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Cosa nostra: sequestrati oltre sei milioni di beni a imprenditore ”vicino” a Messina Denaro

Cosa nostra: sequestrati oltre sei milioni di beni a imprenditore ”vicino” a Messina Denaro

I rapporti tra la famiglia Clemente e quella del superlatitante risalgono a quando a capo del mandamento di Castelvetrano c’era Ciccio Messina Denaro

di AMDuemila

11 Marzo 2020

Sono stati sequestrati beni per oltre sei milioni di euro dalla Dia di Trapani a un imprenditore di Castelvetrano (Trapani), Nicolò Clemente, arrestato nel luglio 2018 per partecipazione in associazione mafiosa e sotto processo al Tribunale di Marsala. Per l’imprenditore è stata anche proposta la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno, perché indiziato di appartenere all’organizzazione mafiosa Cosa nostra. Si è arrivati a questa misura in quanto, secondo gli investigatori, i presupposti a tali misure trovano fondamento nelle molteplici risultanze investigative, provenienti da indagini svolte dalla Dia di Trapani e coordinate della Dda di Palermo, volte a disarticolare la rete dei consociati più ‘vicini’ al latitante Matteo Messina Denaro, attraverso l’individuazione e l’eliminazione dal mercato delle ‘imprese mafiose’ che costituiscono le principali fonti di approvvigionamento finanziario dell’organizzazione di Castelvetrano.
L’arresto dell’uomo e l’odierno sequestro prendono le mosse dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia castelvetranese Lorenzo Cimarosa e, anche, da quelle di Giuseppe Grigoli, entrambi condannati in via definitiva quali appartenenti alla famiglia mafiosa di Castelvetrano, che indicavano in lui una delle più attive espressioni imprenditoriali di quel sodalizio mafioso, capace di infiltrare e condizionare il tessuto economico locale nei settori dell’edilizia pubblica e privata. Non solo. Anche nel commercio del conglomerato bituminoso, al fine di assicurare all’associazione significative risorse finanziarie. Tratto caratteristico dell’attività del mandamento mafioso di Castelvetrano è, infatti, la presenza, nel tessuto organizzativo della consorteria, di mafiosi-imprenditori che, sfruttando la forza di intimidazione promanante da un sodalizio resosi responsabile notoriamente di gravissimi fatti di sangue, hanno finito per soffocare ogni possibilità di libera esplicazione dell’iniziativa economica nel settore delle costruzioni edili e del calcestruzzo.

Un vecchio legame
Il contesto familiare di Clemente, secondo gli inquirenti, è stato, da sempre, parte dello “zoccolo duro” dell’associazione mafiosa attiva nella città di Castelvetrano. E proprio il fratello Giuseppe, associato di primissimo rango e facente parte della cerchia più ristretta e fidata degli amici del latitante Matteo Messina Denaro, è stato condannato per il reato di associazione mafiosa e per alcuni omicidi, commessi, in concorso, proprio con il citato latitante. Pericoloso killer di Cosa nostra trapanese Giuseppe Clemente esercitava l’attività imprenditoriale insieme al fratello Nicolò. Dopo la condanna all’ergastolo, sempre Giuseppe, afflitto da crisi depressive, si è suicidato in carcere nel 2008, nel giorno del compleanno dell’amico Messina Denaro, scongiurando definitivamente il pericolo di poter cedere alla tentazione di collaborare con la giustizia, circostanza vissuta con grande timore dall’associazione mafiosa e dalla sua stessa famiglia.
I due fratelli sono figli di Domenico Clemente, cugino dello storico capomafia Giuseppe Clemente, classe 1927, condannato per essere stato capo decina della famiglia mafiosa di Castelvetrano al tempo in cui tale sodalizio, nonché l’intero mandamento di Castelvetrano, erano diretti da Francesco Messina Denaro, padre della primula rossa di Castelvetrano.

Soci storici
Secondo i magistrati, il legame storico tra queste due famiglie, all’interno del sodalizio mafioso, risulta anche di tipo imprenditoriale nella società ‘Enologica Castelseggio s.r.l.’, attività costituita negli anni ottanta (oggi definitivamente confiscata), in quanto diretta espressione delle famiglie mafiose di Castelvetrano e strumento per riciclare il denaro di provenienza delittuosa. L’elenco dei soci era del tutto sovrapponibile a quello dei più importanti rappresentanti delle famiglie mafiose di Castelvetrano. Le indagini condotte hanno dimostrato come Nicolò Clemente, forte del suo rapporto diretto e privilegiato con Matteo Messina Denaro, abbia nel tempo sistematicamente partecipato, attraverso le proprie aziende, alla spartizione delle commesse nel settore delle costruzioni edili e del calcestruzzo, che avveniva all’interno di un circuito mafioso/imprenditoriale del quale facevano parte, oltre a lui, gli imprenditori Giovanni Filardo, Giovanni Risalvato, lo stesso Lorenzo Cimarosa (tutti condannati definitivamente per associazione mafiosa).
Per gli inquirenti l’imprenditore colpito oggi dalla misura di confisca, è risultato pienamente inserito nel contesto mafioso-imprenditoriale castelvetranese, attraverso una logica spartitoria ispirata dai vertici della famiglia mafiosa ed attuata mediante il sistematico ricorso alla violenza e alla minaccia nei confronti dei committenti riottosi a piegarsi di fronte alla sua caratura mafiosa. Dalle indagini è emerso come controllasse e delineasse il territorio “…come quannu lu attu va pisciannu dunni va camminannu…” (come fa il gatto che urina per delimitare il proprio territorio), manifesto programmatico della volontà di esercitare la forza intimidatrice mafiosa, confessato dallo stesso Clemente nel corso di un dialogo di rara chiarezza e forza probante. Dopo tutte queste risultanze investigative, il tribunale di Trapani ha disposto il sequestro dell’intero compendio aziendale della Società Clemente costruzioni s.r.l., calcestruzzi Castelvetrano s.r.l. e Selinos s.r.l., di numerosi terreni e fabbricati e di depositi bancari, per un valore complessivo stimato in oltre sei milioni di euro.

fonte:http://www.antimafiaduemila.com/