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Droga, racket, riciclaggio ed appalti: così evolve la mafia a Roma

Dal 2007 ad oggi l’attività delle mafie a Roma è in costante aumento, specie di quelle straniere. Fanno profitto con la droga e la prostituzione, e stanno inquinando l’economia e gli appalti. Nell’indifferenza della politica.
Che la presenza e l’attività delle principali mafie italiane a Roma fossero in aumento non è una notizia. Già nel 2007 erano 183 i procedimenti della Procura di Roma di competenza della Direzione Distrettuale Antimafia, e il totale di reati di criminalità organizzata nel Lazio, secondo i dati del Ministero dell’Interno, era di 2535, quasi quanto in Puglia e, in percentuale sul numero di abitanti, quasi quanto in Sicilia. La relazione al Parlamento della Direzione Investigativa Antimafia del secondo semestre 2008 segnalava l’operatività «storicamente nota» di «soggetti collegati con cosa nostra» nella capitale e nel territorio della provincia. L’Osservatorio Tecnico Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della regione Lazio ha denunciato che Roma è nelle mani della ‘Ndrangheta e della Camorra che convivono con la criminalità locale (che ha fatto tre giorni fa l’ultima vittima: il figlio di un boss della Magliana gambizzato da una raffica di nove proiettili sparati da un motorino), al punto che «non è esagerato parlare di forme di controllo di segmenti significativi del territorio».


Le indagini antimafia hanno dimostrato che nel 2007 esisteva nella capitale un accordo tra i diversi cartelli criminali che lasciava i gruppi locali liberi di operare (solo nel litorale la presenza mafiosa era più sistematica e sviluppata). Oggi, il rapporto sulla criminalità organizzata a Roma rilasciato dall’Osservatorio Codici lo scorso 28 gennaio evidenzia l’operatività in costante aumento delle mafie straniere, che stanno rafforzando il loro potere e, di conseguenza, la loro forza contrattuale con le mafie già radicate nel territorio. Il quartiere Esquilino, per esempio, non è soltanto, come lo conoscono tutti i romani, il simbolo dell’invasione cinese nel Lazio, ma una vera roccaforte della criminalità cinese che ha conquistato il controllo assoluto di tutto territorio attraverso un’intensa attività di sequestri, estorsioni e rapine. Non è l’unico settore del territorio romano interessato dal fenomeno mafioso cinese – una recente indagine della polizia di Roma ha scoperto un giro di prostituzione in un centro benessere gestito da cinesi a Termini – ma il centro operativo dove avvengono i principali traffici illeciti, che per la criminalità cinese vuol dire soprattutto contrabbando di merce contraffatta. È proprio in questo business che la mafia cinese si è alleata con la Camorra: le merci contraffatte, prodotte in Cina con manodopera a basso costo, partono da Terzigno e da San Giuseppe Venusiano, dove opera il caln Fabbrocino, che le fa arrivare all’Esquilino, dove poi i cinesi provvedono a distribuirle nei circuiti di Roma.

Oltre a quella cinese, avanza anche la mafia romena, specializzata in frodi informatiche; quella albanese, che detiene quasi il monopolio della prostituzione e dello sfruttamento dei minori costretti all’accattonaggio in strada, oltre che buona parte del business della droga; e quella nigeriana, capace di stringere patti con le mafie italiane per il traffico di eroina, cocaina, hashish e prostituzione.

LA DROGA E LA PROSTITUZIONE
– Il traffico di stupefacenti, insieme a quello dell’immigrazione clandestina legata alla prostituzione, è la prima fonte di profitto per i cartelli criminali che operano a Roma. E porta morti, oltre che droga. Per il controllo del mercato degli stupefacenti sono state uccise tre persone in dieci giorni (a Corcolle, Grottaferrata e Tor Tre Teste). Perché se un tempo erano gli albanesi a gestire l’esercizio della prostituzione sulle strade romane e lo spaccio di droga, adesso anche gli altri clan si sono voluti allargare. E anche se la maggior parte del mercato della droga continua a rimanere in mano a italiani e albanesi, sono riusciti a farsi largo con buoni risultati anche, in ordine, marocchini, algerini e sudamericani. A maggio un corriere spagnolo proveniente dal Sud America è stato arrestato per spaccio e detenzione di stupefacenti all’Aeroporto di Fiumicino, che «continua ad essere un luogo di passaggio di corrieri di droga» che usano Roma come centro di smistamento, soprattutto della cocaina. A marzo e aprile scorsi sono stati arrestati dalla Finanza dodici cittadini sudamericani che trasportavano, «occultati in ovuli ingeriti», un totale di dieci chili di cocaina pura.

ECONOMIA PULITA, SOLDI SPORCHI
– Il 2 marzo 2010, durante un’operazione che ha portato all’arresto di diversi affiliati ai Casalesi, sono stati sequestrate alcuni concessionari d’auto del clan. Uno di questi si trovava a Roma, due a Frosinone. Ma è nel settore della ristorazione che si stanno evolvendo gli interessi economici delle cosche. Nel primo semestre del 2010 sono stati arrestati alcuni esponenti di rilievo della ‘Ndrangheta reggina, e sequestrati i loro locali. Nei quadri societari di quegli esercizi commerciali c’erano affiliati alle ‘Ndrine Alvaro, Palamara, Mancuso, Bonavota e Fiarè. A luglio del 2009 venne sequestrato addirittura il famoso Cafè de Paris di Via Veneto, uno dei simboli della Dolce Vita romana.

Ma la novità finanziaria della criminalità organizzata romana è che ha iniziato ad avvalersi «di professionisti del settore che con strategici strumenti finanziari dissimulano l’origine dei capitali mafiosi». Ovvero: impossessarsi di società pulite per riciclare il denaro sporco. Si chiama “leveraged buyout”: i clan acquistano le società degli imprenditori romani a debito, grazie ai prestiti di banche e società finanziarie compiacenti a cui offrono in garanzia le azioni o il patrimonio della società che vogliono acquisire, che provvederanno a iniettare di capitali illegali. Fino al 2003 questa operazione era illecita, poi ha provveduto la riforma del diritto societario del secondo governo Berlusconi a consentirla espressamente.

Sempre più preoccupanti, inoltre, i dati sul racket. Secondo quelli di Sos Impresa pubblicati l’altro ieri, nel Lazio paga il pizzo un’attività commerciale su tre. Per un totale di 28mila esercenti coinvolti e un giro d’affari di oltre tre miliardi di euro.

APPALTI
– A creare negli investigatori il sospetto che le infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici di Roma siano sempre più frequenti non sono solo ribassi di oltre il 50 per cento. Sono a rischio anche gli appalti senza gara, sempre più in aumento, «il cui apparente clientelismo legato a fazioni politiche potrebbe nascondere capitale criminale». A rendere vulnerabile il sistema degli appalti romani, secondo l’Associazione Codici, sono diversi fattori tra cui «la presunta corruzione di funzionari pubblici», le «procedure irregolari per l’assegnazione dei lavori» e la «scarsa trasparenza delle procedure», «l’alterazione delle condizioni concorrenziali che può contribuire ad annientare le imprese oneste, costringendole ad uscire dal mercato», il «ricorso a provvedimenti di natura emergenziale» e lo «sviluppo incontrollato di cantieri dettato dalla politica del “fare per fare”».

POLITICA BENDATA
– La criminalità organizzata, negli ultimi anni, ha continuato a imporsi nella capitale senza incontrare troppa resistenza. Nella classifica dei quartieri a più alta densità mafiosa ci sono San Lorenzo e Castro Pretorio, con 41 arresti per fatti di crimine organizzato; il Prenestino, 38 arresti; San Basilio; 33 arresti; Tor Bella Monaca, che ha totalizzato 22 arrestati, seguita da Esquilino e Testaccio. Ma né il programma elettorale del sindaco Alemanno, né quello della presidente della Regione, Renata Polverini, accennavano alla presenza della criminalità organizzata sul territorio romano e laziale. Figuratevi a una soluzione.

(Tratto da AgoraVox)