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Al No B day sepolti i partiti, la protesta tifa Fini e Veronica

ROMA (6 dicembre) – Se non ci fossero state le bandiere rosse, questa manifestazione sarebbe riuscita meglio. Un corteo tutto viola – ecco il colore trendy e post-ideologico del No-B-Day – avrebbe rappresentato una novità freschissima, nella sua stranezza. S’è mai vista una piazza di sinistra che inneggia alla Lario e a Fini come nuovi idoli a sorpresa («Meno male che Gianfranco c’è» e «Veronica for president»), mentre stuzzica il Pd definito «complice» e «vile» nei cartelli?

Non una piazza anti-politica ma a-politica o meglio: post-politica, questa. Più di giovani che di anziani, al contrario dei girotondi del 2002 di Nanni Moretti (il quale comunque c’è), e consapevole per esempio, infischiandosene un po’, che Di Pietro sta lì in mezzo a caccia di voti. Che i vari liderini dei partitelli comunisti cercano fra le bandiere viola un’improbabile resurrezione politica. E che il Pd non si smentisce mai e davanti a questo evento un po’ partecipa e un po’ s’astiene, secondo la proverbiale dottrina del sì «ma anche» no.

L’anti-berlusconismo classico non può mancare. In centinaia di raffigurazioni, si vede Silvio dietro le sbarre («Tu vuoi fare l’incensurato ma sei un iper-pregiudicato») o sfottuto con un «Iddu pensa solo a iddu» e con «A giudizio o all’ospizio» o mostrificato affianco alla foto di una bellissima Veronica mentre lui è un «cai-nano» o un «venditore di pentole false». Però, non c’è il solito popolo di marciatori «de sinistra» che s’incontra in piazza dagli anni ’60, sempre più incanutito e spento. Ci sono le ragazze vestite di viola con striscione: «Tu veline, noi violine». E più in là, mentre un gruppo di trotzkisti canta «bandiera rossa la trionferà», una giovane «violina» lo affronta a muso duro: «E’ viola, non rossa, la nostra bandiera!». I cartelli recitano: «D’Alema, fai una cosa di sinistra: sparisci!». Un lenzuolo gronda speranza: «Grazie Napolitano, grazie Fini, le persone perbene sono con voi».

C’è Arnoldo, un quarantacinquenne con studi a Oxford e carriera a Wall Street che è tornato in Italia, sfila silenzioso con la figlioletta lungo via Cavour e poi spiega: «Ho votato sempre per il centro-destra, anche nel 2008. Ma ormai ho capito che Berlusconi è inadatto. La società capitalistica, specie in momenti di crisi, ha bisogno di essere governata. Il Cavaliere invece oscilla fra monarchia e anarchia». A pochi metri da lui, svetta uno striscione: «L’Italia non è un sultanato».

Una signora democrat («Chiedo scusa, ma sono del Pd», in realtà come lei ce ne sono tanti) è in piazza con la figlia e il fidanzato della figlia. Il quale: «Sono del Pdl. Area Fini. Questa piazza è anche la mia piazza». Se di tipi così in questo popolo ce ne fossero di più – o in tanti di sinistra annunciassero come fa la cantante Fiorella Mannoia: «Io voterei per Fini» – l’effetto del corteo sarebbe esplosivo e il No-B-Day non correrebbe il rischio di essere una bella festa di protesta senza alcuna vera conseguenza sul quadro politico italiano. Se non quella, magari, come dicono gli scettici e gli avversari, di aiutare Berlusconi che gode a sentirsi vittima.

C’è chi propone un «No D’Alema Day». Chi porta a spasso un bebè con un foto di Silvio appesa al collo e la scritta: «Io di certo non l’ho votato». Chi srotola uno striscione e lo rivolge agli automobilisti imbottigliati nel traffico e ai passanti che fanno lo shopping: «Scusate il disagio, manifestiamo anche per voi». Chi, in tantissimi, osanna come un leader il fratello del giudice Paolo Borsellino, Salvatore, e sventola dei fac-simile delle agendine rosse diventate icone della lotta anti-mafia.

Chi va in estasi per l’anziano Mario Monicelli, che parla dal palco e sprizza energia: «State sempre all’erta!». Si sentono tutti società civile slegata da appartenenze precostituite e stanca dei vecchi schemi (se lo conoscessero aderirebbero a un celebre aforisma di D’Alema: «La sinistra è un male che solo la presenza della destra rende sopportabile») e rappresentano quella «Regina del mondo» (così s’intitola un bel libro appena pubblicato da Il Mulino) che sarebbe l’opinione pubblica capace di scavalcare i partiti e di trascinarli nelle proprie iniziative. Facendosi beffe di quello che un tempo, archeologicamente, si chiamava «il Primato della politica». Ti spiegano questi ragazzi in viola: «Se prima il modello era tutto top-down, tipico della vecchia politica e anche della tivvù, adesso dev’essere bottom-up: dal basso verso l’alto».

In una carrozzina c’è Penelope, tre mesi e tre giorni, che annuncia tramite foglietto vergato dai suoi genitori: «Partecipo alla protesta». Ma pare che non sia la più giovane, perchè è stata avvistata – sotto il cartello «Io come Veronica nun t’arreggo cchiù» – una bimba di due mesi. Ecco poi qualche bandiera del Pd, tollerata. Un tadzebao contro Napolitano («Presidente non fare il cieco»), poco condiviso. Un coro in rima («Abbiamo un sogno nel cuore, Berlusconi a San Vittore»), trascurabile. E per la musica dal palco, pagato dall’Italia dei Valori, occhio a Roberto Vecchioni e a Paola Turci. Cantano in duetto il famoso hit di Franco Battiato: «Povera patria».

Che è anche quella in cui i vecchi volponi della politica vorrebbero intestarsi il successo dei No-B-Boys, i quali sono abili però a non farsi ingabbiare. Spiega la trentenne Sara De Santis, una delle organizzatrici: «Questa piazza, e le altre se ci saranno, è aperta a tutti di nessun partito e di tutti i partiti. Anche di destra, se sono stufi». Qualche «stufo» s’intravede. E anche qualche super-realista di sinistra. Come il divo del teatro combat, Ascanio Celestini, il quale prima incassa un’ovazione per il suo intervento dal palco di San Giovanni, poi scende e spiega: «Questa piazza è bellissima. Ma quello che serve è una prospettiva». C’è?

Mario Ajello

(Tratto da Il Messaggero)