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Quei soldi della mafia riciclati attraverso lo Ior

Roma. Non ha ancora finito di suscitare sconcerto l’iscrizione nel registro degli indagati del presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi e del suo direttore generale Paolo Cipriani per “omessa osservanza delle norme antiriciclaggio” (reato per il quale recentemente sono stati sequestrati 23 milioni di euro su un conto della Banca Vaticana presso il Credito Artigiano) che nell’attuale inchiesta, documentata dalla procura di Catania, si profila ancora un volta la violazione delle stesse normative finanziarie.

L’inchiesta è partita dall’accertamento effettuato dalla Guardia di Finanza su un’azienda ittica siracusana di Antonino Banoccorsi che ha portato al sequestro di beni per circa 4 milioni di euro e all’iscrizione nel registro degli indagati di sei persone tra cui un sacerdote, Orazio Bonaccorsi, il padre Antonino Bonaccorsi e lo zio Vincenzo Bonaccorsi; quest’ultimo condannato con sentenza definitiva per associazione mafiosa e adesso indagato per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e intestazione fittizia di beni. Le altre tre persone iscritte nel registro degli indagati sono: l’imprenditore Fabio Salvatore Di Gregorio, di 24 anni, che avrebbe emesso false fatture per consentire la truffa, Francesco Altamore ex dipendente della Regione e Santo Salluzio, direttore dei lavori.

L’accusa contestata al sacerdote, che vive a Roma, è quella di riciclaggio. Cioè avrebbe incassato soldi provento di una truffa ai danni della Regione Sicilia e poi li avrebbe versati su un conto personale aperto allo Ior.

La vicenda è iniziata in seguito alla segnalazione di un’operazione sospetta da parte della Uif (Unità di informazione finanziaria) della Banda d’Italia alla Procura. Nel 2006 i fratelli Vincenzo e Antonino Bonaccorsi riescono ad ottenere un finanziamento di 600mila euro per realizzare un allevamento di trote. Soldi erogati dietro false fatture.

Secondo l’accusa i soldi sarebbero stati erogati “tre giorni lavorativi dopo la richiesta fatta il 29 dicembre 2009”, esattamente il 3 gennaio 2006 quando i due fratelli ricevono una prima tranche dei finanziamenti regionali, 300mila euro, che vengono versati sul conto 1511, presso la filiale di Catania della Banca Popolare di Novara, intestato ad Antonino. Una volta ottenuti i fondi, dopo alcuni giorni, da quel conto 250 mila euro venivano bonificati alla filiale della Bnl di Roma. E nella causale del versamento veniva precisato: “beneficenza”. Poi il prete emetteva un assegno intestato a se stesso, che versava su un conto dello Ior acceso presso la Banca di Roma.

Da quest’ultimo istituto i soldi tornavano in Sicilia, attraverso nove bonifici verso il Banco di Novara della filiale di Catania dove aveva un conto bancario il padre di don Orazio. Un giro vorticoso che doveva servire a rendere non rintracciabile la provenienza dei soldi. Ecco cosa scrivono i magistrato a tal proposito: “Da febbraio a ottobre don Orazio ordinava nove bonifici per un importo complessivo di 225mila euro da quello stesso conto Ior a favore di Antinono Bonaccorsi sul conto 1511 presso la Popolare di Novara”. Tra l’altro, ha spiegato il procuratore capo Vincenzo D’Agata “Lo Ior non ha sportelli in Italia e opera aprendo conti bancari come se fosse un singolo cliente e tutto quanto arriva sul suo conto si confonde e non dà la possibilità di essere ricondotto ai singoli soggetti che hanno operato. E questo rappresenta, secondo la nostra ipotesi, una violazione delle norme bancarie e delle leggi antiriciclaggio”. Dal Vaticano ancora nessun commento mentre la procura vuole vederci chiaro su quei versamenti effettuati attraverso l’home banking, un metodo che consente a chiunque sia in possesso dei codici di accesso di poter entrare in quel conto dello Ior.

Maria Loi

(Tratto da Antimafia Duemila)