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Ancora una volta la DNA denuncia la gravità delle situazione nel Lazio, ma i Prefetti continuano a non sentire. Siano i Procuratori a convocare i vari comandanti delle forze dell’ordine e ad impartire ad essi direttive

Un Ministro dell’Interno solerte e seriamente pensoso del bene comune, dopo quanto reso pubblico dal PM della DNA Diana De Martino nell’audizione della Commissione speciale sulla Sicurezza della Regione Lazio, sulla gravità del fenomeno mafioso nel Lazio, avrebbe dovuto subito convocare i vari Prefetti delle 5 province per chiedere ad essi conto di cosa abbiano fatto finora per contrastarlo.

Zero assoluto.

Solo il Prefetto di Frosinone, che proviene da Caserta dove ha concorso alla carica di Sindaco e quindi conosce bene le realtà, ha assunto un’iniziativa lodevole per la stipula di patti della legalità con i comuni ciociari.

Bisogna, per onestà intellettuale, dargliene atto.

Dagli altri e, soprattutto, da parte di quelli di Roma e Latina, un silenzio tombale.

Così lo Stato, almeno quello ufficiale, fa la lotta alle mafie nel Lazio.

Ma c’è di più.

I parlamentari dell’opposizione tacciono su questo stato di inerzia assoluta ed anche quelli che si sono spinti a fare almeno delle interrogazioni le hanno confezionate con argomentazioni così generiche da indurre le persone pensanti a domandarsi se essi abbiano voluto o meno affrontare l’argomento in maniera seria.

Leggiamo di convegni ed incontri vari organizzati in giro da partiti politici nei quali si continua a ripetere quello che vanno dicendo da anni magistrati, giornali, specialisti del settore e quant’altri, ma nei quali mai si affrontano in maniera specifica le situazioni locali, nomi e cognomi, collusioni con la politica, contiguità fra soggetti, compromessi e collusioni, omissioni e chi più ne ha più ne metta.

Se escludiamo Frosinone e Roma –la Capitale, nella quale ha la base il fior fiore dell’intelligence italiana e dove, quindi, operano i corpi specializzati, DIA, GICO, SCO, ROSS, Servizi ecc. – siamo costretti a denunciare, inascoltati, che non si fanno indagini patrimoniali e finanziarie.

Vogliamo le statistiche annuali, i “risultati”, provincia per provincia e non i discorsi generici, fumosi, i bla bla bla.

Non si combattono, cioè, le mafie.

Eppure cominciano a stare nella varie Procure bravi magistrati con lunghe esperienze nell’azione di contrasto delle varie criminalità, oltre a quella comune anche e soprattutto di quella organizzata, di quella mafiosa.

Se aspettiamo che siano i Prefetti, questi Prefetti, ad assumere l’iniziativa convocando i comandanti provinciali per chiedere loro conto di quello che hanno fatto o non hanno fatto, diventiamo vecchi.

Siano allora i Procuratori Capo a convocarli per impartire ad essi precise direttive: voglio questo, questo e quell’altro.

Quei pochi parlamentari che hanno dimostrato di volersi interessare al problema, comincino da ora a chiedere conto di fatti specifici, nomi e cognomi, comune per comune, costringendo così il Ministro a avviare le indagini sui “risultati” conseguiti (o non) dai singoli comandi e dai singoli commissariati e facendo venire alla luce, di conseguenza, carenze, omissioni ed anche quale sospetta contiguità.

Ad interrogazioni cliché corrispondono sempre risposte cliché.

Non prendiamoci e prendiamo in giro.