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Corruzione in atti giudiziari, Bigotti finisce agli arresti

Il Fatto Quotidiano, sabato 23 febbraio 2019

Corruzione in atti giudiziari, Bigotti finisce agli arresti

SAUL CAIA E ANDREA OSSINO

D a un lato Ezio Bigotti, un imprenditore già finito nell’inchiesta Consip che cerca di fuggire alle indagini che rischiano di farlo finire in manette con l’accusa di false fatturazioni. Dall’altro, Massimo Gaboardi, un tecnico nel settore petroli che sarebbe stato pagato per collaborare nella redazione di un falso verbale utile al complotto per destituire i vertici dell’Eni. Storie diverse che ieri hanno portato a un epilogo identico: Bigotti e Gaboardi sono stati arrestati perché accusati di corruzione in atti giudiziari e falso. ll gip di Messina, Maria Militello, ha disposto gli arresti domiciliari. C’è un’altra cosa che accomuna l’imprenditore al tecnico petrolifero: entrambi sono entrati in contatto con Pietro Amara e Giuseppe Calafiore, gli avvocati che oltre a pilotare le sentenze del Consiglio di Stato, vantavano un’amicizia alla procura di Siracusa. L’amicizia era quella di Giancarlo Longo, l’ex sostituto procuratore già condannato a 5 anni di reclusione. È a lui che Amara e Calafiore, che la scorsa settimana hanno patteggiato a Roma condanne dai 3 anni ai 2 anni e 9 mesi di carcere, si sarebbero rivolti per aiutare Ezio Bigotti.

QUEST’ULTIMO era già stato indagato in un’altra indagine, quella sull’appalto Fm4 della Consip. Il titolare di un’azienda rivale, l’ormai noto Alfredo Romeo, in quell’occasione pensava che “i vertici Consip favorissero la Cofely, capogruppo di un raggruppamento temporaneo di imprese (Rti) di cui faceva parte una società riconducibile a tale Bigotti, imprenditore (…) legato a Verdini”. Ma non è per questo motivo che Bigotti aveva chiesto aiuto ad Amara. L’obiettivo questa volta era quello di far approdare un fascicolo sulle false fatturazioni, nato a Torino e giunto poi a Roma, sul tavolo del pm Longo, magistrato ritenuto “amico” che finirà con il chiedere l’archiviazione di Bigotti. Per riuscire nell’intento, Longo avrebbe acquisito verbali “materialmente e ideologicamente falsi, poiché precedentemente formati da Amara”. “Calafiore – si legge negli atti –per la vicenda Bigotti ricorda di avere ricevuto da Amara 20 mila euro da dare a Longo (…). Si trattava di quattro mazzette da 5 mila euro con banconote da 50 euro che Calafiore ha fatto pervenire a Longo mettendogliele in una busta nel bagno privato dell’ufficio”. Operava così il “sistema Siracusa”. Anche quando si trattava di complottare ai danni dei vertici Eni. È in questo caso che viene avvicinato il tecnico Massimo Gaboardi, coinvolto nella vicenda in virtù dell’amicizia che lo lega a Alessandro Ferraro, il factotum di Piero Amara, legale della società petrolifera.

IL SUO NOME si legge negli atti della Procura di Trani, dove era stata depositata una registrazione audio in cui si ascolta Gaboardi dialogare con un soggetto anonimo sul progetto “di destabilizzare i vertici Eni”. Nonostante i tre esposti anonimi, redatti da Amara, e la registrazione audio, la Procura di Trani sembrava orientata ad archiviare, perché “l’insieme delle investigazioni svolte non hanno consentito di trovare certi e sicuri riscontri su quanto asserito dall’anonimo estensore”. L’avvocato riesce però a far trasferire l’intero fascicolo a Siracusa, a disposizione del pm Giancarlo Longo, che il giorno prima di ferragosto riceve la denuncia di Ferraro. Quest’ultimo racconta di essere stato sequestrato da “due uomini di colore e un italiano con accento milanese” perché avrebbe appreso, mentre si trovava in un ristorante milanese, del “complotto Eni”. Qualche mese dopo, Ferraro si presenta ancora da Longo e deposita “un dossier di Massimo Gaboardi”, a convalida della sua tesi. Il magistrato ascolterà per ben due volte il tecnico Eni, nella seconda il verbale era già “precompilato” da Amara e Calafiore, in modo da creare un atto falso redatto con il “chiaro scopo di costituire delle prove false per confermare la credibilità” di Ferraro.