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Bitonto: gioventù bitontina tra movida, rapine e morti bianche

E l’urgenza di un domani possibile, credibile, vivibile, pare non interessi più a nessuno

Il Caso ha voluto che tutto accadesse nel breve torno di pochi giorni.
Prima, la gioia più spensierata.
Poi, il gesto criminoso.
Infine, l’immane tragedia.
Il minimo comune denominatore, l’età dei protagonisti. Tutti giovani.

Cominciamo dalla festa.
La chiamano “movida”, termine desunto dalle lande iberiche, designa una vita notturna possibilmente festaiola.
Vi partecipano tutti, ansiosi di smemorarsi degli affanni quotidiani. Comprensibile tale ansia nei ragazzi, un po’ meno negli adulti, che s’illudono per poche ore di fermare il tempo, cadendo senza saperlo nel pirandelliano inganno del belletto che nasconde le rughe. Che ci saranno sempre.

Così, tutti, tra effluvi non proprio piacevoli che ammorbano l’aria, braccia levate al cielo, birra in pugno e decibel a palla, si muovono (appunto) all’impazzata.
Intanto, una coltre di fumo oscura l’incertezza del domani, fingendo d’alleggerirla.

Quando si spengono le luci, resta l’eco assordante del nulla. Perché sì, è meraviglioso vedere pullulare di gente il nostro centro storico, fino a qualche anno fa deserto e inaccessibile, ma poi?
Al mattino, questo brulichio rischia di tornare medioevo.

Dovrebbe essere valorizzato ancor di più il nostro patrimonio storico-artistico, magari inserito in una rete sovracomunale, e far sì che rinasca anche l’economia con più esercizi commerciali, ma non si può avere tutto e subito.
Ergo, attendiamo fiduciosi.
Quelli che, invece, non si pongono problemi economici sono i nostri ormai tristemente noti microdelinquenti.
I piccoli eroi del male che distruggono la nostra quotidianità.

Quando si dice che fare una rapina è un gioco da ragazzi, a Bitonto lo è per davvero.
Sono ventenni, già ampiamente malvissuti, compiono delitti orrendi come se giocassero, addirittura in bicicletta, tanta è l’incoscienza (o la coscienza d’essere impuniti).

E per loro quale sarà il domani? Un’esistenza col timer incorporato, tra purtroppo brevissime soste in cella e le ore da contare tra le pareti domestiche giusto il tempo di depositare un autografo, e poi via, di nuovo a delinquere come nulla fosse.

Anche loro imprigionati nella maschera del boss mafioso che tutto può. Almeno fino a quando, nella giungla fitta di scippi, rapine, furti d’auto e d’appartamento, estorsioni e spaccio, non arriverà uno più forte che vincerà.
E toccherà a lui questa spirale che, senza che se ne accorga, gli renderà la vita un vero e proprio carcere.
Infine, il dramma.
Una nuova morte bianca, ieri.
Un uomo di neppure trent’anni stroncato da un volo fatale giù per la tromba delle scale.

Si parla tanto di sicurezza sul lavoro, si tengono tavole rotonde e dotti convegni sul problema.
Fiumi di parole inutili e qualcuno persino si arricchisce.
Nel frattempo, chi vuole lavorare presto viene ridotto alla disperazione perché il sistema ti sfrutta e basta. E giovani uomini muoiono.

Pensiamo con strazio a Michele Vitariello – buono, umile, onesto – ed ai suoi cari, ai quali in quell’attimo dolorosissimo è stato strappato il cuore.

E pensiamo al suo piccolo cucciolo, che un giorno, forse capirà d’avere un angelo custode che veglierà per sempre su di lui.
Anche se, forse, avrebbe preferito avere ancora un papà accanto…

http://www.dabitonto.com/cronaca/r/il-commento-la-gioventu-bitontina-tra-movida-rapine-e-morti-bianche/3695.htm