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Camorra nelle forze dell’ordine, infiltrazioni low cost

Piccole somme di denaro. Qualche viaggio. Persino le spese della lavanderia. Così i clan comprano marescialli e prefetti. Che obbediscono più per «cultura» che per smania di guadagnare.

Si chiama skretch, come «il gesto che caratterizzava negli Anni 80 i rappers che fermavano un disco in vinile per poi farlo ripartire alla velocità preferita».
Oggi, confida un inquirente, «nel linguaggio di malavita skretch vuol dire fermare la corsa del denaro illegale per farlo ripartire a una velocità del tutto legittima». E racconta: «La camorra più imprenditoriale, cioè il clan dei Casalesi, agisce come la mafia, ma con metodi ancor più sofisticati: ha rivisto e aggiornato le tecniche per infilarsi come socio nelle società pulite. In tal modo, ricicla il denaro sporco, condiziona le pubbliche amministrazioni, partecipa con apparente trasparenza agli appalti e ai subappalti pubblici».
I PREFETTI TRA I PIÙ ESPOSTI. Roba da veri manager, con gli agganci giusti, la camicia coi gemelli, l’invito fisso nei salotti buoni. «In gioco», raccontano, «viaggiano ogni giorno decine di milioni di euro tornati lindi e puri grazie alle cosiddette lavanderie del crimine attive h24, a una task force di affiliati diplomatici il cui compito è di persuadere l’esercito dei funzionari pubblici corrotti o da corrompere, a manipoli di finanzieri, carabinieri e poliziotti infedeli come i due agenti in servizio alla presidenza del consiglio arrestati il 16 maggio dai magistrati della Direzione antimafia di Napoli insieme con altri 16 per collusioni con il clan dei Casalesi».
Tra i dipendenti pubblici più esposti al quotidiano veleno camorrista spiccano i prefetti, i viceprefetti, i sindaci, gli assessori di ogni età, fede e colore politico che un giorno sì e un altro pure «vacillano qua e là per l’Italia consegnando il portafoglio e l’anima al potere più sbagliato».
FOLLA CRESCENTE DI CORROTTI E CORRUTTIBILI. Per la Corte dei conti «da Nord a Sud, prolifera una folla crescente di funzionari corrotti e corruttibili», che si annida ai vertici dell’apparato burocratico e amministrativo e contagia fino ai consiglieri di quartiere e all’ultimo degli impiegati.
«Non sprecate tempo nella ricerca di complicate analisi sociologiche: si tratta di pura, banale, becera corruzione basata, a parte qualche eccezione, sullo scambio di piccoli favori e regali in denaro», fa sapere a Lettera43.it Rosaria Capacchione, senatore e giornalista sotto scorta per le minacce subìte nel marzo 2008 in un’aula di tribunale dai boss Casalesi tramite una missiva letta dal loro legale, Michele Santonastaso, che poi è finito pure lui sotto inchiesta con l’accusa di essersi spinto oltre i propri compiti professionali.
POCHI SOLDI E QUALCHE REGALO IN CAMBIO. «Per farsi corrompere ci si accontenta spesso di piccole somme, che non arricchiscono di certo chi le incassa ma comunque lusingano rispetto ai miseri stipendi percepiti. Eppure, si continua a tradire. E a cedere, sempre di più, alle richieste dei boss. È il segno di una subordinazione culturale radicata, diffusa e inquietante, che è ben più grave e a volte prescinde dalla voglia di guadagno facile».
La cronaca conferma: il maresciallo che comandava la stazione dei carabinieri di Castelvolturno-Pinetamare, per esempio, si era accordato con i guaglioni del boss casalese Giuseppe Setola per uno stipendio che oscillava tra i 500 e i 1.000 euro al mese, qualche telefonino di ultima generazione e un computer portatile. Un severo prefetto, invece, si è accontentato – secondo l’accusa – di qualche viaggio in regalo, un paio di gioielli e il pagamento delle spese di lavanderia in cambio di immeritati certificati antimafia.

Borrelli: «Nel Casertano l’emergenza più grave»

Di episodi di pubblica corruzione targata Casalesi se ne contano a centinaia. Si chiama skretch finanziario, l’attività grazie alla quale i clan di Casal di Principe (ma non solo) investono in titoli azionari o nei fondi dei più importanti istituti di credito i soldi ripuliti grazie alle infiltrazioni societarie. I Casalesi usano le banche, le banche non rifiutano i soldi dei Casalesi. «La situazione», ammette un inquirente, «è così surreale che i boss casertani appaiono perfino in grado di fare a meno degli istituti di credito: raccontano che il boss Michele Zagaria, dovendo acquistare di corsa a un’asta un immobile a Parma ed essendo ormai chiusi gli sportelli bancari, spedì di notte un emissario a Casapesenna per prelevare dalla cassaforte di casa i 500 mila euro in contanti che servivano per l’acquisto». Il bancomat in salotto, o quasi.
Ha detto a Lettera43.it il procuratore aggiunto di Napoli Giuseppe Borrelli, che ha coordinato l’operazione della Direzione antimafia sulle infiltrazioni della camorra in Toscana del 16 maggio: «Ogni giorno, indagando, apprendiamo novità che ci lasciano senza fiato. A Napoli la lotta alla camorra ha fatto registrare enormi progressi, ma ora il compito prioritario della procura deve consistere nell’individuare e sanzionare i funzionari e gli impiegati dell’apparato amministrativo pubblico che a tutti i livelli, specie sul territorio casertano, continuano a farsi corrompere dalla criminalità».
STASI, INDAGATA PER FAVORI AI COSENTINO. Emblematica, nella vicenda giudiziaria che sta vivendo Nicola Cosentino (l’ex sottosegretario e coordinatore del centrodestra in Campania), è la storia di Maria Elena Stasi, ex prefetto poi eletto al parlamento nelle fila del Popolo della libertà: la Stasi è finita sotto inchiesta con l’accusa di aver favorito la famiglia dell’uomo politico casalese nell’appalto per una fornitura di gasolio. Questione giudiziaria ancora aperta, la sua. Si vedrà.
La camorra casalese, comunque, tenta di infilare davvero le mani dappertutto: perfino negli uffici dove lavorano i funzionari degli Scavi di Pompei, se può servire a impadronirsi di una fetta dei finanziamenti. Sull’emergenza immondizia, poi, per i boss è stata una mezza scorpacciata.
LA MANO DI ZAGARIA. C’è chi ricorda che nel 2011, nell’elenco delle ditte fornitrici del commissariato straordinario per i rifiuti in Campania, figurarono i nomi di alcune ditte che facevano capo, secondo gli inquirenti, al clan dei Casalesi, in particolare a Zagaria. C’è o no da chiedersi quale funzionario inserì quei nomi nella lista? I Casalesi, sostiene chi li studia, «seguono con puntiglio da giuristi l’evoluzione legislativa italiana così da aggirare norme, controlli e schermature, impadronendosi di parti importanti dell’economia legale». Sulla logica delle “grandi intese”, per esempio, i boss casertani hanno di gran lunga anticipato la politica: coalizioni, consorzi, joint venture, alleanze (fra boss casalesi e siciliani, quasi mai con pugliesi e calabresi) si tramutano spesso nell’acquisto in blocco di ingenti catene di negozi, di floride aziende, di enormi centri commerciali. Per far ciò, naturalmente, bisogna fare i conti con decine di uffici tecnici comunali. Ed essere pronti a condizionare a suon di regalini le decisioni nei municipi e negli uffici che contano. E bisogna riuscire a farlo presto, bene, fino ai più alti e insospettabili colletti bianchi.
LE INFILTRAZIONI NEI MUNICIPI. A Casal di Principe (qui i fratelli dei boss hanno ricoperto perfino l’incarico di sindaco) la prefettura ha azzerato per quattro volte la giunta comunale. Tutt’intorno, nel Casertano, non esiste quasi municipio che non sia stato sciolto almeno una volta per infiltrazioni di camorra: da Casapesenna a San Cipriano, da Giugliano fino a Castelvolturno e a Villaricca, da decenni va in scena la processione dei commissari prefettizi: i funzionari, dopo gli scioglimenti, si insediano, curano per un po’ l’ordinaria amministrazione, mandano via gli impiegati corrotti, indicono speranzosi le nuove elezioni. Poi, sono costretti ad assistere impotenti alla sistematica (e spesso trionfale) rielezione dei sindaci, dei vicesindaci, degli assessori e dei consiglieri spediti a casa per indegnità. E al ritorno in servizio degli impiegati birbantoni.

Enzo Ciaccio

http://www.lettera43.it/fatti/camorra-nelle-forze-dell-ordine-infiltrazioni-low-cost_43675129698.htm