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Almeno per due giorni,per favore,basta chiacchiere e….roccocò.Non stiamo parlando di bruscolini……………………

ALMENO PER DUE GIORNI,PER FAVORE,BASTA CHIACCHIERE E ROCCOCO’

 

 

PER DUE GIORNI FERMIAMOCI CON EMAIL,POST E QUANT’ALTRO DEL GENERE PER CONCENTRARCI  TUTTI UNA BUONA VOLTA PER SEMPRE  SUL TENTATIVO DI   SCOPRIRE CHE COS’E’ CHE NON VA   NEL  BASSO LAZIO.

SIAMO ALLE PORTE DELLA CAPITALE,NON A ROCCACANNUCCIA, E CERTI  ARTIGLI, SE  DI ARTIGLI DOVESSE TRATTARSI,ARRIVANO  AD INCIDERE ANCHE SULLA CAPITALE.

LA SENSAZIONE E’ CHE CI SIANO GRUPPI,GRUPPETTI ,SINGOLI INDIVIDUI,COALIZZATI TUTTI PER BLOCCARE,DEVIARE,EDULCORARE E COMANDARE.

LA TRATTATIVA CHE CI SAREBBE STATA,SECONDO CERTI GIORNALI QUALIFICATI CAMPANI  E I PENTITI, FRA CAMORRA E PEZZI DELLO STATO A GAETA?

MASSONERIA DEVIATA ?

SI SENTE PUZZA DI GREMBIULINI   , CROCI E DI SPIONI A MILLE MIGLIA.

ARIA TROPPO PESANTE CHE  GRAVA SULLA REGIONE DELLA CAPITALE D’ITALIA.

NON STIAMO PARLANDO DI BRUSCOLINI MA DI UN QUALCOSA  DI  MOLTO ,MOLTO SERIO  CHE POTREBBE ESSERE PROPEDEUTICO A TANTO ALTRO ANCORA. SIAMO TUTTI SERI,PER FAVORE, E COMINCIAMO A SELEZIONARE I PROBLEMI CHE STANNO ALLA BASE DELL’AVVENIRE NON SOLO NOSTRO MA,SOPRATTUTTO, DEI RAGAZZI .

DOMANI VENERDI’ CHI PUO’ VENGA A FORMIA PERCHE’ SI PARLA DI QUESTO ED OGNUNO,SE VUOLE, PUO’ PORTARE IL SUO CONTRIBUTO  E…. PARTECIPARCI EVENTUALI NOVITA’.

NON CHIACCHIERE  E……. ROCCOCO’!……..

 

 

 

L’Espresso

 

Il sospetto di un patto…

MAFIA E POTERE

Il sospetto di un patto Stato-Casalesi
e la chiavetta sparita come per mistero

Una pendrive trovata nel rifiugio del boss Zagaria durante la cattura è scomparsa. E rafforza l’ipotesi di profondi legami tra Gomorra e pezzi dello Stato. L’analisi del magistrato anticamorra Antonello Ardituro

DI GIOVANNI TIZIAN

06 agosto 2015

 

L’arresto di Michele Zagaria nel 2011Può un latitante chiuso nel suo bunker circondato da centinaia di uomini delle forze dell’ordine far sparire la memoria informatica dell’organizzazione che governa da vent’anni? Un colpo di scena dai contorni noir avvalora l’ipotesi di una trattativa tra il capo di Gomorra e pezzi dello Stato.

Quella che sembrava una teoria con solo qualche indizio sembra trovare pesanti riscontri nell’ultima indagine antimafia condotta dal Ros dei carabinieri. Un quadro poco rassicurante che si è arricchito in queste settimane del giallo della pen drive scomparsa dal covo del latitante Michele Zagaria, catturato il 7 dicembre 2011.

Un vero mistero su cui la procura anticamorra di Napoli vuole fare luce e che rischia di svelare complicità in alto, molto in alto. Mettere le mani su quel database informatico svanito nel nulla vorrebbe dire accedere ai segreti più sconvolgenti della mafia casalese. Significherebbe dare il colpo finale al sistema Gomorra. Per questo la manina invisibile che nelle ore dell’arresto ha sottratto la chiavetta potrebbe ricondurre a una rete di protezione insospettabile del boss. E a una sorta di trattativa campana.

«L’ipotesi di un dialogo tra Zagaria e apparati dello Stato va valutata con attenzione, non è da escludere», spiega a “l’Espresso” Antonello Ardituro, magistrato di punta del pool anticamorra per quasi dieci e ora consigliere del Csm, che ha scritto per Laterza “Lo Stato non ha vinto” in collaborazione con il cronista di “Repubblica” Dario Del Porto.

Dottor Ardituro, si parla di una possibile trattativa tra il clan di Michele Zagaria, l’ultimo padrino, forse il più protetto da apparatidi varia natura, e pezzi dello Stato. Lei che idea si è fatto?
«Questa pista andrà sicuramente approfondita. D’altronde una lunghissima latitanza è possibile solo se il sistema di protezione è ben collaudato. È rimasto per anni invisibile in un contesto che aveva la necessità di mantenere alcuni equilibri territoriali che solo Zagaria poteva garantire. Zagaria come elemento regolatore, che assicura ordine e mette a tacere le schegge impazzite».

E poi c’è la pen drive che non si trova. I carabinieri del Ros nei loro rapporti lo scrivono chiaramente: prima di essere arrestato Zagaria ha consegnato a qualcuno la chiavetta con le coordinate del suo tesoro in cambio di 50 mila euro. Possibile che in quegli attimi convulsi della cattura accadesse una cosa del genere? Siamo di fronte all’ennesimo mistero italiano?
«È una strana vicenda. Due le ipotesi: o la scomparsa si inserisce in un caso di corruzione episodico oppure in uno scenario più ampio di trattativa e promesse di scambio e di tutela del patrimonio accumulato. C’è un altro elemento che si aggiunge e potrebbe rientrare in questo scenario di tipo siciliano».

Cioè?
«C’è un passaggio ulteriore che abbiamo scoperto durante le inchiesta su Zagaria. Un gruppo di imprenditori legati a doppio filo alla sua famiglia dopo l’arresto del boss hanno deciso di denunciare e di intraprendere un percorso antiracket tentando anche di costituire un’associazione antimafia. Alcuni la definiriono la primavera di Casapesenna, ma in realtà non era altro che una strategia per ripulirsi e rientrare così nel giro degli appalti pubblici».

Una sorta di strategia dell’inabissamento, come successe con il cambio al vertice di Cosa nostra dopo l’arresto di Totò Riina.
«L’ho definito scenario siciliano perché se si dovesse andare nella direzione di una latitanza conclusa in maniera controllata allora ricorderebbe le ipotesi investigative seguite dai pm palermitani sulla cattura di Riina. La ciclicità delle stranezze che accompagnano la fine della latitanza dei grandi capi apre solitamente un cambio di una stagione criminale. Nella prospettiva di creare una nuova struttura sul territorio e la scelta di nuovi business diversi dai rifiuti. Per esempio la sanità. Dopo le grandi operazioni che hanno messo in ginocchio i vertici del clan, fino al 2011, un’evoluzione era necessaria per la sopravvivenza. Senza dimenticare il fatto che i contatti istituzionali a Zagaria non sono mai mancati».

Quali sono state le coperture istituzionali dei casalesi? Ci sono stati rapporti con i servizi segreti? Sono stati limitati alla gestione dell’emergenza rifiuti o hanno avuto natura diversa? 
«Non abbiamo altro tipo di evidenze dal punto di vista giudiziario. È vero però che ci sono stati indizi di una presenza dei servizi legata alla vicenda rifiuti e alla latitanza di Zagaria».

Lei scrive che lo Stato non ha vinto. Una provocazione o lo pensa davvero?
«I successi giudiziari, lo smantellamento dei reparti militari, i grandi pentimenti, i sequestri e le confische, hanno fatto emergere un grado di compromissione molto profonda della politica e dell’imprenditoria. Ci siamo quindi resi conto che in quei territori lo Stato non ha fatto lo Stato: pensiamo alla vicenda dei rifiuti».

Quindi è una storia non solo di camorra?
«Sui rifiuti si è giocata una partita importantissima su due binari paralleli. Quella del ciclo illegale, dello sversamento criminale nelle campagne dell’agro aversano, e quella legale in cui la camorra ha avuto un ruolo di servente, di esecutore: protagonista in quest’ultimo caso è stata la politica che ha commesso errori clamorosi rendendo l’emergenza stabile per venti anni. Un sistema simile a un acquedotto con tanti buchi da cui le risorse sparivano per arricchire gruppi di potere. Sono nati così consorzi, cooperative, e quindi clientele, discariche sulle quali speculare e, poi, l’affare delle ecoballe. In questo capitolo c’è stata una convergenza di interessi di una larga fetta della politica. E i processi in corso, o quelli conclusi, contro i referenti hanno dimostrato una responsabilità che va oltre quella penale, anche in quei casi in cui il giudice ha deciso per l’assoluzione»».

Il clan dei Casalesi in questo contesto paralegale come si è mosso?
«Della situazione la camorra ne ha approfittato subito, entrando nei trasporti, nella realizzazione delle piazzole per il deposito delle ecoballe e delle discariche, fino a tutto ciò che compone l’indotto di questo affare milionario. È emblematico l’esempio della discarica di Chiaiano, realizzata in piena emergenza da un’imprenditore legato a Michele Zagaria. E dalle indagini che abbiamo chiuso sono emerse conoscenze del boss persino nel Commissariato per l’emergenza rifiuti. In particolare una delle aziende che fanno capo a lui ha intercettato decine e decine di appalti del Commissariato».

I casalesi e la politica nazionale: sappiamo tutto? Era solo Nicola Cosentino il referente? O ritenete ci fosse altro? 
«A livello nazionale Cosentino era il livello più alto di questo tipo di rapporto. Altro, se c’è stato, non è emerso. Ci sono alcuni pentiti che hanno rilasciato dichiarazioni su altri personaggi di rilievo nazionale, ma non sono state riscontrate. E poi c’è anche il procedimento su Luigi Cesaro (deputato di Forza Italia, ndr), che è ancora in corso».

Quanta parte dei capitali casalesi è sfuggita dai sequestri e dove ritiene sia nascosta?
«È verosimile che le grandi ricchezze siano sfuggite, ma più che ipotizzare luoghi lontani dove andare a trovare i capitali, credo che il vero meccanismo utilizzato per proteggere la ricchezza sia stato quello di affidarla a degli imprenditori complici, che sono diventati custodi e funzionano ancora oggi da bancomat per le famiglie del clan».

Oggi cosa succede nel triangolo Casal di Principe, Casapesenna, San Cipriano? Lo stato controlla il territorio o ci sono clan emergenti? 
«Continua a esserci una forza significativa del clan Schiavone con le nuove leve che gestiscono le estorisioni. Allo stesso tempo però il clan dei casalesi così come lo abbiamo conosciuto è stato disarticolato, quindi quello che verrà sarà per forza una cosa diversa. Ora, dunque, siamo in quella che possiamo definire una fase di passaggio».

Questo governo ha dimenticato la lotta alle mafie?
«Da un punto di vista normativo probabilbmente è stato fatto qualcosa, perciò credo che potremmo dare una valutazione sufficiente. Alcune riforme, penso all’autoriciclaggio e al voto di scambio, anche se frutto di compromessi, vanno nella direzione giusta. Quello che manca è una coerenza complessiva nella lotta alla mafia: il Sud deve essere in cima all’agenda del governo. Servono politiche sociali e del lavoro che liberino il mezzogiorno dal ricatto occupazionale. E poi è necessaria una maggiore stabilità del messaggio di legalità: i cittadini, cioè, devono percepire che non c’è tentennamento da parte delle istituzioni».