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A proposito delle “navi dei veleni” che trasportavano rifiuti pericolosi con destinazione ignota,alcune delle quali ,secondo le dichiarazioni di pentiti,sarebbero state affondate con tutto il carico,nelle acque italiane,i senatori del M5S interrogano il Governo.La vicenda potrebbe aver interessato anche il Porto di Gaeta noto al riguardo sia per le dichiarazioni del Collaboratore di Giustizia Carmine Schiavone che per aver accolto a lungo la nave sequestrata dalla magistratura “21 Ottobre” della Società Schifco impegnata nei traffici oscuri sull’asse Italia-Somalia sui quali indagò anche Ilaria Alpi.

Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-07582


Atto n. 4-07582

Pubblicato il 25 maggio 2017, nella seduta n. 831

NUGNES , CAPPELLETTI , CASTALDI , DONNO , GIARRUSSO , GIROTTO , MANGILI , MORONESE , PAGLINIPUGLIA – Ai Ministri dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell’interno. –

Premesso che a quanto risulta agli interroganti:

dall’articolo pubblicato dal quotidiano on line “affariitaliani” del 19 maggio 2010, dal titolo “Navi e marinai abbandonati, venti casi in Italia. Il dossier delle Capitanerie di porto” si apprende che il dossier elaborato dalle capitanerie di porto italiane dal titolo “Né in terra, né in mare”, diffuso nell’ambito del secondo convegno sul welfare della gente di mare, tenutosi l’11 maggio 2010 a Roma, evidenzia che nei porti di “mezzo mondo” si contano fino a 2.000 navi, di cui 20 attualmente in Italia, abbandonate da armatori in crisi e di interi equipaggi, prigionieri delle imbarcazioni su cui viaggiano da mesi, costretti a rimanere a bordo per non perdere i propri diritti. Le statistiche del dossier parlano di 541 navi abbandonate tra il 1995 e il 2007 in tutto il mondo;

la pagina web “Fanpage” del 18 maggio 2017 riporta, con ampio risalto, un’intervista esclusiva di un collaboratore di giustizia, ex affiliato alla ‘ndrangheta, nella quale denuncia in maniera circostanziata come nel decennio tra gli anni ’80 e ’90 vi sia stato l’utilizzo di numerose navi cargo per il trasporto illecito dei rifiuti tossici nel Mar Mediterraneo, poi fatte affondare con tutto il loro carico. Le stesse navi, aggiunge, talvolta finivano per essere “venivano vendute durante il tragitto insieme al carico di morte che veniva poi smaltito in parte in mare e in parte in terra”;

secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia, le prime rivelazioni sul fenomeno del trasporto di rifiuti tossici a bordo di navi cargo, sarebbero state fornite dal collaboratore di giustizia Francesco Fonti nel 2003 nel corso di diversi interrogatori dinanzi ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Nello specifico, racconta che alcune ‘ndrine calabresi (associazioni di più famiglie criminali) in collaborazione con i servizi di sicurezza e informazione italiani ed attraverso il ruolo svolto da un agente in forza al Sisde (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica) conosciuto con il nome di “Pino”, avrebbero affondato migliaia di tonnellate di rifiuti provenienti, sia dalle industrie italiane, sia da quelle europee. Il collaboratore di giustizia Francesco Fonti sarebbe poi deceduto nel 2012 di morte naturale, senza che le sue dichiarazioni avessero potuto dare maggiore incisività al lavoro dei magistrati;

il citato sito di informazione riporta che lo stesso collaboratore avrebbe inoltre affermato che” “Esisteva una vera e propria sezione dei servizi segreti che si occupava delle navi, avevano il compito di agire per una intermediazione e assicurarsi che ai servizi fosse data la loro parte nell’affare, parte che era la più grande di tutte”. Gli 007 italiani “concedevano i permessi doganali e agevolavano il viaggio delle navi esercitando le loro pressioni presso gli uffici marittimi e garantendo controlli blandi durante la navigazione””. Dunque, una sezione dei servizi di sicurezza che si era, a quanto sembra, trasformata nella longa manus che permetteva di organizzare il traffico illecito dei rifiuti via mare nel nostro stesso Paese affidando successivamente a terzi lo smaltimento. Non tutte le navi cosiddette “navi a perdere”, ovvero navi affondate dolosamente con carichi di rifiuti radioattivi o comunque tossici, sarebbero finite in fondo al mare;

considerato che:

“Fanpage” del 18 maggio 2017 evidenzia che la suddetta tesi emergerebbe anche dalle parole del presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, onorevole Alessandro Bratti, il quale, in una intervista a loro rilasciata e pubblicata l’8 febbraio 2017 afferma: “Non escludo che ci siano stati affondamenti di navi con carichi di rifiuti pericolosi, ma non è detto che tutte le navi siano state affondate, non ci si è mai soffermati sul percorso fatto dai rifiuti sulla loro partenza e il loro arrivo e smaltimento”. Stesse indicazioni sono state fornite dall’ex’ndranghetista: “Ci sono ancora due navi che sono dismesse ma sono in superficie e si trovano nei sedimenti di due porti italiani, ma bisogna saperne la posizione per poterle individuare altrimenti non si notano”. Ed ancora, il racconto dell’ex mafioso, come riportato dalla pagina web, sembra avvalorare la posizione del Presidente della commissione ecomafie: “Alcune navi sono arrivate a destinazione, altre invece venivano vendute prima, insieme al loro carico, che veniva scaricato in parte in mare e in parte a terra. Le navi che sono state scaricate e quindi non affondate erano quelle che dovevano essere salvate perché in parte servivano per fare altri viaggi di rifiuti tossici e in parte dovevano anche riprendere i loro normali viaggi commerciali”. Non è stato detto nulla sui nomi delle località che ospitano nei loro porti le due navi dismesse;

nella relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, approvata nella seduta del 5 febbraio 2013, Doc. XXIII n. 18, sul punto si legge: “In particolare il documento proveniente dal Copasir, archiviato dalla Commissione con il n. 294/55, riguarda una comunicazione del Sismi al Cesis in merito alle spese sostenute nell’anno 1994 per i servizi di intelligence connessi al problema del traffico illecito di rifiuti radioattivi e di armi, indicati nella misura di 500 milioni di lire. Si tratta di un documento desecretato dalla Commissione particolarmente interessata a comprendere in che modo fossero stati utilizzati i 500 milioni di lire nelle operazioni di intelligence relative al traffico di rifiuti e di armi. Non è stato però possibile, nonostante le numerose audizioni effettuate sul punto, sapere in che modo sia stata spesa la somma di cui sopra, per lo svolgimento di quali attività e, ancor prima, per quali ragioni i servizi, all’epoca, fossero interessati al tema dei rifiuti radioattivi”;

considerato inoltre che:

nella stessa relazione si rileva: “La Commissione ha accertato che il primo procedimento penale aperto in relazione alla vicenda delle “navi a perdere” fu quello recante il n. 2114/94 mod. 21 R.G.N.R., iscritto presso la procura circondariale di Reggio Calabria, assegnato al sostituto procuratore della Repubblica, dottor Francesco Neri. Il procedimento venne aperto inizialmente a carico di ignoti a seguito di un esposto di Legambiente del 2 marzo 1994 nel quale si denunciava l’esistenza, in Aspromonte, di discariche abusive contenenti materiale tossico-nocivo e/o radioattivo, trasportato con navi presso porti della Calabria e, successivamente, in montagna con automezzi pesanti”;

l’inchiesta era stata condotta dal capitano di Fregata Spe r.n. Natale De Grazia in servizio presso la capitaneria di porto di Reggio Calabria e che al momento della sua morte, avvenuta il 12 dicembre del 1995, era applicato alla sezione di Polizia giudiziaria presso la Procura circondariale di Reggio Calabria e faceva parte di un pool investigativo, coordinato dal sostituto procuratore Francesco Neri, costituito per effettuare le indagini avviate proprio a seguito dell’esposto presentato da Legambiente, concernente presunti interramenti di rifiuti tossici in Aspromonte. Dopo la morte del capitano De Grazia, avvenuta in circostanze a parere degli interroganti misteriose, il pool si è sfaldato;

considerato altresì che:

il capitolo delle “navi dei veleni” è tornato alla ribalta, quando nel 2009, con l’insistenza del nuovo Procuratore di Paola, Bruno Giordano, e dell’assessorato all’ambiente calabrese, si ricerca nuovamente la nave Cunski, che si riteneva fosse stata affondata al largo di Cetraro con 120 fusti di materiale radioattivo. Successivamente i rilievi del Ministero dell’ambiente portarono al ritrovamento della motonave “Catania”, affondata durante la seconda guerra mondiale. Sul mancato ritrovamento, lo stesso collaboratore di giustizia, nella suddetta conversazione su “Fanpage”, afferma: “Tenete presente una cosa, non esisteva un solo Cunski, non c’era una sola nave con quel nome ma ce n’erano ben tre, tre navi diverse con lo stesso nome ma bandiera e proprietà differenti”;

l’articolo 92 della United Nations Convention on the Law of the Sea (Unclos) richiede che le navi battano la bandiera di una singola nazione, in modo da rendere noto alla comunità internazionale quale Stato ha giurisdizione su di esse. Come conseguenza di questo obbligo, lo stesso articolo stabilisce che le navi “senza nazionalità” siano non legittimamente registrate in alcuno Stato e quindi, come tali, sottoposte alla giurisdizione di tutte le nazioni;

ad oggi restano sconosciuti i nomi dei porti in cui sarebbero presenti le imbarcazioni in questione e non risulta agli interroganti l’adozione di azione concrete finalizzate alla la loro ricerca, identificazione e messa in sicurezza,

si chiede di sapere:

se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza dei fatti esposti e, per quanto di competenza, di quali ulteriori elementi dispongano;

se non intendano fornire con urgenza, nell’ambito delle rispettive competenze, un report aggiornato sulla situazione delle navi arenate presenti nei porti italiani, nonché sui motivi della loro permanenza sulla terra ferma, sul loro precedente utilizzo e sull’eventuale ruolo svolto da operatori e da sezioni dei servizi di sicurezza e di informazione del nostro Paese;

quali provvedimenti di competenza siano stati intrapresi o intendano adottare per la bonifica delle aree in cui sono arenate le navi e affinché sia dato corso al loro totale smantellamento;

quali iniziative di competenza intendano assumere, anche alla luce dei diversi documenti desecretati riguardanti le “navi dei veleni” e sulla loro presenza sui fondali dei mari italiani, per contribuire a fare chiarezza sulla vicenda e per contrastare il traffico internazionale di rifiuti radioattivi;

se non intendano adottare iniziative di propria competenza per tutelare la salute dei cittadini, nonché realizzare un’approfondita campagna di monitoraggio dei siti marini, dove si supponga siano avvenuti gli affondamenti delle navi e dei loro carichi tossici, prevedendo l’eventuale recupero di uno dei relitti delle navi in questione;

se non ritengano sia necessario realizzare un percorso di controllo nei porti italiani, dove si presuma possano essere state abbandonate alcune delle navi cargo utilizzate per il trasporto di rifiuti, che preveda altresì la realizzazione di verifiche ambientali, al fine di escludere la presenza di elementi radioattivi, sia sulle stesse imbarcazioni, che nell’atmosfera circostante;

se non intendano predisporre, nei limiti delle proprie attribuzioni, tutte le iniziative volte ad agevolare le indagini in corso, sia per quanto riguarda gli affondamenti sospetti, sia per quanto concerne le navi abbandonate nei porti italiani e precedentemente utilizzate per presunti traffici di materiale radioattivo e finalizzate a rafforzare il contrasto alla criminalità organizzata coinvolta negli eventi in questione.