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L’ombra della Magliana su Mafia Capitale 

lunedì 22 febbraio 2016 10:41 – 

L’ex boss della banda Antonio Mancini conferma tutte le sue accuse (mai provate) a Carminati: “non prenderà più di 5 anni” 

+ Codice da incorporare Mancini, ex boss della Magliana, su Mafia Capitale e Carminati 

 

“Massimo Carminati  era diverso da noi della banda, era uno silenzioso, riservato: parlava poco insomma. Fu lui a uccidere il giornalista Mino Pecorelli”. Antonio Mancini, uno dei capi della banda della Magliana insieme a Danilo Abbruciati, Franco Giuseppucci, Maurizio Abbatino ed Enrico De Pedis, conferma le sue accuse a “er Cecato”:  “Quando l’ho conosciuto Carminati gli occhi li aveva tutti e due”. Conferma nonostante Carminati sia stato sempre assolto, anche dall’accusa  di aver ucciso il 20 marzo del 1979, in via Orazio a Roma, il giornalista Mino Pecorelli, all’epoca direttore di Op. “Ti assolvono quando hai  conoscenze importanti… quando hai fatto favori. Carminati aveva rapporti con i servizi segreti”.

Come fa a dirlo?

“Perché lo so… da sempre. E’ dal ’94 che lo dico… Da quando ho iniziato a collaborare con la giustizia. Ma non m’hanno mai dato retta”.  Eppure non fu il solo a puntare il dito contro “er Cecato”, anche un altro pentito, Maurizio Abbatino, lo tirò in ballo per la strage di Bologna e per il delitto Pecorelli.

“Carminati era l’unico a poter prendere il mitra Mab ritrovato sul treno Taranto Milano –  racconta Mancini – Erano in due ad avere le chiavi del deposito al ministero della Sanità… quel mitra era nostro”. L’ex boss della banda della Magliana col suo forte accento romanesco ricorda una delle pagine più brutte della nostra storia, quella della strage alla stazione di Bologna, col depistaggio sul treno Taranto Milano: “Volevano indirizzare le indagini verso una pista internazionale… Comunque Valerio Fioravanti e Francesca Mambro con la strage non c’entrano…”.

Ma quel mitra?

“Era nostro”. Eppure per l’accusa in merito al depistaggio Carminati fu assolto in appello, grazie alla testimonianza di Sergio Calore… “Che ne sapeva lui… Calore non era mai entrato nel deposito”.

Di Carminati e di quel mitra Sergio Calore non potrà più raccontare. L’ex terrorista di destra e collaboratore di giustizia è stato ucciso nel 2010 con trenta colpi di piccone. Il suo omicidio è rimasto irrisolto. Come  altri feroci reati. Alcuni sono rimasti fra i misteri d’Italia. Stragi e delitti accompagnati da migliaia di pagine di verbali e testimonianze. Pagine dove spesso si trova traccia del Cecato…  assolto, archiviato, prosciolto. Con Mafia Capitale Massimo Carminati  è tornato sul banco degli imputati: “Anche stavolta  non sconterà più di cinque anni, il massimo della pena che noi della banda avevamo stabilito”.

Secondo lei c’è qualcuno sopra Carminati?

“C’è sempre qualcuno sopra di noi…”.

Nicolino Selis e Franco Giuseppucci furono uccisi entrambi… Entrambi avevano cercato e individuato il covo-prigione di Aldo Moro… 

“Una coincidenza… Non c’è alcun legame con il sequestro dell’ex presidente democristiano”. Eppure i due omicidi sembrano inserirsi in una scia di morti violente o comunque sospette apertasi nel maggio del 1978, legate tutte dal medesimo filo rosso. Il killer del clan Proietti che eliminò Franco Giuseppucci colpì sì un elemento di primissimo piano della banda della Magliana, ma anche uno dei testimoni più importanti dei rapporti, in occasione del sequestro di Aldo Moro, tra delinquenza organizzata, apparati dello Stato e potere politico.  

Oggi Antonio Mancini aiuta i disabili. E’ un uomo libero. Nessuna  pendenza. E nessuna prudenza.

Sulle pagine del suo sito lei scrive “Chi ha fatto paura non può avere paura”… Lei è un pentito, non teme nessuna vendetta?

“Tutte le volte che ho avuto paura ho avuto anche la forza di vincerla… Ho 68 anni, io che ero convinto di non raggiungere i trenta! Non mi preoccupo… Quando arriveranno mi troveranno in piedi”.

Raffaella Fanelli