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Un manipolo di affaristi,lestofanti,opportunisti,analfabeti,parolai ,con la sua presenza nel mondo della cosiddetta antimafia sociale,ne offusca l’immagine e ne lede l’onorabilità.Quando noi diciamo che un’associazione seria HA IL DOVERE morale e giuridico,se vuole essere definita “antimafia”,di sostenere ,non con le chiacchiere ma con i fatti ,l’azione della Magistratura e delle forze dell’ordine DENUNCIANDO e fornendo ad esse elementi per combattere corruzione e mafie,due facce della stessa medaglia,lo facciamo perché riteniamo che solo facendo così si rende un servizio al Paese e onore agli obblighi che ognuno dovrebbe sentire quali propri. Purtroppo sono pochi,pochissimi, coloro che la pensano ed agiscono come noi dell’Associazione Caponnetto.Talchè ti si stringe il cuore e ti monta la rabbia quando leggi di certi comportamenti e di certe azioni che infangano tutto il mondo dell’antimafia sociale.E fanno bene i Magistrati a cominciare ad alzare la loro voce contro malandrini ed illetterati che,in nome di un’antimafia da pagliacci ,pensano solamente o a costruirsi carriere o a trarne qualche beneficio economico,piccolo o grande che esso sia,

 

31/01/2016 06:07

CRIMINI E GIUSTIZIA

L’antimafia di facciata ai pm non piace più 

Apertura dell’anno giudiziario a Palermo. Il procuratore Lo Voi: persegue affari e carriera 

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Che un giorno anche la procura di Palermo potesse destarsi e puntare il dito contro l’«antimafia di facciata», accusata di perseguire solo «affari e carriera», ci credevano in pochi. Forse nessuno. E invece è accaduto ieri in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, quando il procuratore capo Francesco Lo Voi si è scagliato proprio contro chi, nascondendosi dietro l’intoccabilità di chi quella categoria l’ha usata come una corazza, ha pensato di poter coltivare i propri interessi con la certezza di non essere sfiorato nemmeno dal sospetto.

D’altronde, dopo i casi di Silvana Saguto, ex presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo per la gestione dei beni confiscati indagata per corruzione, abuso d’ufficio e riciclaggio; quello di Roberto Helg, ex presidente della Camera di Commercio di Palermo arrestato per estorsione dopo anni di proclami contro il pizzo; o ancora di Antonello Montante, delegato nazionale per la legalità di Confindustria Sicilia indagato per concorso esterno in associazione mafiosa; oppure Rosy Canale, condannata a quattro anni di carcere per truffa e malversazione dopo aver vestito i panni della paladina anti ’ndrangheta col «Movimento donne di San Luca»; dopo questi «colpi al cuore» al professionismo dell’antimafia, dicevamo, dalla procura che più di ogni altra ha incarnato la lotta alla mafia, «slittando», da un certo momento in poi, verso mete fantasiose e poco concrete, una parola di condanna non poteva più mancare.

E così ieri Lo Voi (la cui nomina a capo della procura palermitana è stata resa definitiva, pochi giorni fa, dal Consiglio di Stato, che si è espresso sui ricorsi di Guido Lo Forte e Sergio Lari, procuratori rispettivamente a Messina e Caltanissetta) non ha taciuto, non ha voluto tacere: «Forse c’è stata – ha affermato il procuratore capo di Palermo – una certa rincorsa all’attribuzione del carattere di antimafia, all’auto-attribuzione o alla reciproca attribuzione di patenti di antimafiosità, a persone, gruppi e fenomeni che con l’antimafia nulla avevano e hanno a che vedere».

Lo Voi non ci ha girato intorno, e pur senza citare, ovviamente, casi specifici, ha preso di petto la deriva di quell’antimafia che, dopo la sconfitta della mafia stragista, come sostiene da tempo lo storico Salvatore Lupo, ha perso la sua ragione d’essere: «La rincorsa è servita anche a tentare di crearsi aree di intoccabilità – ha scandito il procuratore -, o magari a riscuotere consensi, a guadagnare posizioni, anche a fare affari ed a bollare come inaccettabili eventuali dissensi e opinioni diverse».

Parole inequivocabili. Proprio come quelle pronunciate subito dopo e che chiamano in causa le stesse toghe: «E, spiace registrarlo, a questa rincorsa non si è sottratta quasi nessuna categoria sociale e, pur con tutte le cautele del caso derivanti dal rispetto per alcune indagini ancora in corso, forse neanche qualche magistrato».

Dato a Cesare quel che è di Cesare, il procuratore capo non poteva, infine, non concedere qualche distinguo: «Antimafia è e significa rispettare le leggi e fare il proprio dovere. Gran parte del resto è sovrastruttura, che è servita a costituire categorie di presunti intoccabili, così rischiando di vanificare l’opera talora pionieristica e sicuramente coraggiosa di chi l’antimafia l’ha fatta veramente. Dire che tutta l’antimafia è inquinata è, ancora una volta, fuori dalla realtà ed è falso».

Luca Rocca