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Impianti di rifiuti a fuoco, ecco perché: nel mirino della malavita e troppo pieni

Impianti di rifiuti a fuoco, ecco perché: nel mirino della malavita e troppo pieni

Il sole 24 ore, 16 ottobre 2018

Impianti di rifiuti a fuoco, ecco perché: nel mirino della malavita e troppo pieni

di Jacopo Giliberto

Non c’è domanda sufficiente per il mercato a valle dei materiali riciclabili che noi cittadini dividiamo nei differenti bidoni: plastica, carta e così via. E soprattutto mancano gli impianti per lavorare, metabolizzare e digerire questi materiali, come nel caso della Cartiera di Mantova bloccata dai comitati nimby, del Css nei cementifici (messo sotto accusa perché «devasterà il nostro bel territorio») o come nel caso dei fanghi di depuratore usati come concime. Così gli impianti di selezione e di riciclo si riempiono di materiali senza più destinazione. Si riempiono a tappo. A volte si fermano. Ogni tanto qualcuno va a fuoco. Per problemi di mercato, e in qualche caso per questioni di malavita.

Un incendio ieri mattina a Novate Milanese ha distrutto un deposito di carta. È accaduto domenica sera a un deposito di plastica a Quarto Oggiaro, Milano; le fiamme altissime hanno illuminato il cielo notturno e il nuvolone di fumo pungente ha spaventato i cittadini.

In Lombardia negli ultimi mesi sono stati contati quasi 20 incendi a impianti di trattamento, selezione o riciclo dei rifiuti o dei materiali ricuperabili. Il Sole24Ore aveva censito più di 100 incendi in un paio d’anni in tutta Italia, dall’Alto Adige alla Sicilia.

Ecco i numeri aggiornati dal 2014 fino all’altra settimana.
Impianti di trattamento rifiuti andati a fuoco: 136.
Incendi in discariche: 31.
Fuoco in isole ecologiche, a compattatori, a piattaforme di selezione: 45.
Impianti di compostaggio danneggiati dalle fiamme: 6.
Discariche abusive incendiate: 103.
Ecoballe date alle fiamme in Campania: 5 casi.
Inceneritori colpiti da incendi: 14.
Altri eventi: 3.


LAMAPPA

Gli incendi di depositi di rifiuti in Lombardia dal 2014

Che cosa accade? C’è un disegno dietro a questi incendi che distruggono i materiali di scarto raccolti con attenzione e diligenza dai cittadini o dalle aziende?

C’è chi l’ha chiamato “guerra dei rifiuti”, immaginando una battaglia illegale per il controllo del mercato.
Chi vi vede una “terra dei fuochi” che si è estesa anche all’Alta Italia.
Chi osserva che, causa i comitati di opposizione, non si riesce a costruire alcun impianto di riciclo: chi si oppone a inceneritori, a rifiuti nei cementifici e a impianti di selezione e riciclo fa respirare ai cittadini la diossina degli incendi.
Sono risposte giuste ma limitate a piccoli aspetti rispetto un tema unico: mancano gli impianti per chiudere il ciclo dei rifiuti, che si tratti di spazzatura domestica come di scarti delle attività industriali.

Ecco un appello lanciato giorni fa da Girolamo Marchi, presidente dell’Assocarta: «Rischia di fermarsi il riciclo delle cartiere italiane e lucchesi per l’incapacità di dare risposte al recupero degli scarti del riciclo». Ed ecco la testimonianza che il Sole24 Ore ha raccolto da Andrea Ramonda, amministratore delegato di Herambiente: «Sul mercato gli impianti sono strapieni, c’è un tappo in fondo alla filiera». Secondo l’associazione delle aziende di riciclo di materiali rigenerabili, l’Unirima, «mentre i dati Ispra evidenziano il costante aumento della produzione di tali rifiuti, le capacità degli impianti di destinazione che devono riceverli si stanno drasticamente riducendo con conseguente esponenziale incremento delle difficoltà da parte delle imprese del nostro settore nell’allocare tali scarti di lavorazione».

Sicuramente il riciclo ha molti nemici, come si è visto quando gli impianti furono paralizzati nel 2015 da una norma sui «codici specchio» che bloccò il ricupero e lo smaltimento dei rifiuti, come la denuncia alla Procura di Roma presentata in marzo 2018 da un’associazione per bloccare il riciclo della plastica dei consorzi Corepla e Conai, come sta accadendo in questi giorni con chi vuole imporre limiti impossibili all’uso dei fanghi dei depuratori. Se avrà successo la protesta di questi giorni per avere limiti così bassi da essere insostenibili, i depuratori dovranno essere spenti e i fiumi torneranno a sporcarsi. Il gioco della malavita è reso facilissimo.

Due incendi a Milano
La cronaca. Un altro incendio si è sviluppato, ieri prima dell’alba, nei capannoni di una ditta di Novate Milanese che si occupa di smaltimento rifiuti, in particolare carta da macero nel milanese. L’incendio è avvenuto poche ore dopo e pochi chilometri lontano dall’altro incendio scoppiato domenica sera intorno alle 20.30 nell’area nord di Milano, in via Dante Chiasserini, in zona Bovisasca e vicino a Quarto Oggiaro. È stato devastato un capannone di rifiuti della Ipb.

La banda del fuoco
In qualche caso gli incendi di rifiuti sono provocati. Lo si è scoperto in un caso di un deposito di rifiuti riciclabili distrutto dalle fiamme a Corteolona, nel Pavese.
Ecco la dinamica scoperta la settimana scorsa dai carabinieri di Milano e Pavia insieme con la Direzione distrettuale antimafia: un pregiudicato lecchese aveva preso in affitto a Corteolona uno dei tanti capannoni svuotati da imprese fallite.
Poi aveva usato il capannone vuoto come deposito abusivo di rifiuti riciclabili (carta e plastica) di provenienza industriale.
Le aziende che producevano i rifiuti erano convinti che tutto fosse regolare, e pagavano profumatamente il servizio, con fatture bolle e tutto il resto. «Finalmente troviamo qualcuno che pratica prezzi onesti e ci porta via gli accumuli di scarti», dicevano le imprese inconsapevoli.
Ma in realtà a Corteolona non c’erano autorizzazioni. I camion arrivavano carichi e ne uscivano vuoti e leggeri.
Quando il capannone è diventato pieno fino all’orlo è arrivata la telefonata in codice: «La torta è pronta, ho sparso liquore in diversi punti, soprattutto al centro. Domani puoi andare a ritirarla» (intercettazione telefonica del 3 gennaio scorso).
E nella notte il “liquore” ha incendiato la “torta”.
Il Gip di Milano ha confermato la custodia cautelare in carcere per sei persone.

Aziende correttissime a rischio
La maggior parte delle aziende di selezione e trattamento degli scarti riciclabili sono assolutamente in regola come autorizzazioni e come impiantistica, e gli impianti e i sistemi antincendio sono tarati per un flusso regolare di materiali infiammabili.
Tanto entra, tanto esce.
Ma il “tappo” in fondo alla filiera fa entrare i materiali, poi non li fa uscire perché nessuno li ritira.
I capannoni si riempiono. I piazzali si ingombrano.
I materiali raccolti dalle raccolte differenziate urbane e dalle aziende sono spesso eterogenei, con frazioni che fermentano o sviluppano vapori infiammabili per i quali non sono dimensionati i sistemi di sicurezza. Basta nulla per scatenare le fiamme, lo scintillare del corto circuito in un quadro elettrico o la reazione chimica tra due rifiuti chimici incompatibili.

Il confronto con la terra dei fuochi
Anni fa in Campania tra Napoli e Caserta le campagne erano tormentate dal fenomeno degli incendi della spazzatura prodotta dalle innumerevoli attività in nero della zona, spazzatura che non poteva seguire percorsi trasparenti di smaltimento.
Era il fenomeno definito Terra dei Fuochi. Le microattività non rilevabili — capomastri con la squadretta di muratori, panettieri abusivi, parrucchieri da sottoscala, microproduttori di sacchetti di plastica attivi nella rimessa dell’auto — non potevano smaltire correttamente i loro rifiuti. Senza bolla di accompagnamento e fattura, nessun impianto regolare accettava quella spazzatura. Allora la malavita campana aveva attivato un servizio altrettanto abusivo di smaltimento: raccolta abusiva dei rifiuti abusivi (barattoli di vernice, imballaggi usati e altri scarti delle attività), scarico sulla stradina di campagna fra le coltivazioni, una latta di benzina, un accendino e via.

Rifiuti speciali: aumenta la produzione
Rifiuti industriali: l’Italia produce 135,1 milioni di tonnellate l’anno di rifiuti speciali, con una crescita del 2% rilevata nel 2016 da un nuovo Rapporto dell’Ispra. La maggior parte di questi scarti prodotti dalle attività economiche e lavorative sono calcinacci dell’edilizia; inoltre la maggior parte dei rifiuti speciali viene riutilizzata in nuovi processi produttivi, creando un caso virtuoso di economia circolare. Tutto bene, quindi? No. Il riutilizzo va migliorato e reso più competitivo soprattutto nel confronto con gli altri Paesi europei, con i quali scambiamo troppa immondizia: ne piazziamo tantissima all’estero, 433mila tonnellate, soprattutto ceneri di centrali elettriche e di inceneritori e amianto.

Scarti alimentari come «idrocarburi inquinanti»
Ci sono aziende alimentari che accumulano gli scarti delle lavorazioni.
Sono materiali putrescibili ottimi per diventare compost, ma nessuno li ritira per gli incendi che paralizzano gli impianti, perché il mercato è fermo e perché ci sono le sentenze e le proteste contro l’uso dei fanghi in agricoltura.
Nel caso delle analisi sui “fanghi di depurazione” usati come concime in agricoltura succede che le farine residuali, i composti zuccherini, le melasse dell’industria alimentare, concimi strepitosi per i campi, invece vengono classificate dai nemici dell’ambiente come “idrocarburi” e quindi ci sono fortissimi problemi per quelle aziende alimentari i cui bidoni non trovano destinazione e non vengono svuotati.