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Cucchi, un detenuto al pm «Stefano mi disse di essere stato picchiato»

Superperizia per stabilire le cause del decesso. La Procura valuta l’ipotesi dell’omicidio colposo per i medici

ROMA (4 novembre) – Da un lato l’omicidio preterintenzionale e il possibile pestaggio, dall’altro le eventuali responsabilità dell’ospedale. Procede su due fronti l’inchiesta della procura di Roma sulla morte di Stefano Cucchi, arrestato per droga e morto sei giorni dopo in ospedale. Alle due diverse versioni fornite dal giovane detenuto sulle circostanze in cui si sarebbe procurato la frattura di due vertebre e i lividi sul volto, se ne aggiunge adesso una terza: picchiato.

Ieri i pm Vincenzo Barba e Francesca Loy durante un sopralluogo a Regina Coeli hanno interrogato un detenuto e due guardie penitenziarie che si sono occupate dei trasferimenti del trentunenne romano. E proprio il detenuto ha riferito che Stefano gli aveva raccontato di essere stato «menato da amici miei», facendo riferimento a uomini in divisa. Ma nulla più su circostanze e modalità di un presunto pestaggio. Ancora tutto da chiarire.

I magistrati valutano soprattutto le versioni differenti fornite da Stefano: ha detto ai medici del Fatebenefratelli, dove era stato trasferito dal carcere di Regina Coeli, di essere caduto dalle scale il 30 settembre, giorno successivo al suo compleanno, mentre al momento del ricovero nella struttura protetta del Pertini ha sostenuto di essersi procurato le ferite accidentalmente, cadendo la sera prima all’Isola Tiberina. Così nelle prossime ore i pm potrebbero sentire altri detenuti. Agli atti anche il primo esito degli accertamenti autoptici che attribuiscono le lesioni sul corpo di Cucchi a un’epoca precedente al 16 ottobre.

Ma si procede anche su un altro fronte. Quello relativo alle condizioni di salute del detenuto e alla mancata nutrizione forzata in ospedale. Ieri i magistrati hanno interrogato per due ore, come persona informata sui fatti, Aldo Fierro, primario della struttura protetta del Pertini. Il medico ha consegnato ai pm Barba e Loy una memoria e ribadito quanto risultava già dalla cartella clinica e reso noto al senato dal ministro Alfano: la volontà del paziente di non divulgare notizie sulle sue condizioni di salute. Secondo il primario, che ha fatto riferimento a un protocollo d’intesa tra Asl e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, le comunicazioni sullo stato di salute del paziente sarebbero potute avvenire solo dopo il via libera del Tribunale.

L’accordo regola la diffusione delle notizie. Il medico ha sostenuto anche che il paziente non avrebbe rifiutato di alimentarsi in modo assoluto, ma di assumere acqua e cibo con costanza. Circostanza che, sulla base di una relazione dei suoi collaboratori, il 21 ottobre aveva indotto il primario a preparare una relazione per il giudice Maria Inzivari, il magistrato che aveva convalidato l’arresto di Cucchi disponendone la custodia cautelare in carcere. Al giudice Fierro voleva chiedere quali iniziative assumere. Il giorno successivo, però, Cucchi era già morto. E la relazione non è mai partita.

Oggi toccherà ai due collaboratori di Fierro e a due infermieri di rispondere alle domande dei magistrati. Ma sarà la superperizia a definire, anche in questo caso, l’esito dell’inchiesta: le cause del decesso non sono ancora chiare. Se in ospedale le condizioni del paziente fossero state sottovalutate, oltre al reato di omicidio preterintenzionale, i pm potrebbero ipotizzare quello di omicidio colposo. La perizia stabilirà se il decesso di Stefano, oltre alle lesioni derivanti da un ipotetico pestaggio, possa essere stato determinato anche da incuria durante il ricovero.
Valentina Errante

(Tratto da Il Messaggero.it)