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I veri problemi di un’antimafia seria ed operativa. Basta con le chiacchiere

QUANDO NOI DICIAMO CHE L’ANTIMAFIA NON SI PUO’ E SI DEVE FARE IN PIAZZA E CON LE CHIACCHIERE O CON INTENTI ELETTORALISTICI
Siamo favorevoli all’azione di coscientizzazione e di informazione della gente perbene, ma molti problemi – quelli veri, pratici – della lotta alle mafie bisogna affrontarli e risolverli non nelle piazze ed in mezzo alla gente ma nelle sedi ed ai livelli opportuni, con estrema riservatezza e serietà.
Noi potremo sensibilizzare e mobilitare pure
migliaia o centinaia di migliaia di persone e portarle in piazza a gridare “la mafia è una montagna di merda” o altre cose del genere, ma, se, poi, non c’è nessuno che denuncia, che fornisce notizie alle forze dell’ordine ed ai magistrati, che collabora con essi fornendo piste investigative e quant’altro, otterremo poco o nulla.
Non conseguiremo alcun risultato.
Forze dell’ordine e magistrati non possono avere occhi dovunque e noi non possiamo pretendere che essi risolvano tutti i problemi.
Da soli non ce la fanno.
Ecco perché Paolo Borsellino diceva sempre che è un errore imperdonabile il pensare che tutto il peso della lotta alle mafie debba essere accollato sulle sole spalle delle forze dell’ordine e della magistratura.
Un errore imperdonabile!
Questo, per quanto riguarda il contributo che può e deve dare la società civile.
Sul piano, poi, dell’efficienza del fronte istituzionale, ci sono problemi complessi e delicati che impediscono un’efficace, radicale lotta alle mafie, problemi che un ‘associazione antimafia seria non può e deve ignorare e sottacere.
Quello, ad esempio, della fedeltà o dell’infedeltà del singolo magistrato o del singolo operatore di polizia e delle sue qualità e capacità.
La “qualità delle indagini”, il tema sul quale noi dell’Associazione Caponnetto ci spendiamo da sempre.
Si può trovare, con quelli onesti e preparati, anche il magistrato inquirente o giudicante infedele o impreparato che, anzicché rubricare un reato come mafioso, lo rubrica come ordinario o che spezzetta le indagini per non far apparire il “quadro” che ti consente di applicare il 416/bis o, ancora, quello che emette una sentenza ingiusta.
Si possono trovare l’ispettore o il maresciallo, l’assistente o l’appuntato che non fanno il proprio dovere, vuoi perché si lasciano corrompere dal mafioso o perché hanno il fratello, l’amico pregiudicati e passano loro notizie riservate o per incapacità o per altri motivi.
Le famigerate “talpe”.
Casi estremamente complessi perché è spesso difficile offrire riscontri e, oltretutto, delicati che non puoi mettere in piazza per non ledere il prestigio delle Istituzioni e dello Stato di
diritto che devi sempre salvaguardare perché non hanno alcuna colpa.
Noi abbiamo, per evitare tutto ciò, con insistenza messo sempre in risalto la necessità di non tenere mai le persone in servizio nello stesso posto per più di 5-6 anni e di farle rotare in continuazione per evitarne il radicamento e possibili contaminazioni.
Ma parli al vento.
Non sai a chi parlarne.
Mai far prestare servizio nel luogo natio dove hanno il fratello, il compare, l’amica, la sorella dell’amica che impediscono loro, anche indirettamente, di fare il proprio dovere con equanimità e senza guardare in faccia a chicchessia.
Anche qua parole al vento.
Anzi!!!
Qualcuno al riguardo ci ha risposto, qualche anno fa, dicendoci che questo è, invece, un aspetto… positivo in quanto… si tratta di personale che conosce meglio di altri il territorio…
Tant’è.
Questa è la realtà nella quale talvolta ci si trova ad operare, una realtà che impedisce una reale, radicale lotta alla mafie e, dall’altro versante, fa perdere la fiducia nelle istituzioni da parte di quei cittadini perbene che vorrebbero denunciare ma hanno paura di farlo perché temono di incontrare nelle caserme o nei commissariati la persona sbagliata.
Chi vuole fare seriamente antimafia deve conoscere le realtà che lo circondano, deve conoscere a menadito le persone di cui ci si può fidare o no, deve sapere quali sono le criticità, caserma per caserma, tribunale per tribunale, procura per procura.
Altrimenti egli rischia di vanificare tutto il lavoro che ha fatto e fa e, inoltre, anche di farsi del male.
Deve sapere, poi, con chi egli può raccordarsi, a chi può far presente le singole situazioni, i singoli fatti, con la speranza, fondata, di poterli risolvere.
E, questo, credeteci, è un’opera immane, rischiosa sotto molti aspetti, delicatissima.
La persona ingenua pensa di aver a che fare solo con i mafiosi conclamati, con quelli che già sono etichettati come tali.
Non è così, perché quella è gente che non spara più, o, meglio, lo fa solamente in casi estremi, quando vede in te un pericolo per loro mortale.
Oggi la mafia è “altra” cosa, più insidiosa perché non si fa riconoscere ed usa armi diverse da quelle del passato:
la corruzione, l’amicizia, il far finta di volerti bene, di esserti amica.
E la trovi dovunque, nei partiti, nelle istituzioni, negli uffici, nei comuni, nelle aziende, nelle banche e non raramente anche nelle caserme e nei tribunali.
Nei giorni andati abbiamo letto le ultime dichiarazioni del Procuratore Pignatone il quale assume che la mafia radicata a Latina e provincia è più potente di quella esistente a Roma.
Roba a noi nota e che non avrebbe dovuto, quindi, farci tremare i polsi, come, invece, è avvenuto, stante la nostra profonda conoscenza della realtà
Quella vera, non quella che ti prospettano i media.
E, proprio perché noi conosciamo la realtà vera concepiamo un “modello” di antimafia diverso dall’usuale, legato ad essa e non lontano da essa e diciamo sempre:
“basta con le chiacchiere;
la lotta alle mafie non si fa con le chiacchiere, ma con i fatti.
La mafia non fa chiacchiere!
Sappiamo almeno fare come fa essa perché se nemmeno questo siamo in grado di fare, allora abbiamo il coraggio di dire a noi stessi che abbiamo perso la guerra”!
Vogliamo concludere con una nota leggermente ottimistica.
Ieri, a Latina, durante la grande manifestazione antimafia organizzata dagli studenti, siamo stati testimoni di un fatto inatteso:
l’invito rivolto con i megafoni ai rappresentanti politici di abbandonare le prime file del corteo e di passare in coda o ai margini.
Comincia a farsi strada la consapevolezza che antimafia e strumentalizzazione politica fanno a cazzotti.
La politica, quella a noi nota, ha grandi responsabilità, dirette od indirette, di tutto ciò che è avvenuto, sta avvenendo ed avverrà in Italia.
Troppe collusioni, troppe tolleranze, troppi silenzi.
Non c’è possibilità, pertanto, di convivenza.
C’è una netta divaricazione:
o si perseguono finalità di carattere elettoralistico o si fa lotta alle mafie, le quali sono, ormai, fatta qualche rarissima eccezione, purtroppo proprio nella politica…
E’ la realtà.