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Da Antimafia Duemila.Casal di Principe,a lezione del capo della DIA

CASAL DI PRINCIPE ,a lezione  del capo della Dia

Per Giuseppe Linares la camorra sta attraversando una fase di “zombificazione”

di RAFFAELE SARDO

Casal di Principe, a lezione dal capo della Dia
Giuseppe Linares 

CASAL DI PRINCIPE – “A Napoli  e provincia c’è la “zombificazione” della camorra”. Ricorre alla metafora cinematografica Giuseppe Linares, capocentro della Direzione investigativa antimafia di Napoli, per spiegare un fenomeno che è diventato più sfuggente, ma che coinvolge gruppi sempre più consistenti di giovani leve e influenza i comportamenti di minori che scorrazzano indisturbati per le strade della città di Napoli.

L’occasione è il corso di “Giornalismo investigativo in terra di mafia” organizzato dall’Ucsi (Unione cattolica stampa italiana)  che si tiene a Casal di Principe dal 4 al 6 settembre, ed è promosso insieme al consorzio di Agrorinasce,  in collaborazione con l’ordine dei giornalisti della Campania e il patrocinio della Fnsi.

Linares,  investigatore di lungo corso, arrivato a Napoli  dopo aver diretto la Divisione anticrimine della questura di Trapani,  spiega ad alcune decine di giornalisti nella sede dell’Università per la legalità, il metodo investigativo della Dia.

“La camorra napoletana è un’orda.  Un’orda senza cervello  –  dice Linares a una platea molto attenta –  a differenza della mafia e della ‘ndrangheta che sono organizzazioni monolitiche. A Napoli ci sono 49 clan. In provincia di Napoli 50. Ogni giorno ce né uno nuovo, oppure uno vecchio muore. Questo dà una situazione di “zombificazione” che le forze di polizia territoriali devono affrontare”

“Compito della Dia in Campania  –  afferma il capo della Dia napoletana – è arrivare a comprendere se esiste una borghesia mafiosa di ceti inseriti nei vari settori produttivi. Ve la immaginate una borghesia campana  che finge di disinteressarsi di ciò che avviene nell’inferno casertano? Nell’inferno della terra dei fuochi? Nell’inferno della periferia napoletana, dove vivono masse di persone che non hanno altra scelta se non quella di darsi allo spaccio e alle estorsioni e poi diventare militari di una camorra globulare fatta di tanti clan?  E’ pur vero  – aggiunge Linares  – che  per vent’anni qualcuno in Sicilia ci ha voluto far credere che la borghesia mafiosa non esistesse. Invece, lo hanno spiegato anche vecchi film come “In nome della legge” di Pietro Germi, c’era un universo medievale siciliano dove la borghesia patrizia controllava il popolo che fino agli anni Cinquanta aveva una dimensione agro-pastorale-contadina e lo controllava segretamente con una sua polizia, che erano i mafiosi. Il commissario Cattani ne “la Piovra”  –  ricorre ancora al cinema Linares per rendere chiari alcuni concetti –  per caso un  giorno va a una festa e si rende conto che sono presenti tutti: il presunto capo della mafia, il sindaco, il prefetto. Tutti i ceti abbienti del corpo sociale siciliano e siamo agli anni Ottanta. In Campania gli zombi che vediamo ogni notte sono la manovalanza, ma  chi dialoga con questa  gente, chi li controlla?”

Linares ricorre poi alla filosofia per spiegare  il controllo sociale dell’impresa e, soprattutto dell’impresa legata alla criminalità. “Il primo a teorizzare la possibilità di controllare la gente attraverso il sistema produttivo è stato Immanuel Kant. Se io sono un imprenditore, non sono altro che uno stakeolder (un portatore di interessi) di un sistema, dove c’è il titolare dell’impresa, i dipendenti, il dirigente, i fornitori  e le famiglie di tutti questi soggetti. E se controllo questi soggetti, controllo l’intero settore che caratterizza quell’azienda. Controllo i suoi operai, i suoi dirigenti, controllo i suoi fornitori. In ultima analisi, controllo il voto di queste persone”.

Ma l’investigazione sta sperimentando sempre nuove frontiere, perché le mafie hanno una capacità di adattamento molto veloce. “Oggi si preferisce la corruzione perché si rischia di meno. La corruzione per appalto pubblico ha un costo penale estremamente basso. Ci sono leggi non adeguate. Le mafie più strutturate si inseriscono nelle situazioni di “anomia”, cioè dove vi sono carenze di leggi per cercare di  avere un rischio minore rispetto al guadagno sempre molto elevato. Se sei colpevole di corruzione, a esempio, non ti possono fare il sequestro dei beni.  Se qualcuno dà un miliardo a me che sono un pubblico ufficiale e c’è un reato di corruzione, mi sequestrano solo quel miliardo. Nessuno va a vedere se io ho dieci palazzi. Se, invece, vengo

condannato per traffico di droga, oltre al miliardo che mi trovano, mi sequestrano tutte le case e tutte le macchine, eccetera. Significa che in questo momento  le mafie hanno capito che la corruzione conviene di più. Quindi non ci dobbiamo sorprendere che c’è una “mafia capitale” che si auto struttura e non utilizza la pistola. L’Italia è una nazione malata. Che, però,  non accetta di essere ammalata di mafia”.