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Il caso dei beni confiscati alla mafia. Mafie a Civitavecchia

Prova inconfutabile di un simile ragionamento si ritrova nelle più recenti operazioni condotte, sul territorio gelese e regionale, dalle forze dell’ordine, dirette a scardinare irrimediabilmente il potere di fatto esercitato da entità criminali, inserite, però, tra le maglie del tessuto economico locale. Se, a conclusione di lunghe indagini, i destinatari delle attenzioni degli investigatori sono costretti ad acquisire, per lunghi periodi, lo status di ospiti del sistema carcerario nazionale, la loro operatività continua ad essere testimoniata da numerosi, e spesso di notevole valore, beni, immobili e non, frutto di strategie economico-criminali sostenute per decenni, dislocati all’interno di vaste aree.
La sottrazione di questi, infatti, si pone quale prioritaria strategia di opposizione alle mire espansionistiche di cosa nostra: al pari di una tradizionale impresa commerciale che, privata dei capitali e delle strutture operative, si apre ineluttabilmente alla soluzione del fallimento, così gli odierni clan mafiosi necessitano, per poter sopravvivere, di ingenti e costanti innesti finanziari. Ma cosa succede ai beni sequestrati ai componenti di organizzazioni criminali, una volta che questi ne abbiamo perso definitivamente la disponibilità?
La legge n.109 del 1996 disciplina le procedure di sequestro e confisca, atte ad assicurare il ritorno dei suddetti nell’alveo del patrimonio dello Stato.
La Relazione prodotta dal Commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali, Antonio Maruccia, per l’anno 2008, descrive uno status quo, perlomeno nella zona nissena, non così positiva.
Su un totale di 84 beni immobili confiscati: 68 sono attualmente in gestione al Demanio mentre solo 16 sono stati destinati e consegnati alle entità prescelte.
Gela non si discosta dalla media provinciale, registrando un esito scarsamente significativo; al cospetto di un ammontare pari a 5 beni immobili soggetti a confisca: 2 vengono mantenuti sotto la gestione del Demanio e 3 sono stati destinati e consegnati, ma non ancora utilizzati.
Simili risultanze, paragonate alle percentuali elaborate sul piano nazionale, convergenti verso un progressivo aumento delle assegnazioni finalizzate ad immediati utilizzi, non sembrano conformarsi alle peculiarità di un’area, quella gelese, fulcro degli appetiti espressi in questi decenni sia da cosa nostra che dalla stidda.
Nella maggior parte dei casi i ritardi della procedura si devono a lungaggini burocratiche, spesso endemiche, anche se non bisogna trascurare ulteriori fattori: l’eccessiva durata dei procedimenti penali che li interessano; la sottoposizione ad ipoteche; il totale abbandono e l’assenza di finanziamenti.
La medesima disamina va fatta per ciò che concerne le aziende confiscate nel gelese; 2 sono già state destinate, ma tardano ad entrare a regime.
Certamente la bassa percentuale di confische trasformatesi in concrete assegnazioni non consente di svolgere previsioni di alto rilievo.
Nonostante ciò, però, bisogna continuare a sperare in un sistema, in origine pensato e proposto dall’onorevole Pio La Torre, fondato sulla convinzione che tutte le ricchezze conseguite, attuando metodi violenti e prevaricatori, dalle organizzazioni criminali, debbano inevitabilmente mutare la propria condizione: scavalcando la forma privata, e pervenendo, così, allo scopo di soddisfare esigenze della collettività.
Gela, in questo senso, assume tutti i tipici caratteri dell’incoerenza: base per la formazione e lo sviluppo di gruppi criminali capaci di conquistare vaste zone di influenza, non solo locali, bensì anche nazionali, ed allo stesso tempo quasi incapace di riprendersi il maltolto.
Molte proprietà riconducibili a due storiche compagini della criminalità gelese, i Rinzivillo e gli Emmanuello, ad esempio, hanno percorso per intero il cammino verso la riassegnazione, ma in presenza di un fondamentale “inconveniente”: quello della loro ubicazione in altre regioni italiane. Parliamo di clan oramai radicati sia in Lombardia, come desumibile dall’inchiesta “Tagli pregiati”, dalla quale emerse il totale controllo esercitato da siffatte entità in diversi centri della provincia milanese, che nel Lazio, ove, specie nel comprensorio di Civitavecchia, la famiglia Rinzivillo lucra da anni grazie agli appalti nel settore d
ell’attività portuale ed in quello dell’edilizia (interessandosi addirittura di costruzioni carcerarie). L’effetto paradossale si insinua in questi particolari: al di fuori della città di Gela le proprietà riconducibili a gruppi locali non solo vengono confiscate, ma anche assegnate ed utilizzate, a differenza delle difficoltà registratesi in loco.
Rosario Cauchi

(Tratto da Il Corriere di Gela)