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Caso Fondi: vanno rese più efficienti le forze dell’ordine locali

COMUNICATO STAMPA

 

 

Abbiamo il fondato sospetto che ci sia gente che, quando si parla di Fondi e del suo territorio,non  voglia rendersi conto del fatto che  stiamo parlando di un’area su cui, oltre ai Casalesi, c’è una delle più potenti  ‘ndrine del Paese.

Una ‘ndrina che è riuscita ad inserirsi nel tessuto economico e sociale al punto da gestire servizi, in regime di monopolio, perfino in importanti edifici pubblici.

Su quel territorio,evidentemente ritenuto poco “vigilato” da coloro che l’hanno prescelto come ideale per ottimizzare spericolate  ed importanti attività economiche, operano soggetti dotati di tale autorevolezza nella storia criminale del Paese da oscurare perfino la ‘ndrina dei  Gallace-Novella che opera su Nettuno-Anzio-Ardea-Pomezia.

Stiamo parlando, non dimentichiamocelo mai, di “compari di anello” di Totò Riina.

A questo punto, il discorso si fa complesso e delicato perché, mentre da una parte evidenzia il fatto che quella ‘ndrina, quel clan, quella “famiglia” hanno individuato  il territorio di Fondi-Sperlonga-Monte San Biagio ecc. come quello che offre le migliori condizioni per loro  per operare, dall’altra rivela un’inadeguatezza agghiacciante dell’azione di contrasto svolta dai presidii di polizia locali.

I responsabili provinciali e nazionali delle forze dell’ordine ed i Ministeri dell’Interno e della Giustizia debbono prendere atto dell’assoluta necessità di rivedere tutto l’impianto investigativo e giudiziario pontino, non continuando a tenere sul nostro territorio soggetti inesperti  e che non provengano da “palestre” importanti come sono quelle di  distretti come Palermo, Napoli, Reggio Calabria e così via.

Nella “lettura” dei “fatti” (citiamo, come esempio, i “casi “ di Monte San Biagio, ed anche di Lenola, comune dove si arriva addirittura ad uno scontro armato fra bande, oltre ai fenomeni di abigeato e di una devastante edilizia, ”fatti” che non vanno “letti” separatamente, ma che, al contrario, dovrebbero essere tutti ricondotti ad un unicum), rileviamo, purtroppo, una filosofia della “frammentazione” veramente allarmante.

Sono anni che stiamo insistendo,inascoltati come al solito, da partiti politici, istituzioni, sindacati dei lavoratori ecc., sulla necessità di tener conto nell’azione contro la criminalità organizzata di TRE elementi:

1) La mafia cerca sempre una sponda politica ed istituzionale. E’, pertanto, sul versante delle collusioni fra mafia e politica che bisogna indagare: cosa che, purtroppo, non si fa e, se si fa, lo fanno investigatori e magistrati che intervengono da fuori provincia;

2) C’è una palese inadeguatezza investigativa locale.

Questo problema va affrontato e risolto non, come propone qualcuno, chiedendo l’istituzione della DIA nel basso Lazio, ma rendendo efficienti le forze  dell’ordine locali che, per numero di operatori, sono più che sufficienti.

Non dimentichiamo che l’istituzione di un presidio della DIA a Latina o Frosinone comporterebbe l’obbligo per questi investigatori di avere come referenti diretti  le locali Procure della Repubblica e, con tutto il rispetto che abbiamo verso i  nostri magistrati, purtuttavia non riteniamo che questi abbiano competenze specifiche in materia di lotta alla mafia.

Quindi, non facciamo discorsi impropri, superficiali e devianti.

La DIA sta bene a Roma, da dove opera più che bene sotto la direzione della DDA.

Rendiamo, invece, efficienti le forze dell’ordine locali dotandole di strumenti tecnologici adeguati (non c’è un solo apparato di intercettazione GPS), direzioni competenti e così via.

Un bravo investigatore romano tempo fa, parlandoci di Latina – ed anche di Frosinone – ci ha detto che basterebbero sul nostro territorio una decina di BRAVI INVESTIGATORI  per  risolvere tutto;

3) Quando  si parla di mafia, bisogna parlare sempre di mafia “IMPRENDITRICE”. La segretaria nazionale dei Radicali Rita Bernardini ha dichiarato tempo fa, scandalizzando tutti, che “attorno” ai palazzi romani “si parla troppo napoletano”. Un Ministro del governo Prodi – Di Pietro – le ha risposto che non è “attorno” ai palazzi romani che “si parla napoletano”, ma “dentro”.

Non c’è a Latina, a Formia, a Gaeta, Terracina, Fondi, Sperlonga, Itri e così via, una qualsiasi operazione economica che non sia fatta da napoletani, casertani, siciliani, calabresi ecc.

Tutta gente per bene, per carità. Ma si dà, purtroppo, il caso che, fra quelli, ci possano essere soggetti, o prestanome, appartenenti a camorra, ’ndrangheta, “cosa nostra”.

La Guardia di Finanza fa -e se le fa, quante ne fa?- le indagini sui  capitali investiti?

Stando ai fatti che vedono la nostra provincia terribilmente “invasa”, non sembra.

LA SEGRETERIA