosi o a soggetti comunque contigui.

Di tentativo di delegittimazione, il prefetto parla anche per le parole pronunciate dall’ex assessore del Comune di Mezzojuso, il generale in pensione Nicolò Gebbia, che dopo l’ispezione al Comune (per verificare infiltrazioni mafiose) ha accusato Antonella De Miro di essere “compagna di merende” del conduttore Tv Massimo Giletti, che si è occupato a lungo di Mezzojuso con la storia delle sorelle Napoli che si battono contro la mafia dei pascoli e soprattutto contro l’indifferenza di un’intera comunità.

Al convegno si parla del processo “Aemilia” che ha svelato l’infiltrazione dell’Ndrangheta al Nord. L’occasione è la presentazione del libro del giornalista scrittore Paolo Bonacini, “Le centro storie di Aemilia – il più grande processo italiano alla ‘Ndrangheta” (Editrice Socialmente). “Un’indagine senza precedenti – dice Bonacini – che ha svegliato una comunità da un sonno durato vent’anni. Nell’ottobre 2018, sono stati emessi 1500 anni di carcere”.

Al tavolo della Sala delle Capriate ci sono il procuratore di Reggio Emilia, Marco Mescolini, che ha rappresentato la pubblica accusa contro 220 fra boss dell’Ndrangheta e loro insospettabili complici nel mondo dell’economia e della politica; il procuratore generale di Reggio Calabria Dino Petralia e il presidente della Corte d’appello di Palermo Matteo Frasca. “Sembra di ripercorrere una vecchia storia siciliana – dice Salvatore Cusimano, il direttore della sede Rai siciliana, che coordina il dibattito – siamo di fronte a una società che si è consegnata al malaffare con la complicità di esponenti della politica e delle professioni. E poi, solo un pezzo di Stato ha lottato il crimine organizzato; un altro pezzo ha trattato”.

Reggio Emilia come Palermo anni Settanta-Ottanta, quando in molti negavano l’esistenza stessa della mafia. “Ci voleva una donna siciliana, una donna che ha fatto solo il suo dovere – dice ancora Cusimano – per iniziare a smuovere le acque con protocolli di legalità, ben 36, e soprattutto con le interdittive”. Fu questa azione di prevenzione a scatenare quella che Antonella De Miro chiama, citando i magistrati, “un accordo politico-mafioso-mediatico, un accordo per delegittimare”. L’avvocato Taormina arrivò a denunciare il prefetto per falso. Mentre gli ‘ndranghetisti auguravano il “quieto vivere” al prefetto. Qualcuno arrivò a dire che la mafia era in prefettura.

La sfida resta sempre la stessa – dice oggi il prefetto di Palermo – capire la mafia, che appare silente e sommersa, una mafia che fa affari”. In Emilia “erano venuti a fare soldi, non a ripulirli”, racconta il procuratore Mescolini. Avevano sperimentato il sistema delle false fatturazioni per rimpinguare le casse dei clan. Tanta liquidità per poi fare nuovi investimenti.

Attenti a dire che la sconfitta della mafia stragista è la sconfitta di tutta l’organizzazione criminale. Bisogna mantenere alta l’attenzione”, è l’appello del prefetto di Palermo. Il rettore Fabrizio Micari ha annunciato che sarà consegnata una laurea honoris causa ad Antonella De Miro, in Scienze dell’educazione e della formazione.