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Condanne per oltre 200 anni, ma il boss è libero e spara

Condanne per oltre 200 anni, ma il boss è libero e spara

Rosario Giugliano, una settimana fa, ha provato a uccidere un rivale, era libero nonostante avesse riportato condanne per 227 anni di carcere

NELLO TROCCHIA

19 aprile 2021 • 17:49Aggiornato, 19 aprile 2021 • 18:01

  • La squadra mobile di Salerno, su ordine della locale procura, ha arrestato due persone, Nicola Francese e Rosario Giugliano, detto o minorenn. L’accusa è tentato omicidio, aggravato dal metodo mafioso per la storica appartenenza di Giugliano al clan Alfieri-Galasso (entrambi pentiti).
  • L’indagine racconta e mette sotto accusa una strategia criminale raffinatissima: la dissociazione.
  • Giugliano risulta aver accumulato condanne per complessivi 227 anni di carcere, ma era libero. Vanta numerosi precedenti di polizia tra i quali associazione mafiosa, rapina, ricettazione e omicidio.

La squadra mobile di Salerno, su ordine della locale procura, ha arrestato due persone, Nicola Francese e Rosario Giugliano, detto ‘o minorenn. L’accusa è tentato omicidio, aggravato dal metodo mafioso per la storica appartenenza di Giugliano al clan Alfieri-Galasso (entrambi pentiti, ndr).

Il 13 aprile a bordo di una macchina, Francese e Giugliano, hanno esploso 14 colpi di arma da fuoco ai danni di Carmine Amoruso che è riuscito a salvarsi facendo retromarcia e riportando solo ferite al braccio. Amoruso, a sua volta, ex collaboratore di giustizia, paga il tentativo di riaffermare la propria presenza criminale sul territorio.

LA DISSOCIAZIONE FINTA

L’indagine racconta e mette sotto accusa una strategia criminale raffinatissima: la dissociazione. È stata inventata, con supporto di uomini di chiesa, politici e anche avvocati, dal clan Moccia, in particolare dal capo Angelo che, dopo omicidi e stragi, a inizio anni novanta, traccia questo percorso per frenare il pentitismo, le inchieste giudiziarie e salvare relazioni e patrimonio economico.

Anche i magistrati, chiamati a decidere su benefici e scarcerazioni, hanno dato credito al piano offrendo così una sponda alla presunta resipiscenza dei boss che, in realtà, hanno continuato a comandare. La strategia prevede l’ammissione di omicidi per i quali si è già sotto processo, senza accusare terzi, senza indicare imprenditori e politici di riferimento.

Una sponda, però, consapevole, visto che in differenti pronunciamenti giudiziari veniva smascherata questa pratica. «La dissociazione (…) sembra essere l’espressione di un consapevole disegno di perpetuazione del potere criminale camorristico, attraverso forme di negoziazione con lo stato ambigue e pericolose», scrive nel 1992 la direzione distrettuale antimafia di Napoli. Una pratica, inventata e concepita da Angelo Moccia, detto Enzuccio, e seguita da altri criminali. Tra questi c’è anche Rosario Giugliano, al quale, il decreto di fermo, firmato dai pubblici ministeri Marco Colamonici, Elena Guardino e dal procuratore Giuseppe Borrelli, ed eseguito dalla squadra mobile, guidata da Marcello Castello, dedica una dettagliata ricostruzione.

Giugliano risulta aver accumulato condanne per complessivi 227 anni di carcere, ma era libero dal marzo dell’anno scorso. Vanta numerosi precedenti di polizia tra i quali associazione mafiosa, rapina, ricettazione e omicidio.

LA DISSIMULAZIONE DI GIUGLIANO

Giugliano era ancora operativo, è ritenuto dagli inquirenti, a capo di un’organizzazione criminale attiva in provincia di Salerno con ramificazioni nel napoletano. Giugliano è un dissociato, ha ammesso le sue colpe, solo quelle per le quali era sotto processo, senza mai pentirsi.

La dissociazione ha due effetti graditi ai boss: mantenere rispetto criminale e accedere ai benefici carcerari. Giugliano è l’esempio perfetto di questa raffinata strategia. Il boss manda lettere ai giornali nelle quali parla della dissociazione criticando il comportamento della procura di Salerno che gli aveva fatto applicare il carcere duro, poi revocato nel 2005 a seguito di un ricorso alla corte europea di Strasburgo.

Una lettera viene pubblicata sulla rivista Tempi, nel 2007, un’altra dal quotidiano Il Riformista, nel febbraio di quest’anno. In quest’ultima, Giugliano critica la scelta di vietare i funerali alla madre «La sua colpa? Avermi messo al mondo». Secondo la procura di Salerno questi interventi «evidenziano il costante richiamo ad un percorso educativo solo evocato e mai realmente perseguito». L’obiettivo era di tornare libero sul territorio mantenendo il carisma criminale.

«Una capacità di dissimulazione mantenuta dal Giugliano anche durante il suo vissuto carcerario», scrive la procura di Salerno. Nel 2015, Giugliano mentre è in semilibertà, poi revocata, viene fermato dai carabinieri in compagnia di alcuni pregiudicati. Il boss strappa alcune carte dalle mani di un militare, le ingoia, e gli dice che lui non è un semplice ladro di bicicletta, ma è responsabile di omicidi e merita «rispetto». Nonostante tutto, lo stato crede ancora al boss.

Giugliano, nel 2020, ottiene la detenzione domiciliare, con un provvedimento del tribunale di sorveglianza di Milano che evidenzia: «Il condannato giustamente rivendica il percorso personale compiuto che è attestato dai lunghi anni di detenzione (entrato in carcere a circa 30 anni ne uscirà a 59) e dei considerevoli progressi raggiunti fino alla battuta d’arresto (la revoca della semilibertà) senza però mai rinnegare la sua completa dissociazione e rispettando sempre le prescrizioni in occasione dei tre permessi di necessità concessi senza scorta».

Insomma, Giugliano, secondo i giudici di sorveglianza, rivendica giustamente un percorso, un percorso che, però, che finisce nuovamente con il carcere. «Una capacità di simulazione impressionante, scientifica, evidentemente costituente parte di una più ampia strategia di cui egli è semplice ingranaggio, ma definitamente smascherata dai fatti accertati nel corso delle indagini», scrive la procura.

Per i magistrati Giugliano è esempio di «personalità refrattaria a ogni tentativo di rieducazione da parte dello stato». Un altro finto dissociato al quale una parte dello stato ha creduto concedendo benefici, utilizzati da Giugliano per continuare a delinquere e, quasi, a uccidere. Una pratica, quella della dissociazione, cara ai boss che, come denunciato da Domani, continuano a utilizzare per evitare ergastoli e ottenere benefici. 

 

Fonte:https://www.editorialedomani.it/