Cerca

«Ora che non c’è più Chernobyl qui la camorra la gestiamo noi»

Il Mattino, Martedì 21 Giugno 2016

«Ora che non c’è più Chernobyl qui la camorra la gestiamo noi»


Ed è a loro, alle donne di casa D’Amico, che un ragazzo si presenta entusiasta, dopo aver «acquistato» una pistola nuova di zecca: «Come è lunga, è un mostro, come è bella», dice la voce al femminile. Ma il momento decisivo per ricostruire gli equilibri criminali risale a una frase intercettata poche settimane prima che la donna venisse ammazzata, in riferimento a «una bussata di porta» dei De Micco, quando loro – i ragazzini noti come i «bodo» – chiedono una tangente sul sistema delle piazze di spaccio del Conocal. Che risponde la donna? Qual è la reazione della «passilona»? «Il bodo a casa mia non viene a comandare… non mette legge a casa mia, a casa mia non sei nessuno…». E ancora: «Sono una femmina, perché esternamente sono femmina, ma dentro mi sento un uomo». Ed è a partire da questo momento che l’inferno è piombato su un pezzo di area cittadina, a dispetto della voglia di riscatto di centinaia di migliaia di residenti di Napoli est.

E basta leggere il commento del gip Egle Pilla, a proposito della detenzione di armi e del regime di violenza imposto a una maggioranza di cittadini inermi: «I D’Amico impongono la loro volontà nel quartiere, creando nella popolazione del Conocal un atteggiamento di totale sottomissione e asservimento». Anzi: sempre secondo il magistrato «non vi sono alternative», come suggerisce uno dei casi più emblatici, quello della gestione delle case popolari: «Una vera e propria militarizzazione del quartiere», insiste il magistrato, che ragiona anche sulla scorta della particolare architettura del «Conocal», il famigerato rione di Napoli est: «L’archittetura della zona sembra facilitare il clan. Ci sono corridoi che rendono un palazzo comunicante con quello accanto e così via. Basta aprire una porta e ci si ritrova in un isolato più avanti e così facendo la fuga diventa rapida, rende invisibili e imprendibili». E ancora: «L’edificio di Nunzia D’Amico è comunicante con un secondo edificio che a sua volta è comunicante con un terzo edificio. È possibile passare da un palazzo all’altro attraverso i tetti i quali sono comunicanti». Ed è il pentito Favarolo a spiegare uno degli stratagemmi usati per evitare di essere identificati nel corso dei raid armati: «Io e D’Amico avevamo dei tatuaggi – ha raccontato – io ho una carpa sulla gamba sinistra e D’Amico ha un’aquila sulla gamba destra. Facevamo delle prove a casa di D’Amico che ha un monitor con sette telecamere che prende tutto il Conocal e lui si metteva sotto al palazzo e io da casa e inquadrava nell’occhiello la gamba dove avevo il tatuaggio». E ancora altri accorgimenti per evitare di essere riconosciuti. «Lui all’epoca era più grasso e voleva fare la dieta perché se ci avessero portato a fare le prove tecniche, magari il fondoschiena e le spalle lui sarebbe risultato più magro. Mangiava solo petto di pollo e insalata» per evitare di essere riconosciuto come killer. Capitolo case popolari. È l’affare più prezioso, consente di incassare denaro a scadenze fisse, assicura un capillare controllo del territorio e comporta meno rischi di altri affari, come ad esempio il narcotraffico.

«Nunzia gestiva tutta la situazione degli appartamenti del Conocal nel senso che se qualcuno voleva vendere la propria casa doveva darle una somma di denaro – racconta Gaetano Lauria nell’interrogatorio del 24 settembre 2014 – Nunzia poteva fare quello che voleva, anche cacciare le persone dagli appartamenti. Non mi stupirei se per esempio in seguito a un litigio del figlio con qualche altro ragazzo, Nunzia cacciasse da casa e dal quartiere l’intera famiglia». E Raffaele Stefanelli, ex braccio destro dei D’Amico, conferma da pentito: «Nel Conocal chi vuole vendere una casa deve avere l’approvazione di Nunzia D’Amico che prende anche una quota sui soldi. Nunzia si libera degli indesiderati». Residenti allontanati, minacciati, costretti a lasciare le proprie abitazioni che il clan rivendeva a 16, 20 o 30mila euro. Per non parlare delle ditte di pulizia. Secondo gli inquirenti ogni famiglia deve 7 euro e mezzo all’impresa di Carla D’Amico, e vai a capire con quali procedure imprenditoriali si è imposta la ditta D’Amico alle famiglie del Conocal.