Cerca

Bozza del nostro intervento durante la manifestazione a Terracina per la presentazione del saggio “Malitalia” di Enrico Fierro e Laura Aprati

“C’è un nemico, spietato e senza remore, e c’è chi lo combatte”, questo il quadro della situazione in cui si trova il nostro Paese.

Un Paese in cui, come dice Roberto Scarpinato ne “Il ritorno del Principe”, “corruzione e mafia sembrano essere costitutive del potere” ed in cui sembra esistere una sorta di “attitudine” popolare ad accettare e far propri i presupposti morali e sociologici che danno vita ed alimentano la mafia.

La cultura del “pecunia non olet” – uno di questi – in virtù della quale erroneamente si ritiene sempre valida l’equiparazione “investimenti-sviluppo”.

“Investimenti” di denaro di qualsiasi “provenienza”, anche se di natura illecita… dimenticando, volutamente o meno, che uno “sviluppo” siffatto è proprio tutto il contrario.

E’ nella Prefazione di Franco Di Mare che chi vi parla ha trovato in particolare una definizione puntuale e drammaticamente realistica di quel “quadro” di cui stiamo parlando.

Un “quadro” visibilissimo agli occhi di chi, come noi, fa dell’antimafia non un esercizio accademico, ma, al contrario, un impegno quotidiano sul territorio.

“Stiamo perdendo la guerra contro la criminalità organizzata”, grida Di Mare.

Purtroppo, questa è la verità, al di là di quella campagna mediatica di chi, come l’attuale Ministro dell’Interno, ci vuol far credere il contrario snocciolandoci dati che si riferiscono a soggetti che fanno parte di una mafia vecchia, di altri tempi.

Una grande campagna di disinformazione e di manipolazione della realtà alla quale pochi, pochissimi, reagiscono con determinazione ed efficacia.

Con ciò non intendiamo affatto sottovalutare l’importanza del lavoro fatto da forze dell’ordine e magistratura alle quali dobbiamo essere grati per l’impegno profuso.

Ma il discorso investe ambiti e livelli più alti.

Ne consegue quella inadeguatezza delle strategie e tattiche di contrasto che in pochissimi denunciamo e che si accompagnano, di conseguenza, alla mancanza di strumenti efficaci.

Da tempo stiamo denunciando, nell’indifferenza generale, l’insufficienza, per esempio, di quel “ certificato antimafia” che viene richiesto (e non sempre; vedi il “ caso Fondi”) alle imprese che partecipano alla gare indette dalla Pubblica Amministrazione per le opere pubbliche.

Un documento, questo, che… non si nega a nessuno o quasi, come giustamente è stato rilevato recentemente in un servizio pubblicato da LEFT Avvenimenti.

“Finita la stagione dello stragismo – è sempre Di Mare che scrive –le mafie hanno cambiato pelle. Il silenzio attuale delle lupare non definisce una tregua tra i clan o un semplice mutamento di strategia: sottolinea, piuttosto, un cambiamento genetico.

Come virus mutageni, capaci di modificare continuamente la loro struttura cellulare per ingannare le difese immunitarie del corpo che stanno colonizzando, le mafie italiane stanno diventando endemiche, incurabili.”

Ecco, il problema è tutto qui.

“Non è vero che la mafia –sostiene ancora Scarpinato ne “ Il ritorno del Principe – è quella che si vede in tv… Ci sono i volti impresentabili di Riina, Provenzano, Lo Piccolo e poi c’è la borghesia mafiosa e frequentabile che frequenta i salotti buoni e riesce a piazzare i suoi uomini in Parlamento…”.

Di esempi ne abbiamo ad iosa, anche di recente, dopo i casi di Cosentino, Di Girolamo ecc.

Per non parlare di chi li ha fatti presentare candidati, li ha fatti eleggere in Parlamento o ne impedisce l’arresto richiesto dalla Magistratura.

E di chi li ha votati!

Di coloro, cioè, – e ritorniamo a Di Mare – mettono in evidenza, con il loro comportamento, quel “codice genetico di una certa attitudine meridionale al vassallaggio” e che “costituiscono le componenti di quell’humus senza il quale la mala pianta della mafia non avrebbe alcuna possibilità di attecchire, saldare radici in un territorio e proliferare”.

“Repubblica” ha pubblicato qualche settimana fa una nota di Roberto Saviano nella quale lo scrittore manifestava tutto il suo rammarico e la sua sofferenza nel constatare l’incapacità di un popolo a reagire ad una situazione drammatica qual’è quella in cui ci troviamo in Italia, una situazione che ben descrive Petra Rescki quando sostiene che:

“Negli ultimi 14 anni dopo gli attentati a Falcone e Borsellino la maggior parte delle leggi antimafia in Italia sono state revocate, di fatto non esiste più la certezza della pena, di sicuro non l’ergastolo e chi viene condannato a 30 anni di reclusione può contare sul fatto di essere di nuovo a piede libero dopo sette. E siccome non c’è più la certezza della pena, non ci sono neanche più mafiosi ribelli, non vale quasi più la pena uscirne.
I pool antimafia vengono depurati politicamente: il governo Berlusconi ha emanato una legge, in base a cui un pubblico ministero non può lavorare nel pool antimafia per più di otto anni.

Ciò ha non solo rallentato il lavoro di molti pool antimafia, ma anche permesso alla politica di eliminare quei pubblici ministeri che si sono rifiutati di vedere nella mafia un problema di ordine pubblico e al contrario di indagare contro politici che erano vicini alla mafia. Come, ad esempio, Andreotti, Berlusconi, Marcello Dell’Utri”.

Una situazione del genere ha portato alla costituzione ed alla solidificazione di “’o sistema” su un territorio, sempre più vasto nel nostro Paese, dove la criminalità organizzata, come scrive Laura Aprati, è “una società di servizi illegali (traffico di stupefacenti) e legali (e qui come una piovra si occupa di trasporti, di smaltimento di rifiuti, di fornitura di inerti, di prodotti contraffatti ed anche di “semplificazione delle procedure amministrative”. E’ presente in tutti quei settori dove l’abbattimento del costo è sostanziale per il profitto. Qui la camorra è ufficio di collocamento, assistenza sanitaria, fiscale, commerciale. Ti risolve i problemi della spesa. Insomma ti organizza la vita. Questo è “il sistema” che la camorra ha costruito facendo della frammentazione un grimaldello di infiltrazione ed espansione.

Uno Stato, insomma, più efficiente ed invasivo di quello ufficiale.

L’Antistato trasformatosi in Stato!