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Da Left,La mafia dell’antimafia

Quella esposta in questo articolo riguarda una questione che sta all’attenzione della magistratura inquirente e che  si riferisce  alla  gestione dei beni confiscati sulla quale noi,per rispetto degli inquirenti,non vogliamo mettere becco.Saranno questi a far luce e noi aspettiamo fiduciosi il loro responso.
Vogliamo,invece,ritornare sul problema generale del modo di porsi della cosiddetta “antimafia sociale”,sul suo ruolo,sui suoi comportamenti e ciò perché,quando si parla di questo,la gente é portata a generalizzare e a fare di tutt’erba un fascio.
Leonardo Sciascia parlò di ………….”professionisti dell’antimafia” alludendo evidentemente a tutte quelle persone – sono tantissime- che in nome dell’antimafia,anzicché combattere le mafie come dovrebbero,pensano ai propri interessi personali,economici,politici  o di qualsiasi altra natura.
Una vergogna che,oltre ad  arrecarci danni rilevanti sul piano dell’immagine e della credibilità,ci addolora e ci fa arrossire.
E’ capitato anche a noi   di vederci avvicinati da persone che volevano aderire all’Associazione Caponnetto per avvantaggiarsene in termini di voti e di quattrini.
“Chiediamo alla Regione,ai Comuni,all’Agenzia  aziende,ville,finanziamenti e quant’altro possa metterci in condizioni di guadagnare e di dare lavoro”,ci siamo sentiti dire da qualcuno.
Noi non siamo un ufficio di collocamento o un’agenzia di affari.Siamo,invece,un’associazione antimafia il cui unico scopo é quello di individuare  e possibilmente far arrestare e privare di ogni bene i mafiosi.Punto.
Essendo,peraltro,un’associazione libera,autonoma,da tutto e da tutti,inquadrata nel volontariato, siamo tenuti a svolgere il nostro lavoro GRATUITAMENTE e senza alcun interesse.
Chi lo fa per soldi o per motivi politici,personali o collettivi,non fa antimafia.Fa business  e tradisce le finalità per le quali dice di essere nato.
Ladri,schifosi,traditori,che noi non vogliamo fra di noi.
Nell’Associazione Caponnetto debbono starci persone serie,motivate,che non pensano a voti e quattrini e che vogliono dare il loro contributo aiutandoci nelle indagini,per poi girare a chi di competenza,magistratura soprattutto e corpi specializzati,i risultati che a nostre spese riusciamo a conseguire.
Tutto qua.
Perciò noi diciamo a tutti che il compito nostro é quello di INDAGARE,DENUNCIARE e PROPORRE.
Punto.
Ma indagare significa non guardare la fontanella che non scorre o la piazza dissestata.Questa non é antimafia,ma altra cosa,politica o amministrazione.Cose che esulano dalle nostre competenze che non sono né di carattere politico,nè di carattere amministrativo.Chi vuole eventualmente utilizzarci per queste cose,va    SUBITO  allontanato.
Affaristi,parolai,politicanti di strapazzo non debbono trovare accesso all’Associazione  Caponnetto.Noi godiamo di stima e prestigio ed il nome che portiamo ci carica di responsabilità enormi e,quindi,non possiamo confonderci con delinquenti ed opportunisti  che noi invitiamo sempre ad andare altrove.
Left

La mafia dell’antimafia che avevamo previsto 

 settembre 11th, 2015 0 Primo piano
La mafia dell’antimafia che avevamo previsto

L’avevamo scritto a marzo, in tempi addirittura sospetti per chi subisce il soffio delle priorità ed emergenze sotto dettatura: era ilhttp://www.left.it/2015/03/20/no-austerity/‘, ‘ numero 10 di Left’]);” style=’href: “http://www.left.it/2015/03/20/no-austerity/“‘ target=_blank> numero 10 di Left e Pino Maniaci, tra il fumo e le veline della sala di montaggio della sua piccola televisione comunitaria Telejato giù a Partinico, a cento passi da Corleone, ci aveva parlato del suo lavoro d’inchiesta su quella che senza esitazioni ha definito “la mafia dell’antimafia”. Ed è dalla voce di un coraggioso e pluriminacciato giornalista di provincia che è scaturita l’indagine che in queste ore fa tremare Palermo: la Procura di Caltanissetta contesta il reato di corruzione, induzione alla concussione e abuso d’ufficio a Silvana Saguto, presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, il marito e ingegnere Lorenzo Caramma, e Gaetano Cappellano Seminara, il più noto fra gli amministratori giudiziari dei beni sequestrati alla mafia.

http://www.left.it/public/uploads/2015/09/dscf1450_1024x768.jpg‘, ”]);” style=’href: “http://www.left.it/public/uploads/2015/09/dscf1450_1024x768.jpg“‘ rel=lightbox-0>dscf1450_1024x768

A dare notizia dell’inchiesta è stata la stessa Procura che ha diramato un comunicato “allo scopo – si legge – di evitare il diffondersi di notizie inesatte”: “Su disposizione della Procura della Repubblica di Caltanissetta militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo, in alcuni casi con la diretta partecipazione dei magistrati titolari del relativo procedimento penale, hanno eseguito ordini di esibizione nonché decreti di perquisizione e sequestro. Questi atti istruttori – prosegue la nota – sono stati compiuti per acquisire elementi di riscontro in ordine a fatti di corruzione, induzione, abuso d’ufficio, nonché delitti a questi strumentalmente o finalisticamente connessi, compiuti dalla presidente della sezione Misure di Prevenzione del tribunale di Palermo nell’applicazione delle norme relative alla gestione dei patrimoni sottoposti a sequestro di prevenzione, con il concorso di amministratori giudiziari e di propri familiari”.

Pino Maniaci ci aveva snocciolato i numeri impressionanti di aziende confiscate e gestite da Gaetano Cappellano Seminara, parcelle milionarie e soprattutto un patrimonio immenso di imprese sotto l’amministrazione di un’unica persona. Una scelta certamente poco produttiva oltre che inopportuna. E non è un caso che negli ultimi mesi se ne siano occupati sia la Commissione Antimafia guidata da Rosy Bindi che la Commissione antimafia regionale siciliana oltre ad alcune trasmissioni televisive. Lo stesso Prefetto Caruso (ex direttore dell’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati) pur senza fare nomi aveva denunciato l’eccessivo potere in mano a pochi nella gestione dei beni mafiosi.

Eppure ricordo benissimo i sorrisini che accompagnavano le denunce di Pino Maniaci come se in fondo un giornalista così poco pettinato, così puzzolente di sigarette e fuori dall’antimafia borghese avesse una credibilità tutta da dimostrare. Non bastano le minacce, non bastano le inchieste: nel salotto buono dell’antimafia ci entri solo se hai imparato le buone maniere, le cortesie istituzionali e la moderazione. Mica per niente uno come Peppino Impastato ci avrebbe pisciato sopra all’antimafia di maniera che va forte in questi anni. E anche Pino Maniaci, certamente. Ora che l’indagine è in corso (ed è “terribilmente seria” come ci dice qualcuno dagli uffici appena perquisiti nel Tribunale di Palermo) partirà la solita litania dei contriti che piangeranno lacrime di polistirolo.

Su quel numero di Left scrivemmo delle tante piccole realtà antimafia e di giornalisti mica da copertina che avevano un coraggio da custodire con cura. E forse ci avevamo visto giusto, eh.

http://twitter.com/giuliocavalli‘, ‘@giuliocavalli’]);” style=’href: “http://twitter.com/giuliocavalli“‘ target=_blank>@giuliocavalli