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Antimafia, Giovanardi furioso: «Il prefetto è un coniglio, chiederò la sua testa»

 

L’Espresso, Giovedì 27 aprile 2017

Antimafia, Giovanardi furioso: «Il prefetto è un coniglio, chiederò la sua testa»
Minacce, pressioni e segreti. La strategia dell’ex ministro di Berlusconi per aiutare l’azienda legata alla ‘ndrangheta emiliana. Ecco le carte dell’inchiesta di Bologna sul parlamentare modenese. Entro 10 giorni il giudice si pronuncerà sull’utilizzo delle intercettazioni in cui c’è la voce del parlamentare

DI GIOVANNI TIZIAN

Quel prefetto è «un coniglio». E ancora: «Quando vado a Roma chiedo la sua testa». Il copyright è del senatoreCarlo Giovanardi, un «martello pneumatico» (lo definisce uno degli indagati) che non si ferma davanti a niente. Sul ruolo del parlamentare di “Idea”, indagato insieme ad altre 11 persone dall’antimafia di Bologna , emergono ulteriori particolari. Dettagli che rischiano di mettere in serio imbarazzo il senatore che peraltro siede in commissione antimafia. Il parlamentare è sotto inchiesta per rivelazione di segreto e minaccia a corpo amministrativo dello Stato. Con un’aggravante molto seria: aver agevolato l’organizzazione mafiosa, cioè la ‘ndrangheta, che grazie alla società Bianchini era entrata nel giro giusto degli appalti. Una società, la Bianchini, che gli inquirenti ritengono a disposizione dei clan. I titolari infatti sono imputati per concorso esterno in associazione mafiosa a Reggio Emilia insieme al gotha emiliano della mafia calabrese.

Per sette mesi, è l’ipotesi degli inquirenti, l’ex ministro del governo Berlusconi ha esercitato «pressioni e minacce» su prefetti, ufficiali dell’Arma, poliziotti e funzionari. Una frenetica attività di pressing a tutto campo mirata a salvare due imprenditori modenesi che da circa un anno sono alla sbarra in un processo di ‘ndrangheta con centinaia di imputati. Ma non solo. Agli imprenditori avrebbe anche rivelato notizie riservate apprese direttamente dal palazzo della prefettura.

L’atto d’accusa della procura antimafia è un lungo elenco di date, riunioni, colloqui registrati. Fatti che riconducono l’attività dell’ex ministro, fino al 2011 anche sottosegretario alla presidenza del Consiglio, in un recinto ben preciso: ha agito, sostengono i pm, «in assenza di qualsiasi connessione, se non strumentale, con qualsivoglia attività parlamentare».

Una valutazione che sconfessa così la tesi difensiva di Giovanardi, il quale ha sempre sostenuto che ciò che ha fatto rientrava tra le sue prerogative di parlamentare. Tra gli indagati, oltre al senatore, ci sono altre 11 persone, tra questi c’è il capo di gabinetto della prefettura di Modena, Mario Ventura, e i titolari dell’impresa Bianchini, Augusto e Alessandro Bianchini e Bruna Braga.

C’è, tuttavia, una data che rappresenta uno spartiacque. Si tratta del 18 ottobre 2014. È il giorno in cui nell’ufficio del politico, a Modena, si è tenuto uno degli incontri riservati tra Giovanardi e la famiglia Bianchini. In questa occasione gli imprenditori, che hanno il vizietto di registrare gli incontri a cui vanno, ammettono davanti al parlamentare di aver sgarrato più di una volta. Dove per sgarrare intendono rapporti commerciali e fatture false con pezzi grossi della ‘ndrangheta oltre che l’assunzione di operai tramite un boss calabrese.

Da quel 18 ottobre Giovanardi è dunque, così sostengono i pm Beatrice Ronchi e Marco Mescolini, consapevole delle relazioni pericolose degli imprenditori modenesi. Eppure prosegue nella sua crociata per salvare l’azienda dai provvedimenti della prefettura di Modena, istituzione che aveva escluso la Bianchini costruzioni dalle “white list”, gli elenchi prefettizi delle aziende “pulite” . Solo le imprese iscritte a tali liste possono lavorare nei cantieri pubblici della ricostruzione post terremoto. 

È nella stessa riunione del 18 ottobre che Giovanardi definisce l’allora prefetto di Modena, Michele Di Bari, da un anno a Reggio Calabria, un «coniglio che pensa solo a non fare cose che lui ritiene controproducenti per sé stesso», colpevole, secondo il politico, di non intervenire in favore dell’impresa a cui il senatore tiene tantissimo. Il prefetto Di Bari è una delle vittime del senatore, che sul rappresentante del governo – si legge nei documenti dell’accusa – «usava pressioni e anche dirette minacce aggredendolo verbalmente in numerose occasioni per ottenere la mutazione dei provvedimenti adottati nei confronti della Bianchini costruzioni». La tensione con Di Bari aveva raggiunto livelli altissimi, tanto che quel 18 ottobre davanti ai Bianchini, Giovanardi arriva a dire: «Quando vado a Roma, magari chiedo la testa del prefetto eh! Se il prefetto non sa fare il suo mestiere vada a casa».

Tra i nemici giurati del senatore c’erano soprattutto i carabinieri di Modena. Additati come i veri responsabili della drammatica situazione patita dai Bianchini. Ritenuti più colpevoli di altri del “danno” provocato all’impresa emiliana. Per questo motivo Giovanardi ottiene un incontro anche con due ufficiali. All’appuntamento in un luogo pubblico si recano l’allora comandante provinciale di Modena, il colonnello Stefano Savo, e Domenico Cristaldi, capo del nucleo investigativo.

I due vanno all’appuntamento in divisa affinché non si crei alcun tipo di equivoco. Ma pure in questa occasione l’ex ministro sfoga tutto il suo disappunto: « Il Senatore ha detto espressamente che qualcuno avrebbe dovuto rispondere dei danni derivanti da questi interventi facendo il parallelo con la responsabilità dei magistrati e dicendo che era sua intenzione presentare degli esposti su questa vicenda. Ho avuto la percezioni che volesse riferirirsi al mio comando e alla mia persona», ha spiegato ai magistrati il colonnello Savo quando è stato sentito come testimone.

Agli atti anche la testimonianza del secondo militare: «Voglio sottolineare che il senatore ha tenuto un comportamento estremamente deciso e perentorio, spesso non permettendo al comandante provinciale di concludere i propri interventi e proseguendo nelle sue valutazioni in modo incalzante. Peraltro sia io che il colonnello Savo eravamo in divisa, in un esercizio pubblico e il senatore utilizzava un tono di voce non certamente basso».

Tutto legittimo, sostiene Giovanardi. Convinto di avere agito con strumenti parlamentari, è la difesa che porterà in aula. Tuttavia, c’è una grande differenza tra il presentare un’interrogazione in Senato e minacciare con il trasferimento o la denuncia uomini delle istituzioni.Grandi manovre per salvare una sola azienda. La Bianchini Costruzioni, che fino a quattro anni faceva incetta di appalti in giro: aveva ottenuto anche un appalto nell’ambito di Expo 2015 ed è stata molto presente nella prima fase della ricostruzione post terremoto.

Poi a giugno 2013 inizia l’incubo: la società di costruzioni viene colpita dal provvedimento del prefetto. Due anni dopo i titolari verranno arrestati nella retata anti ‘ndrangheta denominata Aemilia. Quando i Bianchini ricevono la notifica dell’esclusione dalle “White list”, si rivolgono immediatamente al parlamentare modenese. Il metodo usato è stato avvicinare uomini delle istituzioni, sfruttando anche il ruolo politico ricoperto, per caldeggiare il reintegro dei Bianchini nelle white list. Un pressing, dicono i pm, che si è trasformato in una forma di minaccia verso servitori dello Stato chiamati in Emilia proprio per combattere la mafia.

Agli atti dell’inchiesta sono allegate anche quattro intercettazioni, in cui c’è la voce del senatore, e numerosi tabulati telefonici, sempre relativi ai contatti del politico con gli altri indagati. Sono tutti dati ottenuti in maniera casuale dai pm, che incrociano la strada di Giovanardi seguendo gli imprenditori amici dei boss. Trattandosi però di un parlamentare, per utilizzare tutto questo materiale investigativo è necessaria l’autorizzazione della Camera di appartenenza. Sarebbe stato sufficiente trasmetterle alla giunta per le autorizzazioni del Senato. Ma per una maggiore garanzia dell’indagato la procura ha preferito passare dal giudice delle indagini preliminari. Che entro dieci giorni deciderà: se le intercettazioni sono rilevanti, allora, le invierà alla giunta per le autorizzazioni del Senato, altrimenti verranno distrutte. Discorso a parte per le registrazioni fatte dagli imprenditori durante le riunioni. Quelle frasi rubate, a partire da «il prefetto è un coniglio», sono già utilizzabili senza passare da alcun filtro del Parlamento.