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Clan dei Casalesi tra politica, azzardo, caffè e Ferrari

L’Espresso, Martedì 15 Settembre 2015

Clan dei Casalesi tra politica, azzardo, caffè e Ferrari
L’ultima retata della procura antimafia di Napoli svela come la camorra casertana continuasse a gestire il settore delle slot nonostante gli arresti e i sequestri. Ma racconta anche di amicizie politiche, imposizione di marche di caffè ai bar dell’agro aversano e della passione dei boss per le Ferrari, utilizzate anche durante la festa patronale di un rione di Napoli

DI GIOVANNI TIZIAN

Politica, appalti, caffè, azzardo, Ferrari. Cinque parole chiave per capire il dna del clan Russo, una molecola vitale dei Casalesi, in particolare l’espressione imprenditoriale della fazione di Francesco Sandokan Schiavone. Padrini e imprenditori finiti ora in carcere con accuse che vanno dall’associazione mafiosa all’estorsione. Un’inchiesta del pool antimafia della procura di Napoli, coordinato dal procuratore aggiunto Giuseppe Borelli, e della Dia partenopea che ha mosso i primi passi dall’indagine sull’ex sottosogretario Nicola Cosentino. E proprio l’esponente del centrodestra campano condivide con i Russo una parentela: il fratello del politico sotto processo per camorra ha sposato Maria Russo, la figlia di Giuseppe Russo, meglio conosciuto con il soprannome di “Peppe ‘o Padrino”. In tutto gli arrestati sono 44mentre cinque società e 3.200 video slot sono finite sotto sequestro.

Le macchinette mangiasoldi
L’affare delle slot è una voce di bilancio importante per la camorra di Casal di Principe. Non è la prima volta che gli inquirenti demoliscono il monopolio realizzato dai boss di Gomorra. Monopolio che nonostante arresti e sequestri rinasce sotto altre forme. Dopo l’indagine Hermes, a firma sempre dei magistrati napoletani, che aveva bloccato il re delle slot Renato Grasso e la sua strategia espansionistica fatta di alleanze con tutti i clan più importanti della criminalità campana, il clan si è riorganizzato.

«Come esattamente osservato dalla Dia, nella miglior tradizione del clan dei Casalesi, né l’applicazione di misure cautelari personali, per quanto severe, né sequestri, per quanto capillari, sono stati capaci di porre freno ad una attività tanto redditizia. E infatti, le presenti indagini dimostrano che – mutatis mutandis – un gruppo di esponenti del clan dei casalesi facenti capo alla famiglia Russo-Schiavone hanno gestito, e tuttora gestiscono, le apparecchiature elettroniche da intrattenimento collocate in esercizi pubblici di Casal di Principe e degli altri comuni della provincia, attraverso estemporanei procacciatori e imprenditori del settore che esercitano l’attività di commercio e noleggio dei videogiochi», scrive il giudice per le indagini preliminari nell’ordinanza di custodia cautelare.

E ancora osserva: «In particolare, a partire dall’aprile del 2009, cioè già dai giorni subito successivi alla esecuzione dei provvedimenti restrittivi (contro il vecchio re delle slot Grassi ndr) il clan ha intrapreso su tutto il territorio della provincia una capillare iniziativa intesa a sostituire – in taluni casi ad affiancare – le apparecchiature della “King slot” di Grasso con apparecchiature di altri noleggiatori direttamente o indirettamente controllati dalla stessa associazione camorristica».

I vuoti di potere, come da tradizione, vengono subito riempiti. Nel controllo del territorio così come negli affari milionari. «I sequestri di “società criminali” colpiscono al massimo “l’imprenditore affiliato o prestanome”, ma non gli esponenti camorristi in senso stretto, i quali, subendo solo provvisorie riduzioni degli introiti illeciti, subito riescono a “soppiantare” gli imprenditori alleati, così “rientrando con prepotenza” nel medesimo mercato prima occupato» scrive il gip. E in effetti a guardare i numeri scovati dalla Dia di Napoli questo meccanismo risulta molto chiaro. Le società di Grasso prima del sequestro avevano piazzato in 71 comuni del casertano ben 635 apparecchi. Una volta subentrati gli amministratori giudiziari, cioè lo Stato, il business si è magicamente sgonfiato: 210 macchinette in 55 paesi. A fronte di questo calo, sono cresciute però le video slot riconducibili ai nuovi imprenditori scelti dal clan: «A partire dai giorni successivi al sequestro, le società riferibili al clan Russo-Schiavone risultano aver installato complessivamente 931 apparecchiature da gioco distribuite in 253 esercizi commerciali in 54 Comuni della Provincia di Caserta».

Un caffè macchiato
«Anche l’impresa “Caffè del Sud” serve al clan Schiavone per incassare tangenti e in particolare, in modo analogo alla “Caffè Orientale” del clan Russo, sottopone ad estorsione anche i fornitori – produttori del caffè, nel senso che a costoro vengono imposte notevoli decurtazioni in determinati periodi dell’anno sui compensi che spetterebbero loro». A parlare è un pentito, Raffaele Majello, ma molti altri hanno raccontato ai magistrati come il Clan dei Casalesi ha messo le mani sulla distribuzione di alcune marche di caffè. Impone produzione precise ai bar della zona. Un “affare” che nell’ambito del clan dei casalesi gestivano i Russo direttamente. L’uomo addetto al servizio è, secondo gli inquirenti, Eugenio Di Martino: «Che per conto della famiglia Russo vende il caffè “orientale” a Casale ed in tutti i paesi dell’alto casertano, fra cui anche Capua, Santa Maria Capua Vetere, Grazzanise».

Politica e appalti 
In questo ambito il personaggio chiave è Ernesto Capasso. Accusato dai pm di Napoli di concorso esterno alla camorra. Per aver fornito un «contributo continuativo al medesimo clan relativamente a specifiche attività criminalie in particolare nel settore degli appalti pubblici a cui poteva partecipare, essendo immune da precedenti penali in genere a mezzo della Gsa Costruzioni da lui di fatto cogestita, ed in genere nella tenuta dei rapporti di reciproco interesse illecito con esponenti politici ed istituzionali nonché imprenditori, che poteva più facilmente frequentare».

E dalla intercettazioni ambientali emerge l’attitudine di Capasso, e quindi del clan Russo, a relazionarsi con il potere. È evidente insomma che Capasso è un punto di riferimento, per questo anche gli imprenditori si rivolgono a lui per intervenire su politici di rango. C’è ne uno in particolare, non ancora identificato, che si rivolge a lui per far pressioni su Nicola Cosentino affinché lo tengano in considerazione per la nomina a responsabile del ciclo integrato della depurazione delle acque della regione Campania in sostituzione di Generoso Schiavone, l’ingegnere arrestato pochi giorni prima.

«Che abbiamo curato sul posto e amici politici a Napoli gli dobbiamo dare questa tangente quest’è..quindi mo tengo tutto presentato…io volevo dirvi…siccome so..che lui ha detto che voi vi potete pure interessare la…a me fa piacere, è semplice, facciamo pure più in fretta…giustamente quando uno cammina per una cosa…camminiamo per tutte e due le cose».

E poco dopo spiega chiaramente come funziona il sistema dei lavori pubblici: «La situazione deve essere del …12% per cento … poi ci dobbiamo “abbuscare” una cosa io e… il compariello che subentra ai lavori … chi deve avere i soldi, un poco la politica perché poi se non diamo i soldi alla politica non facciamo niente …un poco alla politica».

Capasso è d’accordo che senza tangenti non si lavora. E porta un esempio di vita vissuta: «Riferendosi alla citata possibilità di pagare “tangente” per ottenere lavori, Capasso parla anche di lavori al cimitero effettuati a “Vico” (Villa Literno) pagando una “mazzetta” al Sindaco, lavori che il Capasso avrebbe eseguito insieme a Nicola “Fucone” (Ferraro): «Per conto mio mi diedero 90 mila euro a me …. Presi 90 mila euro e ce li diedi a questo …. Facemmo il “camposanto a Vico”, Fucone fece un’operazione … pigliammo i soldi e ci dividemmo i 90 mila euro, Nicola scalò i 40 mila euro che ci aveva dato la mazzetta al Sindaco che si era preso il cinque per cento sopra al “Campo Santo”».

Oltre al nome di Nicola Cosentino, nelle stesse ambientali vengono citati altri esponenti locali del centrodestra: il consigliere regionale Fulvio Martusciello, in particolare, sempre per la vicenda che interessa Capasso e il suo interlocutore, la nomia cioè del nuovo responsabile del ciclo integrato delle acque.

Ferrari che passione
Ma il clan vive anche di apparenza. Soprattutto per la camorra l’ostentazione del potere è la regola. Così i boss si concedono lussi senza timore di attirare i sospetti degli investigatori. In questo caso però l’esagerazione ha superato ogni limite. E così la Ferrari rossa fiammante è finita nelle pagine della cronaca locale. La storia ha dell’incredibile. Massimo Russo, secondo i pentiti, utilizzava il bolide per girare a Casal di Principe. La macchina era guidata da tale Antonio Cristofaro,”Coccodrillo”. Ma c’è un pentito che ricorda un fatto curioso: «Una volta Pasquale Aprea(boss del quartiere Barra di Napoli) venne da Russo e siccome voleva fare bella figura alla festa patronale del Giglio la chiese in prestito». La Ferrari utilizzata per la festa dei Gigli a Barra dell’anno 2007, e targata CMX136CM, è mostrata da un filmato. Le immagini mostrano la vettura, con a bordo il solo conducente, che tenta di farsi largo tra la folla sul sottofondo della colonna sonora del noto film “Il Padrino”. In pratica, stando alle indagine, la Ferrari intestata a una società aveva fatto il giro di più clan. Insomma, un auto di rappresentanza.