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Come si uccide una democrazia. L’attacco alla libertà d’informazione

Teleomicidio della libertà d’informazione

Ad alcuni giorni dalla manifestazione sulla libertà d’informazione, ecco alcune tappe dello scontro fra il Presidente del Consiglio e la stampa scomoda. Andando oltre il caso Boffo, ritorniamo su attacchi diretti, come quelli noti a Travaglio & C., e indiretti, come il boicottaggio tutto interno a viale Mazzini, a trasmissioni scomode come Report. E i tg stanno a guardare

Anche se l’affermazione può apparire parziale, è innegabile che chiunque voglia vedere qualche scampolo di sano giornalismo televisivo in Italia, che promuova inchieste, che si muova in un’area di pensiero laica, che non ceda a scandalismi beceri, non può che far riferimento alla terza rete del servizio pubblico: da Report alla testata giornalistica quotidiana.

Eppure, secondo indiscrezioni riportate da Aldo Grasso in un articolo sul Corriere della sera del 5 settembre, a Viale Mazzini stanno cercando di smuovere le acque nella “roccaforte comunista”. Il direttore di rete, Paolo Ruffini, nonostante sia riuscito a salvaguardare la sua audience televisiva con il passaggio al digitale, potrebbe essere rimosso dal suo incarico. Stessa sorte pare incombere sul direttore del tg3.

Ma non si può che ricordare l’equilibrio con cui il telegiornale di Antonio Di Bella ha rispettato una normale completezza d’informazione (anormale per il nostro Paese) nel giorno in cui circolarono le prime notizie sull’inchiesta che lega il premier alle torbide vicende di Bari. A differenza del tg1 di Augusto Minzolini, non ha esordito con l’opinione del Premier su una vicenda non ancora raccontata, un lancio del servizio che ha fatto il giro degli utenti di Facebook come esempio di mala informazione. E non si è celato dietro una cronaca ispida e nebulosa, come hanno fatto i telegiornali della scuderia Mediaset. La escort Patrizia D’Addario affermava di essere stata pagata 2000 euro per passare una notte con Berlusconi e di avere le prove. Invece il giorno dopo i tg impazzarono sul “caso d’Alema”.

Se l’80% degli italiani usa come principale mezzo di informazione la televisione e non fa il confronto tra testate diverse, non potrà rendersi conto che a volte la notizia non esiste in sé, ma in quanto materia manipolabile, argilla di parole.
Difficile che possa venire a sapere da un telegiornale che Daniele Luttazzi dopo 7 anni ha vinto la causa per diffamazione intentata da Berlusconi. Una querela comparsa a titoli cubitali su tutti i giornali, per la quale si richiedeva un risarcimento abnorme, pari a 41 miliardi.
Che le domande poste a Marco Travaglio, durante la puntata di Satyricon del 14 Marzo 2001, sono state giudicate dalla magistratura pertinenti e le risposte del giornalista documentate e basate su fatti reali.
E che Marcello Dell’Utri su cui verteva l’intervista, fondatore di Forza Italia e braccio destro di Berlusconi, è stato poi condannato a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

Marco Travaglio verrà visto come un giornalista di parte. Nessuno dei tg più seguiti in Italia avrà selezionato quel dispaccio d’agenzia in cui si comunicava che l’associazione dei giornalisti tedeschi (DJY) l’aveva premiato per il coraggio dimostrato nella sua quotidiana lotta in nome della libertà di stampa. Un premio che solitamente viene assegnato a giornalisti scomodi, provenienti da paesi non democratici. Questo il merito: raccontare in nome dell’interesse pubblico e non cedere alla ” scomparsa dei fatti”, nel rispetto del diritto e dovere di cronaca, completezza, continenza (criterio legato al modo di comunicare, a garanzia dell’obiettività) e veridicità, secondo la giurisprudenza. Requisiti rispettati nelle puntate di Report di Milena Gabanelli, non solo a parere nostro ma anche della magistratura più volte chiamata ad esprimersi in merito.
I giornalisti della redazione hanno, in 12 anni, scavato come dei veri muckrackers a fondo e in lungo e largo nelle magagne italiane. Ma tutte le cause, intentate per diffamazione dai soggetti protagonisti dell’inchieste sono state vinte dalla trasmissione, non incidendo granché sui costi della rete. Voci insistenti circolate di recente sostenevano che la Rai avrebbe tolto la copertura legale ai giornalisti del programma. Risultato, i reporter dovrebbero lottare per qualsiasi vertenza in maniera autonoma e a loro spese. Vorrebbe dire che l’azienda diffida del loro operato, quando i fatti dimostrano il contrario. La Rai smentisce l’esistenza di “un caso Report” e afferma che nulla è stato detto in proposito. Nello stesso tempo il direttore di rete Ruffini, forse ignaro delle prossime mosse dirigenziali, si schiera a favore dei giornalisti freelance, considerati un patrimonio per l’azienda.

Qualche “scaramuccia burocratica” coinvolge anche la trasmissione Anno Zero su Rai2, la cui puntata di inizio stagione è prevista fra due settimane. Ma nessuno dei collaboratori, tra i quali anche Marco Travaglio, ha ancora stipulato un contratto con l’azienda e non è stato ancora dato il via agli spot che annunciano l’avvio della trasmissione. Insomma altra vicenda sospette da seguire per bene, insieme alle querele intraprese dal zelante Ghedini contro Repubblica e Unità. Chissà, alla fine i fatti potrebbero rivelarsi meno “comunisti” di quello che sembrano.

Irene Buscemi
(Tratto da www.aprileonline.info)