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FAIDA DI PONTICELLI – Guerra tra il clan dei ‘Fraulella’ ed i rivali parla il pentito: «Così uccidemmo uno dei De Micco»

FAIDA DI PONTICELLI
Guerra tra il clan dei ‘Fraulella’ ed i rivali parla il pentito: «Così uccidemmo uno dei De Micco»
Ricostruito, tramite la confessione di Raffaele Stefanelli, uno degli omicidi che aprirono la contrapposizione armata

di REDAZIONE

NAPOLI. È l’ultimo pentito di Ponticelli e ha esordito confessando di aver ucciso il 18 marzo 2015 Raffaele Canfora, un 25enne che vendeva droga per conto suo pur avendo contatto con la malavita di Secondigliano. Raffaele Stefanelli, ex affiliato ai D’Amico, ha cominciato a collaborare con la giustizia il 25 ago-sto 2015 e ha ammesso di aver partecipato a diversi raid armati organizzati dai “Fraulella” contro i De Micco. Tra i fatti di sangue da lui ricostruiti c’è anche il tentato omicidio di Alessandro Pane, come ha spiegato nel corso del suo primo verbale da “picciotto” passato dalla parte dello Stato. Ecco alcuni stralci dell’interrogatorio, con la consueta premessa che le persone citate devono essere ritenute estranee ai fatti narrati fino a prova contraria. «In ordine al tentato omicidio di Alessandro Pane, devo dire che oltre a me e a Mario Buonomo hanno partecipato pure Salvatore Ercolani detto “Chernobyl” e Giuseppe Righetto detto“Peppe o’ blob”.

Obiettivo dell’agguato era Roberto Boccardini quanto esponente del clan De Micco. All’epoca devo precisare che io e Righetto eravamo parte di un gruppo autonomo del rione De Gasperi, con Pasquale Austero e Antonio Tarantino, poi ucciso, che aveva stretto rapporti prima con Antonio D’Amico in carcere e poi con Giuseppe D’Amico, con il quale avevamo raggiunto un accordo per attaccare i De Micco. Ho conosciuto Raffaele Canfora come fornitore di droga dei D’Amico e iniziai ad acquistare lo stupefacente da lui. Nel tempo si sono verificati degli screzi, prima per la cattiva qualità di una partita di cocaina che lui aveva venduto al marito della sorella di “Chernobyl”. Poi ci fu un secondo problema, sempre per la cattiva qualità della droga che aveva fornito questa volta a Giacomo D’Amico. Decidemmo allora di truffarlo, io e Giacomo D’Amico, acquistando otto chili di fumo per non pagarli».

22/06/2016

fonte:www.internapoli.it