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Da Remocontro.Dai partiti collusi con la mafia alle liste civiche dei clan (di Guido Ruotolo)

Remo contro � La virt� del dubbio

Dai partiti collusi con la mafia alle liste civiche dei clan

Oggi i partiti non ci sono più mentre le mafie continuano a prosperare, ci spiega impietoso Guido Ruotolo. Nuovo ceto politico amministrativo senza filtri, senza principi e senza regole. Soprattutto in Calabria e Campania, dice la commissione antimafia. La strana legge sullo scioglimento delle amministrazioni locali per infiltrazioni mafiose. La minaccia oggi.

Di  01 giugno 2016 
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C’era un tempo in cui i partiti erano collusi con la mafia. Anzi, c’erano esponenti politici collusi con la mafia. Ricordate Salvo Lima in Sicilia? Storia strafinita. Oggi i partiti non ci sono più mentre le mafie continuano a prosperare.
Oggi le mafie trovano i loro referenti nelle liste civiche che hanno preso il sopravvento. In Calabria e in Campania, soprattutto. Fa impressione il nuovo ceto politico amministrativo senza filtri, senza principi e senza regole. Spesso si tratta dei trombati dai partiti perché impresentabili, che hanno deciso di tentare la fortuna con liste fai-da-te.

Sono significativi i dati che riporta la relazione della Commissione Antimafia sulle candidature alle amministrative del 5 giugno. Dal campione di 13 comuni esaminati, emerge che sono state presentate 118 liste elettorali: solo 25 in 5 dei 13 comuni esaminati, sono liste riconducibili ai simboli dei partiti nazionali. Tutte le altre sono liste civiche.

C’era una volta il partito. Che decideva chi candidare e chi far eleggere. Ogni partito aveva una sua commissione di garanzia che vagliava le candidature. E poi, quelli erano anni in cui si conoscevano tutti, i candidati o i candidabili non erano extraterrestri. C’erano anche le cordate interne ai partiti che con le preferenze riuscivano a orientare gli esiti elettorali.

Soprattutto in Sicilia, in Campania e in Calabria a un certo punto, la fine degli anni Ottanta, era forte la presenza delle organizzazioni criminali nella gestione degli enti locali e degli stessi consigli
comunali.

Un fatto di cronaca violenta (una sparatoria con addirittura una testa mozzata) in un comune della Piana di Gioia Tauro, Taurianova, dove la ‘ndrangheta era forte, convinse il Parlamento ad approvare una legge per lo scioglimento dei consigli comunali per condizionamenti mafiosi.

Era il 1991 e un Parlamento ondivago – che solo un anno dopo approvò il 41 bis ma solo dopo la strage Borsellino, essendosi rifiutato di farlo con motivazioni garantiste dopo la strage di Falcone – introduceva una legge che nei fatti sospendeva le regole democratiche per fronteggiare l’emergenza mafiosa.

Un quarto di secolo dopo, quella legge esiste ancora. Anche se riformata, ha continuato prima a far commissariare i comuni per 18 mesi e quindi a scioglierli per infiltrazioni mafiose. Sono stati colpiti centinaia di comuni a stragrande maggioranza del sud. Decine di comuni sono stati sciolti più volte negli anni.

Ma a cosa è servita una legge antidemocratica per fronteggiare l’emergenza? Verrebbe da rispondere a nulla, visti i risultati. Una legge che sospende il consiglio elettivo solo sulla base dei sospetti, dei presunti legami amicali o parentali di consiglieri e amministratori comunali o anche di funzionari e burocrati degli stessi enti locali, dovrebbe bonificare il territorio, impedire che si ripropongano intrecci e affari indicibili tra mafie e amministratori.

Venticinque anni dopo l’emergenza continua. I partiti hanno sprecato l’occasione per procedere alla autoriforma della politica. In alcune aree del Paese, la provincia di Caserta e in Calabria, il fenomeno di infiltrazioni mafiose negli enti locali è drammaticamente diffuso.

Ieri i commenti della politica alla relazione dell’Antimafia sui candidati alle amministrative sono stati complessivamente auto assolutori. Solo otto casi di incandidabilità nei 13 comuni esaminati (ma a tempo scaduto il prefetto di Caserta ha comunicato altri 19 casi di incandidabilità.

Basta parlare con magistrati ed esponenti delle forze di polizia per essere fortemente pessimisti. Le indagini in corso, gli arresti, le commissioni d’accesso negli enti locali, sono tutti elementi che
raccontano quanto questo Paese continui ad essere malato.

È la politica che dovrebbe prendere l’iniziativa. Prima che le liste civiche si trasformino nelle proiezioni politiche dei diversi clan che affamano il Paese.

Guido Ruotolo
Guido Ruotolo, giornalista che si occupa dei fatti degli altri “in pratica da sempre”, così confessa. Prima al Manifesto poi alla Stampa con cui ancora collabora. Quello che non confessa Guido, è di essere forse il giornalista italiano con più fonti e maggior conoscenza sulla Libia. Oltre ad antiche frequentazioni d’antimafia. È anche fratello gemello di Sandro, il Ruotolo televisivo, da cui ha deciso finalmente di distinguersi dopo infinite confusioni, passando dal baffo alla barba.