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Contromafie 2009. Impegno e coraggio, trasformare la paura in speranza

Sono passati 3 anni dal primo Contromafie organizzato da Libera. All’epoca c’era il Governo Prodi. E nei confronti di quella classe politica veniva stilato un manifesto conclusivo con una serie di richieste specifiche per potenziare la lotta alla mafia. L’anno successivo quel governo cadeva e mezza Italia conferiva nuovamente il potere a un Premier capace di violentare a più riprese la Costituzione. L’incipit del messaggio che spiega il significato della manifestazione è chiarissimo: “Contromafie è un appuntamento associativo e civile ricorrente, uno strumento di lavoro che LIBERA propone per offrire progettualità e contenuti all’associazionismo che si occupa di lotta alle mafie e che si batte per legalità e giustizia sociale; ulteriore obiettivo è la verifica degli esiti del confronto avviato con le istituzioni, con la politica e altri soggetti, a partire da quanto contenuto nel Manifesto finale di ogni edizione. Il messaggio degli Stati generali è duplice, ovviamente negativo (contro le mafie) ma soprattutto positivo (per i diritti della Costituzione): è necessario “essere contro” tutte le mafie e la corruzione, le illegalità e i soprusi, ma è più importante “essere per” costruire percorsi e spazi di libertà, cittadinanza, informazione, legalità, giustizia, solidarietà”.
Don Luigi Ciotti, presidente di Libera, arriva con netto anticipo. Di seguito è la volta di tutti gli altri ospiti. Ma è sicuramente l’attesa dell’arrivo del Presidente della Repubblica quella che agita il servizio di sicurezza. Alessandra Clemente, figlia di Silvia Ruotolo, assassinata per errore dalla Camorra nel 1997 a 39 anni, legge il messaggio di Giorgio Napolitano. La gente applaude. Poco dopo arriva il Presidente della Repubblica che si sistema in prima fila accanto al presidente della commissione antimafia, Giuseppe Pisanu.
Don Tonino Palmese (Libera Campania) introduce la prima giornata ringraziando il folto gruppo dei familiari delle vittime di mafia presente in sala. Tra questi anche Vincenzo Agostino, padre dell’agente Nino Agostino, con la sua inconfondibile barba bianca, assieme alla moglie Augusta.
Dopo il saluto del sindaco Alemanno è la volta del presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti che senza tergiversare ricorda la gravità del mancato scioglimento per infiltrazione mafiosa del comune di Fondi. Applausi scroscianti. Che proseguono quando Zingaretti informa che la sala stampa della Provincia di Roma verrà intitolata a Peppino Impastato.
E’ la volta di don Ciotti. Prima ancora che inizi a parlare il pubblico presente si alza in piedi in un lunghissimo applauso. Il grido di don Ciotti scuote come sempre. E’ un grido, ma è anche una preghiera urlata contro l’indifferenza, contro la rassegnazione. E mentre parla della responsabilità delle Chiese don Luigi ricorda che anche da parte loro troppo spesso “contro mafia c’è troppa neutralità, troppi eccessi di prudenza”. “Dobbiamo ribadire l’incompatibilità tra il Vangelo e la criminalità organizzata. Non ci può essere una mafia devota, non si può appartenere alle mafie e far parte della Chiesa”. Il presidente di Libera sottolinea l’importanza del “NOI”, del “costruire insieme” per poi ricordare una frase di Antonino Caponnetto: “la mafia ha più paura della scuola che della giustizia” evidenziando l’importanza di una cultura antimafia. “La nostra Costituzione va vissuta – afferma con forza – e fatta viva… deve diventare carne… vita concreta”.
Don Ciotti analizza poi i 3 anni trascorsi dalla prima edizione di Contromafie. Le speranze, le disillusioni, le sconfitte e i piccoli risultati ottenuti. Risultati che sono però ancora agli albori delle richieste stilate nel Manifesto del 2006 anche se “non è mai venuto meno l’impegno della magistratura e delle forze dell’ordine”. Tanti sono ancora i nodi da sciogliere: dalla gestione dei beni confiscati, ai testimoni di giustizia, dall’attenzione nei confronti dei familiari delle vittime di mafia, alla lotta contro il riciclaggio, fino ad arrivare al testo unico antimafia. “I segnali sono preoccupanti – insiste don Ciotti – la politica deve essere al servizio della collettività”. “Impegno e memoria, per essere sempre alla ricerca della verità”. Ed è con un ricordo di Rita Atria che don Luigi riporta l’attenzione alla tomba di questa ragazza rinnegata dalla famiglia sulla cui lapide non c’è il nome. “Ma quel nome lo portiamo dentro di noi, così come il nome di tutte le vittime delle mafie che non vogliono essere ricordate, vogliono che noi continuiamo il loro impegno! E questo ce lo chiede anche Giuseppina, la vedova di Pio La Torre, scomparsa da poco…”. Dopo aver salutato tra il pubblico la mamma di Antonio Laganà, il bambino di 4 anni di Porto san Salvo (RC), colpito da una pallottola lo scorso anno (rimasto in coma per alcuni mesi) che ora miracolosamente sta bene, don Ciotti riprende il suo intervento. “Oggi ci vuole un nuovo impegno – conclude – ci vuole più forza e più coraggio capaci di trasformare la paura nella speranza. Alimentiamola con i fatti questa speranza!”. L’applauso abbraccia letteralmente don Ciotti che torna a sedersi tra le prime file. Dopo il saluto dell’assessore della Regione Lazio è la volta di Stefania Grasso e di Gianluca Faraone. La memoria di una ragazza che ha perso il padre per mano mafiosa, fusa nell’impegno quotidiano di chi non si arrende al proprio “destino” e l’impegno di chi gestisce  la cooperativa Placido Rizzotto sui terreni confiscati alla mafia. In un “fuori-programma” prende la parola Giorgio Napolitano.
“La mafia può essere battuta tenendo insieme la mobilitazione della società civile, il risveglio delle coscienze e l’azione dello Stato – esordisce il Presidente della Repubblica  ricordando che il suo primo incontro con Libera risale a dieci anni fa – la situazione non e’ rimasta la stessa da allora da nessun punto di vista. Anche la mafia ha trovato il modo di crescere e svilupparsi, mentre contemporaneamente è molto cresciuta la mobilitazione, la coscienza civile e l’azione dello Stato. Se teniamo insieme in sinergia questi elementi penso che vinceremo”. Un nuovo applauso lo accompagna mentre si avvicina ad alcuni familiari di vittime di mafia.
E’ la volta del sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano. In un crescendo di autocelebrazione Mantovano spiega che “sarebbe riduttivo parlare delle nuove norme sul fronte antimafia…”, per poi sciorinare i grandi successi di questo governo sul fronte dei testimoni di giustizia. Ed è proprio da chi vive sulla propria pelle la condizione di testimone di giustizia che arriva la risposta immediata: “Bugiardo! Devi dire la verità”. La donna insiste: “non è vero che i testimoni sono quadruplicati, ma si trovano in circostanze economiche e sociali disagiate e privi di sostegno da parte dello 
Stato”. “Non nego – ha replicato Mantovano – che ci siano problemi, però per risolverli possiamo parlare guardandoci negli occhi”. La querelle si chiude lì, ma è evidente che sulla gestione dei testimoni di giustizia Mantovano non ha assolutamente risolto la questione. 
E’ la volta del procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, che affronta l’infiltrazione mafiosa nel nostro Paese, nel bel mezzo della crisi economica, sotto tutti i punti di vista. Ma è quando affronta il tema delle stragi del ’92 e della trattativa tra mafia e Stato (tornate alla ribalta recentemente grazie alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino e di Gaspare Spatuzza) che risponde implicitamente alle recenti polemiche seguite ad una sua intervista. “Come si può pensare che chi come me ha sempre avuto a cuore le istituzioni, il senso dello Stato, possa in qualche modo giustificare una qualsiasi trattativa tra le istituzioni e Cosa nostra? Una trattativa che peraltro ha posto in pericolo la mia stessa vita… O come essere ingiustamente accusato di fare soltanto ora dei nomi di altre probabili vittime della cui esistenza tutti avrebbero dovuto essere a conoscenza se non avessero perduto la memoria… Non si può rimanere sconvolti da rivelazioni che non sono tali”.
Sta di fatto che su questa scellerata trattativa ci sono troppe coperture ad alti livelli. Troppi “smemorati”, anche istituzionali, che d’improvviso recuperano la memoria e corrono dai magistrati. Un vero e proprio stillicidio di notizie, a volte false e tendenziose, capaci di stravolgere la realtà dei fatti. Tutto questo a discapito di chi, familiari delle vittime in primis, pretende la verità completa una volta per tutte. “Dopo 17 anni dalle stragi – conclude Grasso – se non ci fosse stato un mafioso pentito (Gaspare Spatuzza ndr) che si fosse accusato della strage di Borsellino e il figlio di un ex mafioso (Massimo Ciancimino ndr), tutto sarebbe rimasto sepolto nell’oblio per sempre. Il sipario si è alzato e tanti ricordi sono affiorati. Speriamo che non solo i ricordi di ex mafiosi o figli di mafiosi ci aiutino a trovare la verità”.
L’ultima parte della prima giornata è affidata alle testimonianze di lotta e di impegno civile di Antonio Di Masi, Rachid Barradi, Daniele Marannano e Alyona Obezdchicova.  Il concerto sui migranti  del Gianmaria Testa Trio chiude in musica.
Sabato 24 Ottobre tutti i gruppi operativi cominciano i lavori.

(Tratto da Antimafiaduemila)