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Clan Spada, i giudici della Corte d’Assise: “Violenze sistematiche e intimidazioni, ecco perché sono mafia”

La Repubblica, 29 GENNAIO 2020

Clan Spada, i giudici della Corte d’Assise: “Violenze sistematiche e intimidazioni, ecco perché sono mafia”

Depositate a 120 giorni dalla sentenza di primo grado le motivazioni delle 17 condanne ad altrettanti esponenti della spietata famiglia criminale di Ostia

di FEDERICA ANGELI

“Il sodalizio si connota come di stampo mafioso per il sistematico ricorso a mezzi violenti e intimidatori tali da generare un diffuso stato di assoggettamento e di omertà”. A 120 giorni dalla sentenza di primo grado, sono state depositate le motivazioni con cui la III Corte d’Assise di Roma ha condannato per mafia 17 componenti del clan Spada su 24 (in 7 sono stati assolti). Motivazioni che spiegano perché il 24 settembre dello scorso anno è stato riconosciuta l’associazione a delinquere di stampo mafioso nei confronti della spietata famiglia criminale di Ostia e perché i suoi tre vertici – Carmine, Roberto e Ottavio Spada – sono stati condannati all’ergastolo.

“E’ in primo luogo palese – scrive il presidente della Corte Vincenzo Capozza – che il sodalizio capeggiato da Spada rivesta indiscutibile stabilità e durevolezza stante l’ampio arco temporale del dispiegarsi delle sistematiche condotte di spoliazione, prepotere, violenza, infiltrazione, intimidazione”. Di più: presenta una solida organizzazione, ognuno con un proprio ruolo specifico e “con una accurata copertura dei soggetti al vertice che solo raramente intervengono sul campo”. Quanto ad assoggettamento e omertà, pilastri del 416bis, “il primo si ricava dall’assenza di reazioni da parte delle vittime alle reiterate violenze, sopraffazioni, minacce e privazioni patite anche per lunghi periodi; la seconda dalle carenze di denunce sulle predette condotte e dai silenzi pure registrati nel presente giudizio”.

Un esempio concreto: le dichiarazioni di tale Carluccio che “dopo la visita minacciosa di Carmine Spada riferì di non reagire perché si trattava di una famiglia grande e aveva paura”, ma anche la reticenza dei testimoni presenti al duplice omicidio nel novembre del 2011 di Giovanni Galleoni e Francesco Antonini. Lo stampo mafioso del sodalizio è rafforzato, oltre che dai descritti legami con la mafia siciliana, dalla presenza di alcune tipiche connotazioni dei contesti mafiosi quali: il rispetto dovuto ai capi e nei confronti delle famiglie alleate, ad esempio i Fasciani.

Nel caso della famiglia Spada l’allarme sociale che connota la forza di una famiglia criminale, anche laddove non compia delitti, “è enormemente rafforzato dalla commissione di reati gravi come omicidi, estorsione, usura, l’acquisizione della gestione e del controllo di attività economiche attraverso il metodo mafioso”.

Negli atti di questo processo, si sottolinea nelle motivazioni, e nelle intercettazioni trascritte si parla esplicitamente di “territorio”, “guerra”, “pace”, “guerra aperta”, “equilibri”, “pax mafiosa”, “questioni di competenza”, “patti, accordi e trattative”.

Il ruolo di vertice di Carmine e dei fratelli Roberto e Ottavio detto Maciste, oltre a quello del nipote Ottavio, detto Marco, così come Nando De Silvio e dei due Pergola (padre e figlio, Roberto e Daniele) è palese per i giudici del III Collegio della Corte d’Assise. Rossi Alessandro è al fianco dei capi in momenti molto delicati, come quello ad esempio in cui, nel 2017, Carmine sunisce nel giro di una settimana due attentati omicidiari. E’ lui a confidare alla moglie Caterina Servisole che “tutte le mattine è costretto a fare da palo a Carmine”, e all’amante Martina de Dominicis “per un po’ è meglio non vedersi, le cose si calmeranno”.

Infine: “la varietà delle condotte criminose inducono a escludere la concessione delle attenuanti generiche. Visti i copiosi precedenti e le pendenze e le gravità delle condotte si stima equo applicare a Carmine, Roberto e Ottavio Spada la pena dell’ergastolo”, in virtù del duplice omicidio con cui vennero ammazzati in strada nel 2011 Giovanni Galleoni e Francesco Antonini da un egiziano e da Ottavio, detto Marco (nipote dei boss). Omicidio commissionato appunto da Carmine e Roberto (quello della testata al cronista di Nemo) che diedero al killer, prima di occuparsi della sua fuga e della sua latitanza, 6.500 euro. Tanto valevano le vite dei due personaggi della mala di Ostia trucidati in via Forni.