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Da Il Messaggero Veneto .Abate:”La Mafia è fra di noi.Silente”

Abbate: la mafia è tra noi, silente

UDINE. Tre autori per fare il tutto esaurito. Abbate, Bignardi e Cerno non deludono il pubblico della prima edizione di LibINsieme, ieri in Fiera a Udine. Ad aprire il pomeriggio il giornalista che con la sua inchiesta ha scoperchiato il baratro di Mafia Capitale. «Questa è gente brutta che fa male, a Roma lo sanno, lo sanno anche nelle redazioni dei giornali che questa gente non si deve neanche sfiorare. Perché si deve mettere nei guai?» Già la prima pagina di “I re di Roma” (Chiarelettere) di Lirio Abbate e Marco Lillo, non dà scampo a equivoci. La risposta «perché è il mio lavoro», nemmeno.

L’ autore di scottanti inchieste giornalistiche sulle mafie e la criminalità, incalzato dalle domande del giornalista del Messaggero Veneto, Domenico Pecile, ha spiegato le trame dell’inchiesta iniziata due anni fa e condotta in prima persona, arrivata poi all’attenzione dell’opinione pubblica con la copertina dell’Espresso ( con i quattro volti dei presunti sovrani della città capitolina: Carminati, Senese, Fasciani, Casamonica ) e passata all’attenzione della magistratura. Il racconto di Abbate e la sua lucida riflessione su Roma sono quanto di piú truce si possa immaginare. Perché caduto il velo dell’ipocrisia, crollati tutti gli alibi, nessuno può piú far finta di nulla, voltarsi dall’altra parte, dire che non sapeva, sindaci compresi: «Se dici che non sai, vuol dire che sei disattento e allora devi essere rimosso. Il lavoro di un amministratore è sapere». E ancora: «La mafia dei film non c’è piú, Non si spara e cosí si fanno piú affari. La mafia ha bisogno di pace sociale. Destra e sinistra sono uguali. Il colore dei soldi è verde».

La terra di mezzo, come sarà lo stesso Carminati a definirla, è un limbo dove si mettono in comunicazione “i morti e i vivi”, spostando l’asse fra i due regni grazie a un sistema rodatissimo di connivenze capaci di muovere enormi quantità di denaro, orientare la concessione di appalti, infiltrarsi in qualsiasi settore pubblico e mantenere saldo il controllo su questo territorio sconfinato grazie all’intimidazione e al ricatto, ove non sia sufficiente ungere ruote.

Una saga per nulla fantasy con nomi e cognomi. «Abbiamo perduto completamente la percezione che la mafia sia intorno a noi: quando la mafia non uccide, nessuno piú se ne ricorda. E oggi la mafia uccide solo se è costretta. Persino al funerale dei Casamonica c’è voluta la musica del Padrino per farci capire, attraverso un grande show, che si trattava di una famiglia mafiosa. Eppure nessuno l’aveva mai “attenzionata”, nemmeno dopo il caso Carminati». Una possibilità per salvarsi e prevenire? chiede Pecile. «L’arma migliore è la cultura del rispetto della legalità e una buona informazione. Allo stesso modo – aggiunge Abbate – anche territori come i vostri possono essere infiltrati silenziosamente. A Palermo, in due anni, ci sono stati “solo” due omicidi. Questo non significa che la mafia sia sparita. Anzi! Gli apparati investigativi dovrebbero guardare non solo all’evasione fiscale, ma soprattutto agli investimenti che arrivano, agli acquirenti che si presentano con soldi cash e denaro facile, pronti a rilevare aziende, strutture turistiche … Certo, chi è in crisi non si pone la

questione, di questi tempi». «La svolta – chiude infine Abbate –, deve arrivare da tutti noi. Siete la regione dove si legge di piú. Continuate a farlo. Esportate questa abitudine. I libri servono per sconfessare la mafia, sputtanarla e evitare che si riproduca».