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Capaci, E’ POSSIBILE  ANCORA INDAGARE 

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Il Fatto Quotidiano, 23 luglio 2020

Capaci, il carabiniere che voleva sciogliere il comune: “In mano a sistema politico-mafioso. Me l’hanno fatta pagare per le mie indagini”

Il maresciallo Paolo Conigliaro, alla guida della stazione di Capaci dal 2013 al 2018, è stato ascoltato dalla commissione parlamentare Antimafia presieduta da Nicola Morra. Che al termine dell’audizione – durata oltre un’ora e in parte secretata – ha garantito che “sarà acquisita l’intera documentazione che all’epoca non venne mai inviata alla Prefettura di Palermo”

di Marco Bova

Il comune di Capaci era in mano a un sistema affaristico, politico e mafioso”. Ma la proposta di scioglimento per mafia, inviata dal comandante dei carabinieri del paese, non uscì mai dalla caserma del comando provinciale di Palermo. Il militare invece fu demansionato, indagato per diffamazione e – durante una perquisizione – spogliato nudo, senza neppure gli slip. Lo ha raccontato il maresciallo Paolo Conigliaro, alla guida della stazione di Capaci dal 2013 al 2018, ascoltato dalla commissione parlamentare Antimafia presieduta da Nicola Morra. Che al termine dell’audizione – durata oltre un’ora e in parte secretata – ha garantito che “sarà acquisita l’intera documentazione che all’epoca non venne mai inviata alla Prefettura di Palermo”. Ma non solo. Il maresciallo Conigliaro – adesso in servizio alla Dia di Palermo – ha raccontato “un quinquennio di anomalie” fatto di “presunte ingerenze e interferenze”. Anche perchè due suoi colleghi, Salvatore Luna e il cognato Andrea Misuraca, nel frattempo erano stati eletti nel consiglio comunale di Capaci: un atto consentito per i comuni con meno di 15 mila abitanti.

Ad ogni commemorazione all’ombra della stele che ricorda la strage di Giovanni Falcone, gli amministratori locali erano in prima fila a denunciare il malaffare. Ma quando Conigliaro – nel 2017 – intervenne dal palco, invitando a “denunciare comportamenti che sono piu dirompenti del tritolo e di un attentato, come l’amministratore pubblico che familiarizza con il mafioso del paese”, venne denunciato dai due colleghi diventati consiglieri comunali.

Nel corso delle indagini, fu accertato perfino l’inchino di una confraternita religiosa davanti casa di un boss locale. Proprio nello stesso periodo in cui il comune di Corleone venne sciolto, tra le altre cose, pure per un fatto analogo. Ma il militare ricostruisce anche frequentazioni degli amministratori con soggetti mafiosi locali, il monopolio dei lavori di movimento terra per le concessioni edili rilasciate da quell’Ente, vicende investigative relative ai funzionari Comunali. Tanto che un colonnello dei carabinieri “a febbraio 2015 mi invitava a non scrivere più un rigo sul Comune di Capaci”, si legge nella relazione consegnata da Conigliaro alla commissione Antimafia. Ad ottobre la Procura chiese degli arresti, respinti dal gip di Palermo “ma la singolarità di tale pratica è che fu impossibile proporre l’impugnazione al rigetto, poichè risultava smarrito il fascicolo nella segreteria del pm. Finchè scaddero i termini”.

La commissione Antimafia ha acquisito anche il curriculum del maresciallo, in passato in servizio in Calabria (dove fu oggetto di un attentato), ma anche a Paceco, dove scoprì quella che viene definita “la banca della massoneria“. Durante la sua audizione Conigliaro ha ricostruito legami, interessi ed evidenze emerse dalle indagini sui colleghi. Un magistrato – tuttora in servizio a Palermo – gli avrebbe detto “vai via da Capaci perché ti ammazzano o te la faranno pagare professionalmente o tutte e due le cose, in ogni caso te la faranno pagare”. Ma tra gli episodi raccontati ci sono anche “le umiliazioni subite” il 17 settembre 2018, quando – in procinto di essere trasferito alla Dia – da indagato per diffamazione contro alcuni colleghi, venne interrogato, perquisito, denudato e “privato degli slip”. Nel corso dell’interrogatorio Conigliaro aveva riferito di avere un solo cellulare, ma dopo essere andato in bagno, consegnò ai colleghi un secondo smartphone. Alla ricerca di una “fantomatica scheda di memoria” venne spogliato nudo, “alla presenza di piu soggetti, compresi inferiori in grado”.

Il militare ha poi ricostruito il grande affare di un centro commerciale che doveva sorgere nella zona artigianale ‘ex Vianini’. Il comune si sarebbe dovuto occupare del cambio di destinazione dell’area, da trasformare in zona commerciale. La società era intestata ad Angela Pisciotta (vicepresidente di Ance Palermo) e da Massimo Michele Romano, arrestato nel maggio 2018 assieme al paladino dell’Antimafia, Antonello Montante, ex presidente di Confindustria Sicilia poi condannato a 14 anni. Le indagini dei carabinieri avevano accertato “il coinvolgimento, a vario titolo, di taluni consiglieri comunali già appartenenti all’Arma”, evidenziando il ruolo dell’avvocato Francesco Agnello, già coinvolto nel cosiddetto ‘Sistema Sesto/San Giovanni’ in cui l’imputato principale era Filippo Penati, poi assolto e in parte prescritto. L’indagine sul centro commerciale però venne “inaspettatamente e tempestivamente archiviata dal gip di Palermo il 6 giugno 2018, dopo solo un giorno dalla richiesta avanzata dal pubblico ministero il 5 giugno 2018 con peculiari motivazioni; pur facendo esplicito riferimento, nella richiesta di archiviazione, alla “presenza di opacità” nelle vicende amministrative investigate”.