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Da Giornalettismo .”Noi denunciamo la mafia “.L’”antimafia “ della retorica non serve a niente.La mafia corre a 300 chilometri all’ora,l’antimafia a 20. Home – Inchieste – «Noi denunciamo la mafia» «Noi denunciamo la mafia»

«Noi denunciamo la mafia»

 

Lo ‘Stato colluso’ che vince sullo ‘Stato Stato’. L’antimafia inadeguata. La politica troppo spesso assente o corrotta. Elvio Di Cesare, fondatore dell’associazione Antonino Caponnetto, ci racconta l’Italia che soccombe alla criminalità organizzata e il suo personale impegno nella lotta ai clan.

In Italia «lo ‘Stato mafia’ prevale sullo ‘Stato Stato’». «L’antimafia non si è adeguata ai mutamenti radicali della criminalità organizzata». E la politica «non ha fatto nulla» per intervenire efficacemente e contrastare il fenomeno. È la dura analisi di Elvio Di Cesare, ex funzionario pubblico, oggi impegnato in prima persona nella lotta ai clan, in particolare nella sua terra, il Basso Lazio, attraverso l’associazione antimafia Antonino Caponnetto che ha fondato nel ‘99, un gruppo in espansione radicato ormai in diverse regioni del paese. Di Cesare dice di preferire l’antimafia «di trincea» e «d’attacco» all’antimafia meramente culturale, indicandola come unica via possibile per provare a migliorare un sistema in realtà «irriformabile», «marcio», «corrotto». Racconta la collaborazione con le procure, le intimidazioni subite, la sfiducia nelle istituzioni. «Mi occupo di antimafia 24 ore su 24», rivela. E cita Borsellino per spiegare le motivazioni che animano lui e gli altri associati: «Al momento di morire voglio essere in grado di poter guardare negli occhi i miei figli».

 

elvio di cesare 3

 

Dott. Di Cesare, di quale mafia ci dobbiamo maggiormente preoccupare? Di quella delle estorsioni ai piccoli commercianti o di quella che fa affari sugli appalti?
Guardi, su questo noi abbiamo deciso di alzare il tiro. Riteniamo la situazione in Italia veramente seria, estremamente pericolosa. Ci troviamo di fronte a organizzazioni criminali che si sono imposte delle mutazioni radicali. Quindi puntiamo soprattutto alle mafie di carattere economico, di carattere politico, di carattere istituzionale. Riteniamo che siano quelle le più insidiose, quelle che in effetti detengono il potere reale. Sono i famosi colletti bianchi a dare gli ordini ad una mafia di carattere rurale, di livello basso, di livello militare, quella mafia che esegue direttive che vengono da menti molto più raffinate, molto più insidiose. Ecco, questo ci pone in una situazione di diversità rispetto a tanti altri che si limitano a guardare il livello militare delle organizzazioni criminali trascurando invece l’effettiva dimensione di organizzazioni che per pervasività e invasività hanno ormai raggiunto livelli altissimi, arrivando in Parlamento, nel governo, nelle varie assise, nei consigli regionali, comunali. Il lavoro nostro è incentrato sulla ricerca di collusioni e interrelazioni tra mafie militari e mafie politiche e istituzionali.

Se lei parla di governo e di Parlamento mi obbliga a farle un’ulteriore domanda…
Prego.

Ha qualche persona in particolare da indicare come appartenente ad una di queste grandi organizzazioni criminali?
Intanto ci sono degli atti giudiziari che hanno interessato esponenti di governo, del Parlamento, consiglieri regionali, sindaci, eccetera. È un lavoro sul quale purtroppo fino ad oggi si lamentano molti ritardi da parte degli organi istituzionali. Su questo punto siamo molto critici perché riteniamo che l’attenzione anche della magistratura, soprattutto da parte delle Procure ordinarie, sia stato limitato a livello basso delle mafie. Devo dire però che ci sono delle eccezioni. La Dda di Napoli ad esempio è sempre stata molto attenta al livello alto della mafia. Ma la stessa attenzione noi non l’abbiamo avuta da parte della Dda di Roma, fino a quando non è arrivato il nuovo procuratore capo, il dottor Giuseppe Pignatone, il quale si è trovato in una situazione veramente seria, nel senso che oggi si vede costretto ad affrontare un lavoro che si sarebbe dovuto fare anche negli anni andati. Da parte di alcune procure, non è certamente il caso delle Dda di Napoli, Palermo e Reggio Calabria, è mancata quella attenzione sufficiente per debellare un fenomeno che oramai è diventato talmente al punto da interferire con gli organi centrali.

Nei suoi interventi Lei parla addirittura di un «sistema non riformabile», «marcio», e ripete anche che «il germe della criminalità sta nel sistema». Davvero il sistema non è più riformabile?
Chiaramente questa è una mia opinione personale. In questo momento parlo come persona, non a nome dell’associazione Caponnetto. Vengo da una lunghissima esperienza politica e istituzionale e, conoscendo fatti, mentalità, costumi, ritengo veramente che sia irriformabile il sistema. Oramai è così corrotto, così marcio, che francamente credo sia irriformabile. Ribadisco però che si tratta di una mia opinione personale, non voglio certamente seminare disperazione. Poi nel nostro lavoro è necessaria sempre una buona dose di speranza. Altrimenti ci dovremmo considerare già sconfitti.

Come si può invertire il rapporto di forza tra quelli che lei definisce lo ‘Stato Stato’ e lo ‘Stato mafia’? Da dove si comincia?
Questo è un discorso che investe un po’ aspetti sociologici, culturali. Ci vuole un sussulto d’orgoglio da parte dei cittadini, dalla parte sana della società. Francamente io non vedo via d’uscita, almeno al momento. Dipenderà tutto dai cittadini. Stiamo seguendo con viva partecipazione ad esempio la rivolta delle popolazioni campane.

Lei prima ha citato i magistrati della Dda. In passato abbiamo conosciuto i Dalla Chiesa, i Falcone, i Borsellino. È con gli eroi che si combatte la mafia?
Una società che è alla ricerca di eroi e non di persone normali è una società già morta. Noi non abbiamo bisogno di eroi. Noi abbiamo bisogno di persone che credono in certi valori, che non siano omertose, che quotidianamente facciano il proprio dovere di cittadini con la ‘C’ maiuscola. Purtroppo la realtà ci pone di fronte a una fotografia diversa della società che ci circonda. Siamo pochi. Lo ‘Stato mafia’ è oramai lo Stato maggioritario anche sul piano delle articolazioni sociali rispetto allo ‘Stato Stato’ che è rappresentato da un pugno di persone perbene, di magistrati, di intellettuali, di giornalisti d’inchiesta, di cittadini coraggiosi che vogliono combattere contro la corruzione e l’illegalità. Si è dunque in minoranza rispetto ad un oceano di corrotti e vili. Il famoso detto ‘Tengo famiglia’ serve come alibi per dire ‘Ma, sai, io non vedo, non sento, non parlo’. E le organizzazioni criminali trovano proprio alimento da questo clima di omertà, di paura, di adattamento che regna nel Paese.

Dai tempi di Falcone e Borsellino quanto è migliorato o peggiorato il contrasto alla criminalità organizzata?
Andiamo avanti a momenti di emergenza. Ci accendiamo facilmente quando succedono fatti delittuosi, sanguinari per poi spegnerci il giorno successivo. Tenga presente che domani (mercoledì, nda) ci sono le manifestazioni indette dalle ‘agende rosse’ di Salvatore Borsellino. Anche noi parteciperemo. Anche noi abbiamo lanciato degli appelli. Ma io vedo che a queste manifestazioni, come anche ai nostri convegni, la maggioranza dei cittadini non partecipa. Sono sempre manifestazioni che vedono una partecipazione molto ridotta perché la gente si accende facilmente nei momenti di emergenza, nei momenti di lutto, per poi dimenticare il giorno dopo. Purtroppo questo è un atteggiamento costante nella vita di questo Paese.

Dal punto di vista prettamente investigativo Lei considera l’azione di contrasto più incisiva oggi o in passato?
C’è molta impreparazione e disattenzione da parte dello Stato e delle sue rappresentanze. Lei sicuramente avrà seguito la vicenda delle esternazioni, delle dichiarazioni di Carmine Schiavone. Questa messa in pubblico di dichiarazioni fatte 20 anni fa ha messo in evidenza un fatto: che noi ci troviamo di fronte ad uno Stato che ha eclissato, che ha secretato dichiarazioni che rappresentavano veramente un allarme per il Paese, arrivando a negare addirittura realtà che sono sotto gli occhi delle persone più attente, degli osservatori più acuti. Oramai si è creata una sovrapposizione. Mentre prima la mafia e quella parte dello Stato collusa camminavano su binari paralleli, da alcuni anni c’è stata una sovrapposizione delle due dimensioni, delle due realtà, tra politica corrotta e mafie. Fino ad arrivare allo ‘Stato Stato’ e allo ‘Stato mafia’ che si combattono tra di loro. La lotta si è ridotta quindi a due modelli di Stato. Lo ‘Stato mafia’ rappresentato dalla parte più collusa, più corrotta, del nostro governo, e lo ‘Stato Stato’ rappresentato dallo Stato di diritto. Oramai quando si parla di Stato si parla di due Stati. Riteniamo che la situazione sia notevolmente peggiorata rispetto alle vicende che hanno portato all’assassinio di Falcone e Borsellino e di altri. Questo deriva anche da quel processo di mutazione delle mafie che oggi non sono più quelle di vent’anni fa. Da parte dello Stato non c’è stata l’ansia di adeguarsi alle nuove realtà. I processi di mutazione che hanno investito le mafie non hanno riguardato anche con l’antimafia. Oggi l’antimafia istituzionale si limita ad attaccare prevalentemente i livelli bassi. Dal punto di vista dell’antimafia sociale, invece, quella che riguarda noi, le associazioni ma non solo, il discorso diventa ancora più delicato. Noi siamo tra i pochi in Italia a fare un tipo di antimafia di trincea, diversamente da tante altre associazioni che si limitano a fare un’antimafia più di carattere culturale, che non è efficace sul piano di un vero attacco. Il famoso detto latino recita: ‘Mentre a Roma si discute Sagunto viene espugnata’. Mentre qua si chiacchiera le mafie movimentano ogni secondo tonnellate di soldi finendo per occupare anche gli spazi minimi di vivibilità civile, democratica. Ci sono dei ritardi da parte dell’antimafia. Corre a 20 chilometri all’ora mentre la mafia corre a 300. Loro si sono completamente trasformati fino ad occupare quasi tutto. L’antimafia va molto a rilento con metodologie d’attacco inefficaci. Questo è l’aspetto più dolente di tutto il quadro.