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Caso Fondi

Fondi . La quinta mafia non vuole processi.
Nell’indagine della DDA di Roma Damasco II su 33 indagati , 25 sono nati nel Lazio.

Nella vicenda giudiziaria che riguarda il radicamento delle mafie a Fondi e nel Lazio, scaturita a seguito delle indagini denominate Damasco  II, c’è un aspetto che inquieta. Quello che balza all’attenzione è la provenienza anagrafica e la residenza delle persone coinvolte.  In forte prevalenza cittadini nati nel Lazio, cosi come avvenne per gli indagati nella “Nettuno Connection “.

Nello scorrere l’intero elenco dei 33 indagati a vario titolo dalla DDA di Roma nella suddetta indagine, per reati che vanno dall’associazione a delinquere di stampo mafioso, alla commissione di delitti contro la persona e la pubblica amministrazione,  al traffico di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti, alla detenzione di armi e per 17 dei quali è stata richiesta e concessa dal Gip del Tribunale di Roma l’applicazione delle misure cautelari, si palesa che ben 25 sono nati in provincia di Latina e da sempre sono in essa residenti, uno è nato a Roma, uno in provincia di Frosinone, uno in quella di Caserta, uno in Svizzera e quattro sono di origine calabrese, ma da alcuni decenni residenti a Fondi.  Tutti gli indagati, a qualsiasi titolo rimasti coinvolti in quella che è una classica vicenda di mafia, sono senza dubbio alcuno da considerarsi cittadini della regione Lazio.  Infatti in questo ambito territoriale tutti svolgono la loro attività imprenditoriale, politica e, come sostenuto dai pubblici ministeri della direzione Investigativa antimafia di Roma, la loro attività criminale.

Di  due indagati, come nel caso dei fratelli Venanzio e Carmelo Tripodo, è  chiara l’affiliazione alla ‘ndrina calabrese “la minore” …’Per meglio definire il calibro criminale di costoro è da sottolineare che i Tripodo sono emigrati a Fondi da 27 anni e precisamente dal lontano 1982, stabilendo rapporti di parentela con pregiudicati locali. Sostengono gli investigatori e non solo i magistrati della DDA di Roma, ma i reparti operativi dei Carabinieri di Reggio Calabria,cosi come quelli della Polizia di Stato che il Tripodo: “  Per il controllo di quella malavita locale, si avvaleva della collaborazione del cognato TRANI Aldo,(di Fondi)  pregiudicato, sorvegliato di P.S.”   Sempre i Magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma a seguito delle copiose indagini degli uffici antimafia di qualificate Forze di Polizia sostengono che:” i fratelli TRIPODO Antonino Venanzio e Carmelo, costituiscono certamente l’anello di congiunzione con l’associazione per delinquere di stampo mafioso calabrese,  denominata “La Minore”.  Tale ultima affermazione – omissis…. può esser fatta anche sulla base della acquisizione, presso Uffici giudiziari ed investigativi dei capoluoghi calabrese, milanese e pontino di una copiosa documentazione costituita da atti giudiziari che riguardano appunto  i fratelli TRIPODO, la loro posizione nell’ambito della c.d. “ndrangheta” ed il loro coinvolgimento in alcuni processi penali, per gravi fatti di giustizia, che si sono celebrati – o sono in via di definizione –  in varie aule di giustizia – Tribunali e Corti d’Assise – dislocati lungo tutto il territorio nazionale. Ed è proprio questa particolarità che fa sorgere spontanee considerazioni circa la vastità territoriale degli interessi da essi perseguiti che talvolta, come da alcuni aspetti investigativi si è evinto, si estendono anche oltre i confini nazionali. Quindi sullo spessore criminale dei Tripodo non vi è per gli investigatori dubbio alcuno. Del resto i riscontri investigativi e giudiziari non lasciano possibilità a diversa interpretazione. I Tripodo si sono stabiliti a Fondi dopo l’omicidio del padre Domenico “don Mico” avvenuto nel carcere di Poggioreale a Napoli il 26 agosto del 1976, quindi dopo aver perso la guerra di mafia con la cosca calabrese,, rivale dei De Stefano.

I dubbi sulla presenza delle mafie a Fondi e nel Lazio e sul condizionamento di quel Comune, nel quale alcuni assessori e dirigenti intrattenevano rapporti con le società amministrate dai Tripodo, emergono solo dalle dichiarazione di noti politici  locali e nazionali che mestano nel torbido del falso garantismo, della collusione o dell’invito alla convivenza con le mafie. Il risultato tangibile di questa decennale storia di mafia con chiari ripercussioni nella vita politica, economica e sociale ( a Fondi è ubicato uno dei mercati ortofrutticolo più importanti d’Europa) è quello  che su 33 indagati solo quattro provengono, ormai da quasi 30 anni, dalla regione Calabria, tutti gli altri sono nati e sono da sempre residenti nel Lazio ed hanno avuto, specie per quanto riguarda i politici coinvolti,ruoli certamente non secondari, anzi alcuni di essi ricoprono la “dignità criminale” di capi  temuti. Come tutte le indagini di mafia il coinvolgimento del livello politico è di difficile emersione per le difficoltà frapposte da pezzi consistenti della politica a farsi indagare e processare.

Del resto le previste restrizioni delle norme in materia di intercettazioni telefoniche, di cui tanto si parla in questi mesi, non avrebbero consentito, per le limitazioni temporali ,  di sviluppare un’indagine complessa come quella denominata Damasco, protrattasi per molto tempo e che vede solo parzialmente evidenziato il ruolo chiave di personaggi politici. Costoro come ha dichiarato l’ex Assessore Izzi, hanno tratto beneficio elettorale condizionando l’attività  politico amministrativa del comune di Fondi, come si sostiene espressamente nella relazione inviata dal Prefetto di Latina Frattasi al ministro dell’Interno Maroni , ma anche quella di organismi istituzionali della provincia e della Regione Lazio.

La mafia è  un cancro, quando forma metastasi genera altri tumori che possono avere caratteristiche istologiche diverse. A Fondi e nel Lazio, l’agire di mafie calabresi ,campane, siciliane ed autoctone, con la complicità di pezzi dell’imprenditoria e della politica locale, ha generato la “Quinta mafia”. E’ una mafia subdola, capace di nascondersi tra ammiccanti sorrisi e pacche sulle spalle. E’ una mafia “cafona” che trae forza dal riciclaggio del danaro sporco , dal cemento, dal traffico della droga e delle armi e si finanzia con l’ usura  La quinta mafia sa creare consenso politico ma sa anche essere violenta e spietata contro le donne e gli  uomini dello Stato che osano sfidarla. I capi della Quinta mafia sono del Lazio. I “soldati di mafia”provengono dalla Campania,dalla Calabria o dalla Sicilia, ma si arruolano anche da Minturno,Formia,Fondi,Aprilia,Pomezia e Roma.  Al momento la quinta mafia contrasta lo Stato e chi si oppone con  le armi della delegittimazione, come si è fatto per l’ex comandante provinciale dei  Carabinieri Colonnello Rotondi, capace e onesto servitore dello Stato,come si è fatto con il presedente del Tar di Latina Franco Bianchi,costretto al trasferimento o come si tenta di fare quotidianamente con il Prefetto Frattasi .  Spero di sbagliare previsione, in giro  queste delegittimazioni potrebbero indicare gli obiettivi da colpire. C’è tensione. C’è chi minaccia palesamente.  Aumenta il livello di omertà e paura. C’è la quinta mafia.

(Tratto da LiberaInformazione)