L’udienza è stata rinviata al 6 novembre per le discussioni dei difensori degli imputati. Il processo è stato chiesto, oltre che per il magistrato, per l’amministratore giudiziario Nicola Santangelo, per il padre della Saguto, Vittorio, per il marito Lorenzo Caramma e il figlio Emanuele, per il funzionario della Dia Rosolino Nasca, per i docenti universitari Roberto Di Maria e Carmelo Provenzano per la moglie e il collaboratore di Provenzano, Maria Ingrao e Calogera Manta, per l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo, per l’amministratore giudiziario Aulo Gigante, per l’ex giudice della senza misure di prevenzione Lorenzo Chiaramonte e per l’amministratore giudiziario Walter Virga. Stralciata e trasmessa a Palermo la posizione del professor Luca Nivarra, mentre uno dei principali protagonisti dell’indagine, Gaetano Cappellano Seminara, ha chiesto e ottenuto di essere processato col rito immediato. Al centro dell’inchiesta, culminata a settembre del 2015 con una serie di perquisizioni negli uffici giudiziari della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, c’è la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia, che per anni sarebbe ruotata attorno all’ex presidente e al suo cerchio magico. Secondo la tesi dell’accusa, alcuni fedelissimi della Saguto avrebbero avuto a turno le maggiori amministrazioni giudiziarie e in cambio il magistrato avrebbe ricevuto regali e favori. Le ipotesi di reato contestate, circa 80, vanno dalla corruzione, al falso, all’abuso d’ufficio, alla truffa aggravata. L’inchiesta fu avviata nell’estate del 2015, quando la Procura di Palermo, che indagava su illeciti nella gestione di una concessionaria sequestrata agli imprenditori mafiosi Rappa, sospettando responsabilità dei colleghi, trasmise gli atti ai pm di Caltanissetta, competenti per legge, essendo coinvolti magistrati.
Stralciata la posizione di un altro amministratore giudiziario, Antonio Ticali, per il quale la Procura ha chiesto l’archiviazione.