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Casamonica, nuova operazione contro il clan: così il muro di omertà ha iniziato a sgretolarsi

La Repubblica, GIOVEDÌ 9 MAGGIO 2019

Casamonica, nuova operazione contro il clan: così il muro di omertà ha iniziato a sgretolarsi

Mentre prima tutti preferivano tacere, persino le vittime dei loro soprusi, arrivando al punto di avvisare il clan quando venivano convocate dagli investigatori, adesso c’è chi comincia a parlare. Casi ancora isolati, ma significativi di un cambiamento di clima

di FLORIANA BULFON

Questi mi hanno rovinato la vita, l’hanno rovinata a tanta gente per tanti anni, senza che nessuno facesse mai niente”. E adesso le cose cominciano a cambiare. Nel muro di terrore che ha permesso ai Casamonica di costruire un feudo mafioso si è aperta una crepa. E mentre prima tutti preferivano tacere, persino le vittime dei loro soprusi, arrivando al punto di avvisare il clan quando venivano convocate dagli investigatori, adesso c’è chi comincia a parlare. Casi ancora isolati, ma significativi di un cambiamento di clima. Simone, ad esempio, aveva chiesto un prestito di 800 euro e alla fine è stato costretto a pagare per quasi dodici anni, finendo col restituire tra i 50 e i 60 mila euro. Ai magistrati ha spiegato che non c’erano alternative per sfuggire alla morsa “cioè…per cercare di non farti menare. Non sapevo come uscirne, ero terrorizzato”. Simone al telefono con un amico fino a poco tempo fa confidava: “sono degli animali che squartano le persone… neanche sotto tortura li denuncerò”. Ora invece ha deciso di mettere tutto a verbale. Il segno che le operazioni della procura di Roma iniziano a sgretolare l’omertà, quella che ha spinto vip e poveretti a subire in silenzio.

“Sono disperato. Chiedo aiuto a voi per risolvere questa situazione”, ha dichiarato ai carabinieri un commerciante di livello: “Avrei dovuto denunciarli prima ma la verità è che sono tanti e se ne denunci dieci ce ne sono altri cento pronti a sostituirli”. Nel suo showroom di mobili su tre piani i Casamonica hanno ordinato camere da letto da oltre 30mila euro, lampadari Murano Rezzonico, banconi bar con vetrine a specchio e cucine in quantità. Lasciano un anticipo in contanti minimo. Poi, nell’attesa della fornitura, chiedono “provvisoriamente” arredi sostitutivi. Intanto il saldo promesso tarda e il commerciante ha bisogno di soldi per saldare la merce ordinata. Ed ecco la fase due. Si presentano con aria dura e sostengono di volere indietro l’acconto, pretendendo interessi altissimi “per il mancato guadagno”. Se il negoziante non può pagare subito, gli offrono un prestito. A tassi d’usura.

Artefici dell’estorsione in stile mafioso, studiata per dosare la violenza, Luciano Casamonica, il “mediatore culturale” immortalato accanto all’allora sindaco Gianni Alemanno nelle foto di Mafia Capitale. Con lui Giuseppe detto “Mano monca” e sua moglie Rosaria: due che dal 2008 al 2017 non hanno dichiarato alcun reddito ma a cui sono state sequestrate polizze per 600 mila euro. E poi Salvatore Casamonica che trattava direttamente con i narcos per importare tonnellate di cocaina con cui inondare Roma e che al commerciante chiede persino di farsi assumere per giustificare i redditi. “Facevo fatica a reagire. Ha insistito con toni minacciosi”, svela oggi la vittima. E un altro dei tartassati spiega: “Sai quanta gente sul libro paga c’hanno? Tutto ciò che possiedono macchine, orologi, Ferrari, Lamborghini… quella è tutta roba che chissà quanta gente hanno fatto piangere”.
Una parte di Roma, senza distinzioni di ceto o notorietà, è diventata loro proprietà. Perché i Casamonica hanno teso una ragnatela su interi quartieri: “sono la famiglia più pericolosa in Italia, sono tutti collegati non è possibile uscirne vivi”. Per decenni il clan è cresciuto grazie a minacce e protezioni in ogni ambiente. Sono capaci di mettere a disposizione avvocati di grido per difendere i pusher al loro servizio, di ottenere informazioni sulle indagini da agenti disonesti. E conquistare la complicità di parecchi professionisti. Come il notaio che registra l’acquisto di una villa e si dimentica di fare la segnalazione di operazione sospetta. Al pubblico ministero Giovanni Musarò non ha saputo spiegare il perché e alla fine per ottenere le carte c’è voluta una perquisizione.